Il primo ticinese alla Spartathlon race: «Dopo 15 ore di corsa vorresti solo una birra e una focaccia»

Un’ultramaratona che sa di storia. Già, perché l’estenuante Spartathlon segue il percorso di Filippide, il messaggero ateniese che nel 490 avanti cristo corse da Atene a Sparta per chiedere aiuto contro i Persiani impiegando, secondo la mitologia, solamente un giorno. Nel 1982, il comandante britannico John Foden e quattro ufficiali della RAF andarono in Grecia per verificare se fosse possibile coprire i 246 chilometri in un giorno e mezzo. Tre di loro riuscirono nell’impresa e dall’anno seguente nacque la prima Open International Spartathlon Race. A fine settembre toccherà invece a Claude Birrer, l’ultramaratoneta sarà infatti il primo ticinese della storia a sfidare l’estenuante percorso tra l’acropoli e Sparta.
Claude, per prima cosa: è un sogno che si realizza...
«Sì, per noi
ultramaratoneti la Spartathlon vale quanto un’Olimpiade, nel nostro mondo è
considerata come il massimo punto d’arrivo. È molto difficile anche solo essere
scelti, mi spiego meglio: per parteciparvi ho impiegato 5 anni di allenamenti,
ho completato delle gare qualificanti (Ultra Milano Sanremo 289 km, 24 ore di
Montecarlo 184 km, e Nemea-Olimpia 180 km), ottenendo i crediti necessari per
poter essere in lizza, e infine ho atteso due anni per essere estratto».
Dunque serve anche una dose di fortuna, tutto dipende da un’estrazione...
«Proprio
così: un fattore determinante è la nazione per la quale si gareggia. In
Svizzera i corridori di ultramaratone sono pochi. Per questo motivo nel giro di
due o tre anni, teoricamente, si viene estratti. Ma non per questo è facile
aderire ad una manifestazione del genere. Magari si lavora un anno intero e poi
per semplice sfortuna non si viene scelti, l’anno dopo s’incombe in un
infortunio e il lavoro di anni viene vanificato».
Sono 246
i chilometri da percorrere in sole 36 ore: si dorme?
«Assolutamente
no. Nella Spartathlon non vi è il tempo materiale per dormire. Solamente chi ha
un vantaggio di molte ore può concedersi un power-nap ma succede a pochissimi
dei 350 partecipanti. In altri tipo di ultramaratone abbiamo la possibilità di
fermarci per sette-otto minuti ma in questa gara è davvero impensabile.
Soprattutto per i 75 check point che si susseguono ogni tre chilometri circa».
Ecco, i
check point, un'ulteriore insidia della competizione greca.
«Esatto, i
check point sono un ostacolo importante. Diventano un fattore di stress,
l’ansia di dover correre ad una certa velocità per arrivare al prossimo
obbiettivo diventa una delle preoccupazioni massime. Soprattutto per i primi
160 chilometri i tempi tra i vari “punti-base” sono stretti e vengono controllati
meticolosamente».
La gara
dura un giorno e mezzo, quali sono i momenti più impegnativi?
«I primi
60-80 chilometri sono davvero difficili. Spesso sono quelli dove mi gioco la
gara, personalmente li vivo male: devo prendere il ritmo della corsa, parecchio
sostenuto in questo lasso di tempo, abituarmi alla temperatura e digerire
quello che ho nello stomaco. Altri corridori invece, a causa delle vesciche ai
piedi e alla fisiologica stanchezza, faticano di più nel finale».
A
proposito di digestione, cosa si mangia durante una corsa del genere?
«Nelle prime
ore tutti i corridori cercano di essere precisi e attenti, dunque assumendo gel
particolari e barrette energetiche. Dopo 15 ore di corsa però non appena
s’intravede un bar all’orizzonte l’unico desiderio è mangiare una focaccia e
bere una birra. Sembra strano ma è l’organismo stesso che lo impone. Diventa
una necessità. Consumiamo tantissimi sali minerali, ad esempio io perdo circa
tre o quattro chili sull’arco della competizione, dunque siamo completamente
vuoti».
Al di là
dell’indubbia fatica, 36 ore sono un lasso di tempo importante: musica o
chiacchiere, quali preferite?
«Generalmente
ascolto della musica, è indubbiamente un modo per svagare la mente. La Sparthathlon
però è difficile anche per questo: è vietato l’utilizzo delle cuffiette. È un
colloquio di 36 ore con sé stessi. Le chiacchiere tra corridori iniziano nelle
fasi finali. Come detto in precedenza i primi chilometri sono tosti per tutti: c’è
chi vomita, chi ha delle crisi, e inoltre il nervosismo è tangibile. Invece
dopo 180 chilometri ci si distende, tutto è più calmo e si percorrono dei tratti
di gara in compagnia. A dire il vero bisogna anche avere la fortuna di
incontrare qualcuno, la corsa è talmente dilatata che per molti chilometri si è
completamente soli».