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Il primo ticinese alla Spartathlon race: «Dopo 15 ore di corsa vorresti solo una birra e una focaccia»

Dopo anni di preparazione, l’ultramaratoneta Claude Birrer parteciperà alla gara di 246 chilometri da percorrere in 36 ore: «Si arriva a perdere anche 4 chili, ti senti svuotato»
Matteo Generali
02.07.2024 20:17

Un’ultramaratona che sa di storia. Già, perché l’estenuante Spartathlon segue il percorso di Filippide, il messaggero ateniese che nel 490 avanti cristo corse da Atene a Sparta per chiedere aiuto contro i Persiani impiegando, secondo la mitologia, solamente un giorno. Nel 1982, il comandante britannico John Foden e quattro ufficiali della RAF andarono in Grecia per verificare se fosse possibile coprire i 246 chilometri in un giorno e mezzo. Tre di loro riuscirono nell’impresa e dall’anno seguente nacque la prima Open International Spartathlon Race. A fine settembre toccherà invece a Claude Birrer, l’ultramaratoneta sarà infatti il primo ticinese della storia a sfidare l’estenuante percorso tra l’acropoli e Sparta.

Claude, per prima cosa: è un sogno che si realizza...
«Sì, per noi ultramaratoneti la Spartathlon vale quanto un’Olimpiade, nel nostro mondo è considerata come il massimo punto d’arrivo. È molto difficile anche solo essere scelti, mi spiego meglio: per parteciparvi ho impiegato 5 anni di allenamenti, ho completato delle gare qualificanti (Ultra Milano Sanremo 289 km, 24 ore di Montecarlo 184 km, e Nemea-Olimpia 180 km), ottenendo i crediti necessari per poter essere in lizza, e infine ho atteso due anni per essere estratto».

Dunque serve anche una dose di fortuna, tutto dipende da un’estrazione...
«Proprio così: un fattore determinante è la nazione per la quale si gareggia. In Svizzera i corridori di ultramaratone sono pochi. Per questo motivo nel giro di due o tre anni, teoricamente, si viene estratti. Ma non per questo è facile aderire ad una manifestazione del genere. Magari si lavora un anno intero e poi per semplice sfortuna non si viene scelti, l’anno dopo s’incombe in un infortunio e il lavoro di anni viene vanificato».

Sono 246 i chilometri da percorrere in sole 36 ore: si dorme?
«Assolutamente no. Nella Spartathlon non vi è il tempo materiale per dormire. Solamente chi ha un vantaggio di molte ore può concedersi un power-nap ma succede a pochissimi dei 350 partecipanti. In altri tipo di ultramaratone abbiamo la possibilità di fermarci per sette-otto minuti ma in questa gara è davvero impensabile. Soprattutto per i 75 check point che si susseguono ogni tre chilometri circa».

Ecco, i check point, un'ulteriore insidia della competizione greca.
«Esatto, i check point sono un ostacolo importante. Diventano un fattore di stress, l’ansia di dover correre ad una certa velocità per arrivare al prossimo obbiettivo diventa una delle preoccupazioni massime. Soprattutto per i primi 160 chilometri i tempi tra i vari “punti-base” sono stretti e vengono controllati meticolosamente».

La gara dura un giorno e mezzo, quali sono i momenti più impegnativi?
«I primi 60-80 chilometri sono davvero difficili. Spesso sono quelli dove mi gioco la gara, personalmente li vivo male: devo prendere il ritmo della corsa, parecchio sostenuto in questo lasso di tempo, abituarmi alla temperatura e digerire quello che ho nello stomaco. Altri corridori invece, a causa delle vesciche ai piedi e alla fisiologica stanchezza, faticano di più nel finale».

A proposito di digestione, cosa si mangia durante una corsa del genere?
«Nelle prime ore tutti i corridori cercano di essere precisi e attenti, dunque assumendo gel particolari e barrette energetiche. Dopo 15 ore di corsa però non appena s’intravede un bar all’orizzonte l’unico desiderio è mangiare una focaccia e bere una birra. Sembra strano ma è l’organismo stesso che lo impone. Diventa una necessità. Consumiamo tantissimi sali minerali, ad esempio io perdo circa tre o quattro chili sull’arco della competizione, dunque siamo completamente vuoti».

Al di là dell’indubbia fatica, 36 ore sono un lasso di tempo importante: musica o chiacchiere, quali preferite?
«Generalmente ascolto della musica, è indubbiamente un modo per svagare la mente. La Sparthathlon però è difficile anche per questo: è vietato l’utilizzo delle cuffiette. È un colloquio di 36 ore con sé stessi. Le chiacchiere tra corridori iniziano nelle fasi finali. Come detto in precedenza i primi chilometri sono tosti per tutti: c’è chi vomita, chi ha delle crisi, e inoltre il nervosismo è tangibile. Invece dopo 180 chilometri ci si distende, tutto è più calmo e si percorrono dei tratti di gara in compagnia. A dire il vero bisogna anche avere la fortuna di incontrare qualcuno, la corsa è talmente dilatata che per molti chilometri si è completamente soli».