L'intervista

«Il problema non è Shaqiri, ma la direzione sportiva»

Nonostante il recente successo contro i Philadelphia Union, al giro di boa della stagione i Chicago Fire di «XS» e Joe Mansueto bazzicano nuovamente nei bassifondi della Major League Soccer - Jeremy Mikula, esperto della franchigia dell’Illinois per il Chicago Tribune, ci aiuta a comprendere cosa non sta funzionando nella «Windy City»
© Jamie Sabau-USA TODAY Sports
Nicola Martinetti
01.07.2022 06:00

Nonostante il recente successo contro i Philadelphia Union, al giro di boa della stagione i Chicago Fire di «XS» e Joe Mansueto bazzicano nuovamente nei bassifondi della Major League Soccer. Jeremy Mikula, esperto della franchigia dell’Illinois per il Chicago Tribune, ci aiuta a comprendere cosa non sta funzionando nella «Windy City».

Jeremy, dopo aver disputato 17 delle 34 partite di regular season i Chicago Fire occupano il penultimo posto nella loro Conference e il quartultimo in tutta la lega. Sembra insomma che per il momento la «cura Shaqiri» non abbia sortito alcun effetto nel tentativo di invertire la tendenza dopo diverse stagioni complicate...

«Dall’esterno, dando un’occhiata a classifiche e statistiche, comprendo come l’impressione possa essere questa. Ma vi assicuro che chiunque abbia osservato con attenzione le partite dei Fire potrà confermarvi che Xherdan Shaqiri non ha fin qui deluso le aspettative. E di certo non rientra tra i (tanti) problemi che affliggono la squadra di Joe Mansueto. È innegabile che alcuni intoppi lungo il cammino, in particolare due infortuni tra aprile e giugno, non gli hanno per ora permesso di trovare la continuità che lui stesso auspicava. E credo che questo abbia pesato su alcune sue performance sia con Chicago sia con la Svizzera, nell’ultima finestra internazionale. Ma le sue statistiche personali nel nostro campionato - tre gol e sei assist in tredici partite - non sono affatto male, specialmente se inserite nel contesto di una squadra che fatica tremendamente a fare risultato. In campo, quando sta bene, il nazionale elvetico è il motore dell’attacco dei Fire. È chiaramente una spanna sopra tutti per creatività e visione di gioco».

Piccola provocazione: dal secondo giocatore più pagato della MLS, dopo Lorenzo Insigne, non era però lecito attendersi un impatto più netto sui risultati della squadra?

«Se mi permette vorrei suddividere la mia risposta in due parti. La prima riguarda l’aspetto economico dell’investimento effettuato da Joe Mansueto. L’ambiente, in questo senso, è felice dell’«operazione Shaqiri». Pressoché nessuno ha mai criticato la mossa di mercato, anche perché era giusto puntare su un profilo simile con l’intento di essere competitivi, come confermano peraltro gli approdi in MLS dei vari Bale, Chiellini, Insigne, Criscito e Douglas Costa. Il folletto elvetico rappresenta insomma un passo nella giusta direzione. Parte della soluzione, se volete, e non del problema. Ma come spesso accade negli sport di squadra il rendimento di un singolo, seppur ottimo, quasi mai decide una contesa. Nonostante alcuni buoni elementi, i Fire non dispongono della necessaria qualità per tenere il passo di chi punta ai playoff. E questa è una nota dolente che riguarda la costruzione della rosa».

Un compito che spetta al direttore sportivo Georg Heitz e al direttore tecnico Sebastian Pelzer. Pensa che il dito andrebbe puntato verso di loro?

«A mio avviso sì. JoeMansueto, in qualità di proprietario del club, ha fatto tutto il possibile per renderlo competitivo. Investendo nella squadra, nelle infrastrutture e nell’organizzazione, dimostrando di non aver paura di spendere. Il problema è che queste risorse non sempre sono state utilizzate bene, e alcune mosse di mercato si sono rivelate fallimentari. Costruire una rosa in MLS, rispettando una serie di regole severe e parametri complessi, è molto difficile. E ho la sensazione che una figura con più familiarità con questo genere di dinamiche potrebbe raccogliere risultati migliori rispetto agli attuali responsabili. Che certamente sanno fare il loro lavoro, ma forse altrove meglio che in Nord America».

Pensa che Mansueto potrebbe decidere di mettere mano alla direzione sportiva, instaurando un nuovo corso?

«Tipicamente nel mondo dello sport nordamericano a chi è incaricato di costruire una rosa vengono concesse due occasioni. Heitz e Pelzer attualmente si trovano al secondo tentativo, e dopo aver conseguito risultati mediocri con il primo, ora statisticamente stanno facendo anche peggio. La squadra non può puntare al titolo e persino i playoff appaiono un miraggio. Tecnicamente c’è ancora a disposizione una finestra di mercato in questo mese di luglio, ma a dispetto di quanto affermato in Ticino daJoeMansueto qualche settimana fa, di tempo e di partite per cercare di rimediare adesso ne rimane pochissimo. Per centrare un’improbabile qualificazione, i Fire dovrebbero perdere al massimo due o tre partite da qui a ottobre. Per concludere, non so quanto margine di manovra verrà ancora concesso all’attuale direzione sportiva, ma il tempo sta per scadere. E non sarei stupito, dato il successo fin qui riscontrato nelle mosse effettuate in ottica Lugano, nel vedere Mansueto scegliere di intraprendere una nuova strada qui a Chicago, trasferendo Heitz in Ticino a tempo pieno».

Ha citato il Lugano, che la scorsa stagione ha interrotto un digiuno lungo 29 anni conquistando la Coppa Svizzera. Questo trionfo come è stato accolto a Chicago? Ha spinto la piazza a fare ancora più pressione sui Fire?

«Se ne è parlato, ma in generale penso che non abbia influito più di tanto sull’umore della piazza, né in positivo né in negativo. Lugano, in fondo, rimane una realtà molto lontana e poco conosciuta. Qui la tendenza è quella di focalizzarsi sui problemi della franchigia locale, che sono già parecchi, senza andare a girare ulteriormente il coltello nella piaga (ride, ndr)».