Il personaggio

Il sogno di Daniel Andersson: «Vorrei riportare Ibrahimovic a casa»

Il direttore sportivo del Malmö, prossimo avversario del Lugano in Europa League, si racconta fra passato, presente e futuro
Daniel Andersson nel preliminare della Champions 2005-06 contro il Thun, quando vestiva la maglia del Malmö. © Keystone/Eddy Risch
Marcello Pelizzari
18.10.2019 17:26

Ha alle spalle due Europei e due Mondiali, oltre a sei anni in Serie A. Dal 2014 è il direttore sportivo del Malmö, prossimo avversario del Lugano in Europa League. «Un mestiere duro, molto più duro rispetto al calciatore» afferma Daniel Jerry Andersson, 42 anni e un sogno grande così. Quale? «Riportare Ibra a casa».

«Il cuore, che altro?». Daniel parla ancora perfettamente l’italiano. L’aveva imparato in fretta, ai tempi. Doveva farlo, per imporsi nel campionato (allora) più difficile al mondo. E si impose, soprattutto in una piazza caldissima come Bari. «Che ricordi» dice sorridendo.

La vita di Daniel assomiglia ad un cerchio. Quantomeno quella sportiva. Da Malmö a Malmö. Quassù, nella Scania, cominciò a giocare e sempre quassù appese gli scarpini al chiodo. Diventando appunto direttore sportivo. In mezzo l’Italia. «Giocare a calcio era più semplice, adesso devo tenere assieme un club» racconta. «Il Malmö però sta vivendo anni felici. Questo aiuta».

Come fosse un derby

In effetti, i biancocelsti sono una big del calcio svedese (e non solo). Vantano venti titoli nazionali. Cinque, per dirla con Andersson, sono arrivati dal 2010 in avanti. «Oggi siamo una squadra esperta se penso ai tanti ragazzi che diamo alla nazionale. Esperta e grintosa, aggressiva e protagonista sul piano del gioco. E in Europa ci sappiamo stare».

Il Lugano è avvisato. «Ma i bianconeri mi piacciono» ci tiene a precisare Daniel. «Non sono una squadra famosa, va bene. Però giocano a calcio. D’altronde la Svizzera nel suo insieme è cresciuta tanto. Sia come nazionale sia con i suoi club. Lo Young Boys, il Basilea. Squadre che fanno benissimo nelle coppe europee».

Giovedì andrà in scena un altro «derby». Fra hockey su ghiaccio e calcio, la Svezia e la Svizzera si sono incrociate più di una volta ultimamente. La rivalità è sentita anche dagli scandinavi? «No, direi di no» risponde Andersson. «Più che altro, fa sorridere il fatto che gli americani confondano i due Paesi. Ma i nostri derby a livello di Svezia sono contro i danesi e i norvegesi. Io vedo molte somiglianze fra noi e gli svizzeri. Parliamo di due nazioni ordinate e pacifiche».

Uno sgambetto Andersson l’aveva ricevuto dal Thun nei preliminari della Champions 2005-06. «Che botta» spiega. «Non mi è mai passata. Era un preliminare favorevole a noi sulla carta, non pensavamo che loro fossero forti. Ma lo erano, tant’è che poi nei gironi fecero benissimo. Il ritorno in particolare fu disastroso».

Il preliminare contro il Thun? Che botta. Non mi è mai passata quella sconfitta

Una questione di famiglia

Il cuore, diceva Daniel. Già, per lui il Malmö è una famiglia. «In Svezia vedo solo questi colori. Mi innamorai del club perché ci giocava mio papà, Roy. Pure mio fratello Patrik giocò qui. Noi tre abbiamo una storia molto speciale: ognuno di noi è stato capitano».

Roy è considerato una vera e propria leggenda. In città, se chiedete nei bar, vi diranno che se lui e Bo Larsson non si fossero fatti male prima della finale di Coppa dei campioni contro il Nottingham Forest, beh, oggi nella bacheca della società ci sarebbe proprio il trofeo dalle grandi orecchie. «Quando sono stanco oppure il lavoro mi sembra troppo, con la mente corro indietro e ripesco le gesta di mio padre. O i sorrisi con mio fratello. E ritrovo la passione, quella che mi ha spinto ad accettare il ruolo di direttore sportivo».

La parentesi italiana

Andersson è stato un abile centrocampista e, negli ultimi anni, un difensore navigato. Di quelli bravi a leggere il gioco in anticipo onde evitare guai. La precisione e l’intuito sono delle qualità importanti anche nel suo ruolo dirigenziale.

«L’Italia in questo senso mi ha dato tanto. Ancora oggi, se devo scegliere un allenatore o un giocatore, mi rifaccio agli insegnamenti accumulati in sei anni di Serie A. La tecnica e la tattica, all’epoca, erano una prerogativa italiana. I miei maestri? Cito Fascetti. Per me è stato il migliore in assoluto. Il primo a darmi fiducia. Poi Delneri e Prandelli. Sono stato allenato da grandi profili, ho imparato davvero tanto e mi sono anche divertito. A Bari tornerei domani. Il calore di quei tifosi, la città, tutto. È una piazza che porterò sempre nel mio cuore. Niente a che vedere con l’Ancona, la mia ultima tappa italiana. Era un casino, fra cambi di mister e giocatori che andavano e venivano».

Dalla statua alla realtà

La casa del Malmö è lo Stadion, impianto aperto nel 2009. Lì, sul piazzale, è appena stata posata la statua dedicata a sua maestà Zlatan Ibrahimovic. Il figlio della città. «Lui è tutto qui» conclude Daniel. «Ogni cittadino di Malmö è fiero di quello che ha fatto nel mondo Ibra».

Bene, ma com’è la statua? Piace ad Andersson? «Diciamo che rispecchia sia lo stile sia il carattere del personaggio. Se uno dovesse immaginarsi una statua dedicata a Ibrahimovic, la immaginerebbe proprio in questo modo. Irriverente e maestosa».

Infine, un sogno. Riportare il lungagnone nella città che lo ha visto nascere e crescere. «Ci penso ogni giorno» confessa Daniel. «Ma io lo conosco, ho giocato con lui in nazionale. È uno che guarda avanti e mai indietro. Difficile che torni».