L'intervista

«Il titolo europeo di Kraft è il primo passo verso una dimensione inimmaginabile per il KeFORMA.team»

Insieme al general manager Mattia Monighetti, abbiamo ripercorso gli ultimi anni, i recenti successi e i progetti futuri della squadra ticinese di triathlon nata nel 2017
Francesco Raimondi
07.08.2025 06:00

Giovane, solido e ambizioso. Stiamo parlando del progetto del KeFORMA.team, squadra di Triathlon ticinese - sostenuta anche dal Corriere del Ticino - che in soli otto anni di attività è già riuscita a raggiungere risultati mozzafiato. Su tutti, il titolo Europeo di Ironman 70.3 conquistato nello scorso luglio dal triatleta tedesco Fabian Kraft. Ne abbiamo parlato con il General Manager della squadra Mattia Monighetti.

Cosa rappresenta per voi il titolo europeo conquistato da Fabian Kraft?
«È quasi il coronamento di anni di lavoro e raggiungere un sogno che non ci saremmo mai immaginati quando siamo partiti. Per una squadra della nostra struttura e budget significa molto, soprattutto se pensiamo che i triatleti che Kraft ha preceduto avevano dietro di loro squadre ben più ricche di noi. È un primo passo verso una dimensione che non immaginavamo. Arriva al termine di un primo semestre di 2025 magico in cui abbiamo inanellato grandissimi risultati. Abbiamo raggiunto più podi in circuiti Ironman e Challenge in questo primo periodo che in tutto il resto dell’esistenza del team».

Il vostro è un progetto giovane. Come è nata l’idea?
«È nata nel 2017 con la volontà di aiutare i giovani appassionati ad arrivare al professionismo. Con il marchio di integratori KeFORMA sponsorizzavamo degli atleti e ci siamo accorti che a loro mancava supporto per esplodere nel mondo del professionismo. Per un giovane, magari alle prime esperienze e senza le “spalle larghe”, non è facile trovare e gestire sponsor, ed è in questo ambito che noi interveniamo. Grossi sponsor internazionali hanno esigenze molto elevate con visioni mondiali, e, di conseguenza, la pressione non è indifferente. Un diciottenne spesso entra nel professionismo senza i mezzi tecnici adeguati e noi ci impegniamo per aiutarlo a sopperire a questa mancanza. Con noi, il giovane non si deve interfacciare con nessuno sponsor e, di conseguenza, non deve investire energie. Nella squadra abbiamo principalmente triatleti, ma ci sono anche i ticinesi Luca Nani e Gioele Jurietti che competono brillantemente in gare di corsa in montagna».

Quindi la soddisfazione di vedere un proprio pupillo trionfare deve essere doppia…
«Sì, ci inorgoglisce. Significa che ci abbiamo visto giusto e che abbiamo trovato atleti che incarnano ciò che vediamo noi nello sport. Parlo di valori quali l’umiltà e la voglia di lavorare; il triathlon è uno sport che richiede grandissimi sacrifici. Anche perché, finché si è giovani, a livello finanziario, questo sport non restituisce grossi risultati. Lo sforzo, soprattutto all’inizio, è davvero enorme: la mole di lavoro è importante e per poter vivere di questa disciplina ci vuole tempo».

È un supporto meramente tecnico oppure anche umano?
«Dal punto di vista tecnico, ciò che fa la differenza è la fortuna di poter contare su partner di qualità e disposti a investire su di noi anche con materiali innovativi e di primissima qualità, a cui hanno accesso solo pochi atleti di livello mondiale. Dall’altro lato, ciò che, secondo me, è fondamentale e ci distingue dalle altre squadre è proprio lo stare vicino agli atleti, l’essere non uno sponsor, bensì una famiglia. Noi sentiamo ogni atleta più volte a settimana. Cerchiamo di farli crescere anche in base all’esperienza che abbiamo maturato negli anni. Sappiamo cosa può succedere a un neofita, le difficoltà che può incontrare, e noi cerchiamo di fare da guida».

Come scegliete gli atleti che entrano a far parte di questa famiglia?
«Ci sono due strade. Da una parte, negli anni ci siamo fatti conoscere come team formatore, grazie agli atleti che hanno riscosso successo internazionale. Dall’altra, la maggioranza dei triatleti vengono trovati tramite un’attività di scouting. Si osserva chi potrebbe avere potenziale e si cerca di comprendere se ciò che offriamo noi possa coincidere con ciò che manca a loro per fare il passo in avanti decisivo. Cerchiamo di capire se l’atleta ha margini di miglioramento, e lo facciamo osservando la sua struttura fisica e i suoi dati. Tramite i social e le conoscenze ci informiamo su come si allena e cura l’alimentazione. Kraft era, per esempio, già attento; magari non aveva, come normale che sia, i mezzi più adeguati. In termini di alimentazione e integrazione sappiamo di poter offrire qualcosa di concreto. Con Fabian ciò che offrivamo noi era ciò che serviva a lui. Sono le piccole cose che fanno la differenza: il Campionato Europeo, d’altronde, lo ha vinto con poco distacco».

Un progetto giovane e già un campione europeo. Cosa vi aspettate dal futuro?
«Ciò di cui avremo principalmente bisogno è un partner che ci aiuti di ragionare sul lungo termine. Noi siamo ancora troppo piccoli per avere questa forza. Per il coté sportivo, invece, non guardo troppo in là, ma al mese di novembre, quando andranno in scena i Mondiali di Ironman 70.3 in cui parteciperà anche Fabian Kraft. L’obiettivo è andare a Marbella (luogo dove avrà luogo la competizione, n.d.r.) e fare un ottimo risultato».

Si può sognare addirittura il titolo mondiale?
«Non penso che abbiamo l’esperienza e la maturità sufficiente per arrivare a quel risultato, ma lo sport regala sempre sorprese. Oggettivamente, tuttavia, in una competizione dove parteciperanno i cento triatleti più forti del mondo, arrivare in top dieci rappresenterebbe già un risultato stratosferico. Sono pur sempre sportivi che in Ironman 70.3 hanno sempre raggiunto quantomeno il podio. Non so se sia raggiungibile, ma non ci presenteremo con il mero obiettivo di partecipare».

Il triathlon è una disciplina un po’ di nicchia. Come fa un giovane ad avvicinarvisi?
«Dipende. Al giorno d’oggi i giovani nascono già triatleti, a differenza di qualche anno fa quando questa disciplina era un ripiego da una delle tre che la compongono. Già solo pensando a Martina Buri, 17.enne luganese arrivata nel nostro team tre anni fa e che circa un mese fa si è laureata campionessa svizzera U20, ha iniziato col triathlon sin da subito. A titolo di esempio, il nostro atleta Adriano Engelhardt è stato l’ultimo svizzero e unico ticinese a vincere una gara Ironman 70.3 da professionista».

È meglio nascere o diventare triatleta? Oppure a fare la differenza è la volontà di mettersi in gioco?
«La logica direbbe che nascere triatleta avvantaggia, ma al contempo sono convinto che la testa sia fondamentale e faccia la differenza. Engelhardt ha per esempio fatto la differenza grazie alla sua encomiabile professionalità e dedizione. Kraft, invece, è nato triatleta, e oggi la tendenza è questa».

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