Calcio

Il triste declino del Valencia, dal tetto d'Europa alla polvere

All’inizio degli anni Duemila era splendido protagonista sulla scena internazionale: ora il club spagnolo rischia la retrocessione in B - Tifosi e osservatori sono concordi: la gestione di Peter Lim - miliardario di Singapore e azionista di maggioranza dal 2014 - è stata fallimentare
La disperazione del capitano José Gayà: nel 2023 il Valencia ha vinto 2 partite su 14. ©REUTERS/DAVID ALIAGA
Massimo Solari
18.04.2023 23:01

Una costellazione particolare ammanta il calcio europeo. Una costellazione sfavorevole, anche. I quattro principali campionati stanno vivendo, ciascuno con il proprio grado di malinconia, un dramma sportivo. Già, perché altrettanti pezzi di storia si stanno sgretolando. La Sampdoria, campione d’Italia nel 1991 e finalista della Coppa dei campioni un anno più tardi, chiude mestamente la Serie A. In Bundesliga, lo Schalke 04 rischia una nuova discesa agli inferi, dopo che nemmeno dodici mesi fa aveva ritrovato un posto al sole: nel 2011, la società di Gelsenkirchen conquistava la Coppa di Germania e raggiungeva pure la semifinale di Champions, per altro regalandosi diversi secondi posti in campionato sia prima, sia nelle stagioni successive. In Premier, beh, la favola Leicester sembra destinata a svanire, trascinando con sé il pazzesco titolo del 2016, la FA Cup e la Community Shield del 2021, così come una serie di entusiasmanti cavalcate nelle competizioni continentali. Rispetto a quelli citati, però, il caso più clamoroso interessa la Liga. E il Valencia.

L’hombre vertical e i successi

Nel weekend, la depressione del club spagnolo si è trasformata in terrore. Il Mestalla è risultato terreno di conquista anche per il malandato Siviglia - lui, sì, tornato a respirare -, mentre la zona retrocessione ha inghiottito definitivamente i padroni casa. Con 27 punti all’attivo e un tecnico disperato che si è visto costretto a gettare la spugna, il Valencia occupa il terz’ultimo posto. Il baratro della Segunda Liga, insomma, è lì, pronto a spalancarsi. Fa un certo effetto. Eccome. Parliamo infatti di una società che, a cavallo del nuovo millennio, si distingueva sia in Spagna, sia sulla scena internazionale, della quale è stata una splendida protagonista. In ordine sparso: due finali di Champions consecutive (entrambe perse), una Coppa e una Supercoppa UEFA, due campionati vinti. Erano gli anni dell’hombre vertical Hector Cuper e di Rafa Benitez, entrambi capaci di plasmare una squadra moderna, fatta di inserimenti, verticalità e un dinamismo pazzesco dalla cintola in su. La sola in grado di spezzare l’egemonia dei poli, Barcellona e Madrid, nel XXI secolo. Un undici bello e tremendo, che quasi si poteva recitare a memoria. Cañizares, Angloma, Pellegrino, Farinós, Gerard, Kily Gonzalez, Mendieta, Angulo, Claudio López. O ancora Carboni, Ayala, Aimar, Carew. Per alcuni di loro, dalla Lazio in primis, vennero fatte follie. Replicare la magia, tuttavia, non fu possibile.

Il punto di rottura nel 2019

Eppure, nell’ottobre del 2014, i tifosi erano tornati a sperare proprio in quei fasti. Dopo un lungo periodo di spese scriteriate e conseguenti difficoltà finanziarie - ereditate dalla presidenza targata Juan Soler - a rilevare il Valencia era stato Peter Lim. Attraverso la società Meriton Holdings, l’uomo d’affari e miliardario di Singapore aveva concretizzato l’operazione. Non solo. Con investimenti e promesse importanti, al termine della prima stagione era altresì riuscito a convincere sostenitori e addetti ai lavori. Oggi, le stesse persone non hanno dubbi. Il principale e finanche unico colpevole della pericolante situazione sportiva è da attribuire all’azionista di maggioranza. Lim, che sempre nel 2014 aveva messo le mani anche sul Salford City, compagine della quarta divisione acquistata insieme agli ex giocatori del Manchester United Beckham, Scholes, Butt, Giggs e Neville (Phil e Gary), ha inanellato un errore dopo l’altro. Mal consigliato, leggiamo, dal super agente portoghese Jorge Mendes, del quale il proprietario del Valencia è persino testimone di nozze. A Lim viene rinfacciata una strategia rinunciataria, tesa alla rapida svendita dei migliori elementi e, di riflesso, all’indebolimento della squadra. Emblematico quanto accaduto al tramonto della stagione 2018-19, per tutti il punto di rottura tra proprietà e piazza: nonostante la conquista della Copa del Rey contro il Barcellona, la semifinale di Europa League e il 4. posto nella Liga, Lim ha scaricato il tecnico Marcelino e il direttore generale Mateu Alemany. Il motivo? Il disaccordo fra le parti circa la politica dei trasferimenti. «Da allora la percezione comune che si ha di Lim è una sola: non gli importa nulla del destino del club» ha spiegato alla BBC il giornalista valenciano Paco Polit. Un distacco, questo, che Gennaro Gattuso ha pagato in prima persona. Il tecnico italiano, assunto la scorsa estate e figlio dell’ennesima svolta sul piano tecnico, ha alzato bandiera bianca a fine gennaio, a fronte dei pessimi risultati - certo - ma soprattutto del mancato ascolto dei vertici societari. Chiedeva rinforzi, Rino, per ridare slancio e credibilità a un club storico. E invece no, nel giro di un ventennio il Valencia sta conoscendo un triste declino. Dal tetto d’Europa alla polvere.