Il caso

Integratori o doping? «Erano apprendisti stregoni»

Gli anni Novanta, la Serie A e l'ombra delle sostanze proibite: l’allarme di Dino Baggio dopo la morte di Gianluca Vialli fa discutere – L'esperto Martial Saugy: «All’epoca gli stessi giocatori assumevano senza sapere»
La scienza non è riuscita a fare completamente luce sulle controverse pratiche utilizzate negli anni Novanta. © Shutterstock

«Dirò una banalità, ma all’epoca gli stessi giocatori non sapevano quali sostanze stessero assumendo. E questo, ieri e oggi, rimane il problema maggiore nella comprensione dei fenomeni del doping». La riflessione, amara, è di Martial Saugy. Un’istituzione svizzera nel campo dell’antidoping. Storico direttore del Laboratorio d’analisi di Losanna, in prima linea negli scandali Festina o più di recente nel quadro del doping di Stato promosso dalla Russia, il 68.enne ha trascorso la vita a caccia di sostanze proibite nel mondo dello sport. Studiandone tendenze, effetti. E pericoli. Ecco perché ci siamo rivolti a lui dopo il grido d’allarme lanciato da Dino Baggio. Scosso dalle morti degli amici e vecchi compagni di squadra Gianluca Vialli e Sinisa Mihajlovic, l’ex giocatore italiano - 330 presenze in Serie A e 60 gare con la maglia azzurra - è tracimato. «Negli anni Novanta prendevamo tanti farmaci, diteci se erano pericolosi. Sono preoccupato: quelle sostanze sono ancora nel mio corpo?». Le dichiarazioni rilasciate all’emittente veneta Tv7 e poi precisate alla Gazzetta dello sport hanno fatto rumore. Tanto rumore. Riportando alla luce pratiche controverse del periodo. Calcio, ciclismo, atletica. E altre ancora. Tutte discipline finite nei radar della giustizia (non solo sportiva), dopo aver a lungo flirtato con l’illegalità. «Vorrei sapere dagli scienziati se gli integratori che prendevamo, a lungo andare, possono creare problemi» ha insistito Baggio, allontanando tuttavia l’ombra del doping: «Figuratevi se i medici ci davano sostanze di questo tipo: avevamo controlli ogni tre o quattro giorni». Già. Peccato che negli anni la scienza abbia scoperto molte cose.

«Controlli non sistematici»

«Gli anni Novanta hanno fatto rima con mercato libero e con l’idea generalizzata fra gli atleti che la performance dipendesse più dalle sostanze assunte che dall’allenamento» rammenta Saugy. «Ciò non significa che tutti gli sportivi abbiano utilizzato o abusato di determinati prodotti. Sono però d’accordo circa l’allarme riferito al ricorso eccessivo degli integratori e di alcuni medicamenti». L’esperto precisa il concetto: «Il fenomeno della creatina, a mio avviso, ha rappresentato la porta d’ingresso per il doping. Calcio compreso. I controlli sui complementi alimentari, d’altronde, erano tutto fuorché sistematici. Il fenomeno, allora, non era assolutamente regolamentato. La creatina si assumeva in dosi esagerate, per nulla fisiologiche. Sì, si giocava agli apprendisti stregoni». E Saugy chiarisce il motivo: «Quando si parla di creatina, il passo che porta al nandrolone è molto breve: parliamo dello steroide anabolizzante di base nel culturismo. Peccato che all’epoca i casi di positività a questa sostanza nel mondo del pallone siano stati altresì diversi. Tradotto: alcuni integratori venivano volontariamente contaminati, altri no. Spesso all’insaputa del giocatore che li assumeva. Non un caso, comunque: le persone che fabbricavano la creatina, facevano lo stesso con gli steroidi anabolizzanti per i bodybuilder». Con tutti i rischi del caso. «Negli ambienti nei quali è stato riscontrato un utilizzo eccessivo di queste sostanze – e penso appunto al body building o al sollevamento pesi – è stata dimostrata una degradazione della salute, sia immediata, sia nel tempo» sottolinea Saugy. Per poi fare una precisazione doverosa: «In questi settori le verifiche erano praticamente assenti e l’eccesso, di riflesso, sdoganato».

Il fenomeno della creatina ha rappresentato la porta d’ingresso per il doping
Martial Saugy, ex direttore del Laboratorio d'analisi antidoping di Losanna

«Il mercato era libero»

Sui campi da calcio e negli spogliatoi, suggerivamo, il grado di allerta è invece aumentato progressivamente. «Per quanto riguarda gli steroidi, dal 1995 in poi era improbabile assumerne importanti dosi senza risultare positivi: banalmente perché già all’epoca si potevano rilevare». Diverso - eccome - il discorso per altre tipologie di prodotti. Ancora Saugy: «Restando agli anni Novanta e alle squadre di calcio, non sappiamo molto dell’utilizzo – e degli eventuali abusi – dell’ormone della crescita. Che al contrario degli steroidi non era rilevabile dai controlli di laboratorio. E lo stesso avvenne con l’EPO sino al 2000». Entrambi figuravano sul mercato libero, mentre nel caso degli integratori - «o dei corticosteroidi» aggiunge il nostro interlocutore - la difficoltà risiedeva nel quantificare eventuali contaminazioni.

Ma alla fine era doping? Sì, no, forse. Da un punto di vista medico, la questione è per certi versi relativa. «Prendiamo gli antinfiammatori, non un prodotto dopante» indica Saugy: «Se assunti a titolo preventivo e in modo costante, Voltaren o ibuprofene possono essere estremamente nocivi per il sistema cardiovascolare – è dimostrato –, muscolatura e tendini».

Il fattore genetico

Con le sue esternazioni, tuttavia, Dino Baggio è andato oltre. Suggerendo un rapporto di causa-effetto tra i fenomeni appena descritti e le gravi malattie che hanno segnato il destino di due icone della Serie A, 53 e 59 anni. Il ct della nazionale italiana Roberto Mancini, per dire, ha tirato subito il freno a mano. «Bisogna andarci con i piedi di piombo con queste dichiarazioni». «Se si tratta di patologie tumorali, serve essere molto prudenti» concorda Saugy. «È vero: i medicamenti, di base, sono tossici. Ma i potenziali effetti, a lungo termine, dipendono con ogni certezza dalla genetica del singolo individuo. Alcuni sopportano molto bene l’assunzione di particolari farmaci, metabolizzandoli ed eliminandoli senza che ciò sia a detrimento della propria salute. Per altri accade l’esatto opposto». Ma ribadiamo: di qui a stabilire un legame tra le patologie in questione - la leucemia di Mihajlovic, il cancro al pancreas di Vialli o ancora la sclerosi laterale amiotrofica di Borgonovo, per diverso tempo associata ai pesticidi utilizzati sui campi - ce ne passa. Su questo gli specialisti che abbiamo interpellato non hanno dubbi. «La risposta più onesta che uno scienziato possa dare, è che non vi sono dati statisticamente significativi per trarre delle conclusioni univoche» il parere di uno dei più grandi esperti nel settore che abbiamo avuto modo di contattare.

L’ex direttore del Laboratorio d’analisi antidoping di Losanna Martial Saugy, da parte sua, parla apertamente di frustrazione: «Negli anni Novanta avremmo voluto affermare con sicurezza che, 10 o 20 anni dopo, a forza di assumere EPO sarebbero insorte - inesorabili - precise complicazioni mediche. Non solo: già allora dibattevamo su cosa servisse, a livello di studi epidemiologici, per ottenere dei riscontri attendibili a lungo termine. Beh, non abbiamo trovato la risposta definitiva». Nuove risposte le auspica però Dino Baggio. Una sorta di radiografia a posteriori. «Okay, ma quanti ex giocatori attivi in quegli anni sarebbero d’accordo di uscire allo scoperto, oggi, ammettendo di aver assunto questa o l’altra sostanza?» conclude amaramente Saugy.

Zeman, i primi sospetti e lo scandalo del 2001

Zdenek Zeman, sul tema, non è mai stato tenero. Né con i suoi calciatori, né con i club. In generale, a stare stretto al boemo è un certo sistema-calcio. L’allenatore è stato (ma lo è ancora) uno dei più feroci accusatori della Serie A. In particolare quando il tema del dibattito riguarda il doping. In Italia il primo bubbone scoppia nel 2001. E il controverso prodotto sulla bocca di tutti è uno soltanto: il nandrolone. Un anabolizzante. La campagna che cerca di minimizzare i primissimi casi di positività nel massimo campionato italiano va avanti per qualche mese. Ma poi lo scandalo arriva per davvero. Nella rete cadono i primi big: Edgar Davids (Juve) e Fernando Couto (Lazio). Poi via via tutti gli altri. In tutto sono otto da inizio stagione. Le squalifiche? Leggere. Come leggere saranno le sospensioni di Guardiola e Stam, due anni dopo. «Vedete? Dicevano che ero matto. Invece forse avevo ragione», dice, riguardo a quei casi, Zeman. E il riferimento è a qualche anno prima, al 1998. In un’intervista a L’Espresso, infatti, il tecnico (all’epoca sulla panchina della Roma) tolse il coperchio al sistema parlando dell’abuso di doping e farmaci nel mondo del calcio. «La farmacia d’Italia». La pratica, in particolare, coinvolgeva la Juventus. «Chissà, quei farmaci magari non provocano alcun guasto. Ma chi può escludere che i danni si manifestino a distanza di anni? Se si intravvedono rischi, occorre prevenirli, non aspettare che esploda il bubbone». Il tema è proprio quello. La paura di qualcosa che non si conosce. Ai tempi, Batistuta consigliava ai compagni di non assumere integratori. Pessotto, invece, per timore di certe sostanze, beveva solamente acqua. Oggi, dopo le parole di Dino Baggio e di altri calciatori di quell’epoca, il tema si ripropone. «Quali sostanze ci facevano prendere?», si chiedono parecchi calciatori. Sì, a trent’anni di distanza, lo spettro dello scandalo doping è ancora lì.