L'intervista

John Slettvoll: «Un’emozione veramente grandissima»

Lo svedese commenta così il suo ulteriore passo nella leggenda dell'HC Lugano: entrare nella Hall of Fame del club bianconero
©Francesca Agosta
Flavio Viglezio
01.12.2023 13:30

John Slettvoll ha compiuto un ulteriore passo nella leggenda dell’HC Lugano. Il tecnico di mille battaglie - e di quattro titoli nazionali - è entrato nella Hall of Fame del club bianconero. Lo svedese - che stasera assisterà al derby della Cornèr Arena - è arrivato in Ticino accompagnato da una figlia e da due nipoti.

Johns Slettvoll, cosa si prova a entrare nella Hall of Fame del Lugano?
«Ricevere questo riconoscimento è un grande onore per me. Soprattutto perché non sono un ticinese, anche se questa è la mia seconda casa. A quei tempi non era così scontato lasciare il proprio Paese per andare a lavorare all’estero. E soprattutto non era scontato essere accettato come lo sono stato io. Ho avuto il privilegio di portare avanti il mio progetto e le mie idee con il sostegno di tutti. È bello tornare qui e vedere tutte queste persone così importanti nella mia vita. Sono felice i vedere anche voi giornalisti (ride, ndr). I titoli e le medaglie passano, i ricordi e le relazioni umane rimangono per tutta la vita. Devo ringraziare tutti, ma specialmente una persona...».

Non è difficile immaginare di chi si tratti...
«Sto naturalmente parlando di Geo Mantegazza. È grazie a lui se ho potuto vivere tutte queste emozioni a Lugano. Ricordo molto bene il nostro primo incontro, in Svezia: restammo a discutere fino alle 3 del mattino. Una settimana dopo mi voleva in Ticino: dissi a mia moglie che in ogni caso non avrei firmato nulla e invece tornai in Svezia con il contratto che mi legava al club bianconero. Con Geo Mantegazza ho avuto l’opportunità di portare avanti le mie idee e questo per me era fondamentale. Il nostro presidente è stato importantissimo per me, per il mio lavoro e per tutta la mia famiglia».

Quello fu l’inizio di un’avventura che ha permesso di scrivere la storia dell’hockey bianconero e svizzero...
«Assolutamente sì e per questo devo dire grazie anche ai giocatori che ho avuto. Da solo non avrei potuto fare nulla. Ho sempre lavorato con ragazzi che volevano raggiungere traguardi importanti insieme a me. Sono tantissimi, troppi per fare dei nomi. Ma insieme abbiamo creato un’etica del lavoro incredibile. Ricordo quando dissi che il nostro obiettivo sarebbe stato quello di vincere il titolo in tre anni: tutti, dai tifosi alla società, ci hanno sempre sostenuto. Lo ripeto: Lugano per me è una seconda casa. Anzi, una terza a dire il vero, perché io per metà sono norvegese (ride, ndr). Ancora oggi i miei parenti in Norvegia sono sorpresi di vedere il cognome Slettvoll apparire sui social o sui media svizzeri.

La storia tra Slettvoll e il Lugano è stata un po’ come un matrimonio: lunga, piena d’amore ma anche di tante litigate. Alla fine però si riesce sempre a fare la pace, quando il rapporto è solido...
«Sì, è ciò che penso pure io. Io sono sempre stato molto esigente: sono flessibile ma ci sono dei punti fermi e dei valori di base sui quali non ho mai ammesso discussioni. Anche un club però ha una sua opinione, una sua filosofia e non si può sempre essere sulla stessa lunghezza d’onda. Sì, ci sono stati dei contrasti professionali, ma alla fine si risolve tutto. Si arriva a un punto in cui si volta pagina, e non è un caso se oggi sono qui a ricevere questo graditissimo riconoscimento. Un giorno Fausto Senni mi disse: ''John, la vita è troppo corta per litigare senza trovare delle soluzioni''. Aveva ragione. Sì, la mia storia con l’HC Lugano è un matrimonio, dove per restare uniti per tutta la vita alla fine bisogna trovare un accordo, anche facendo qualche compromesso».

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