Hockey

Julian Walker: «La gente ha apprezzato il mio spirito da lottatore»

Intervista all'ormai ex attaccante del Lugano, fresco di ritiro dopo venti stagioni in National League e undici in bianconero
© Keystone/Samuel Golay
Fernando Lavezzo
04.04.2024 21:15

«Guerriero», «Uomo squadra», «Leader naturale». Sono queste le parole utilizzate dall’HCL nell’annunciare il ritiro di Julian Walker dopo 20 stagioni in National League e 11 in bianconero. Lo abbiamo intervistato.

Julian, quando hai preso la decisione di smettere? Già a inizio stagione? Oppure l’infortunio di novembre, l’ennesimo degli ultimi anni, ha accelerato i tempi?
«Ricordo che nell’autunno del 2018, quando firmai un rinnovo fino al 2023, mi dissi che ogni stagione supplementare sarebbe stata un bonus. Al termine dello scorso campionato, nonostante una lunga assenza per infortunio, il Lugano mi ha poi dato la possibilità di giocare un altro anno. Per me era già abbastanza chiaro che sarebbe stato l’ultimo».

La tua carriera si è di fatto chiusa lo scorso 4 novembre, quando ti sei infortunato al gomito sbattendo contro la porta del Kloten. Quando hai capito che non saresti riuscito a rientrare in tempo per il finale di stagione?
«Quasi subito. La diagnosi di 4 mesi lasciava pochi spiragli. Le chance sarebbero state ridotte anche se la squadra fosse arrivata in finale. Ho giocato la mia ultima partita senza saperlo. Dire addio in pista sarebbe stato emotivamente diverso. Forse più facile, forse più difficile. Non ci ho mai riflettuto».

Sabato, in occasione della festa di fine stagione, riceverai l’abbraccio dei tifosi, con i quali hai avuto un rapporto speciale. Nel 2015, insieme a Brunner, hai pure seguito un derby in curva...
«Quella fu una serata divertente (ride, ndr.). Non ho ancora pensato alla festa di domani, negli ultimi giorni ero alle prese con l’influenza. Spero di incontrare tante persone. Quando la società ha annunciato il mio ritiro, mercoledì, ho ricevuto molti messaggi. Rispondendo a tutti, mi sono reso conto di aver chiuso un grande capitolo. E di aver lasciato un segno, in qualche modo».

L’etichetta di lottatore ti ha accompagnato fino all’ultimo. Nelle scorse settimane, nella serie con il Friburgo, è stato sottolineato il peso della tua assenza.
«Questi attestati di stima mi fanno molto piacere. Sono stato fortunato, perché a Lugano le mie caratteristiche sono sempre state apprezzate e valorizzate. Ho sentito di avere un impatto sul gioco».

Ad inizio carriera immaginavi un ruolo diverso, più offensivo, oppure per te è sempre stato chiaro che avresti fatto questo? Ricordiamo che nel tuo ultimo anno da juniores, a Berna, avevi totalizzato 69 punti in 51 partite...
«Ma in quella stagione mi aveva aiutato il fatto di essere uno dei più vecchi e dei più grossi. Già in Nazionale U16, in realtà, l’allenatore Charly Oppliger mi disse che avrei avuto un futuro come lottatore, come ala fisica. Da quel momento, non mi sono mai aspettato altro».

Quando la società ha annunciato il mio ritiro, ho ricevuto molti messaggi. Rispondendo a tutti, mi sono reso conto di aver chiuso un grande capitolo. E di aver lasciato un segno, in qualche modo

Nel Lugano di oggi esiste già il Julian Walker del futuro?
«Vedremo. Alcuni dei giovani arrivati in prima squadra spiccano per la loro corporatura. Lorenzo Canonica e Roberts Cjunskis, ad esempio, potranno avere un importante impatto fisico sul gioco».

Già da tempo lavori come consulente finanziario. Terrai un piede anche nel mondo dell’hockey?
«È stato molto importante pianificare il mio futuro professionale in anticipo, cercando una strada che mi piacesse davvero e che spero di continuare a percorrere. Per quanto riguarda l’hockey, vedremo. Per ora non ho pensato di fare l’allenatore o altro. Finché vivi lo spogliatoio, è difficile capire quanto ti mancherà in futuro. Quel che è certo, è che mi vedrete spesso alla Cornèr Arena per assistere alle partite. Lugano è casa mia, le mie figlie sono nate e cresciute qui. Non ci muoveremo di certo».

Quando sei arrivato a Lugano, nel settembre del 2013, immaginavi di restare così a lungo?
«No, perché nello sport tutto può cambiare in fretta. Con i bianconeri, però, è sempre stato facile trovare un accordo per continuare insieme. Se nel 2018 non fosse arrivata l’offerta dell’HCL, avrei cercato un’altra squadra, perché avevo ancora tanto da dare in pista. Ma una volta firmato il rinnovo fino al 2023, ho capito che non ci sarebbe stata nessun’altra maglia nel mio futuro».

Tempo di bilanci: quali sono stati i momenti più belli della tua carriera?
«Partendo da molto lontano, devo citare i miei primi due anni in National League con il Basilea. Eravamo un gruppo di giovani e ci siamo fatti tante risate, ottenendo pure qualche successo. Ad esempio la qualificazione ai playoff del 2006. Anche ad Ambrì ho trascorso quattro anni piacevoli, nonostante i due spareggi-salvezza. Ed è proprio lì che ho conosciuto mia moglie. Devo sicuramente menzionare i Mondiali del 2013 a Stoccolma. Non solo per la medaglia d’argento, ma per tutto quello che abbiamo vissuto insieme. Un’esperienza breve e intensa, con un gruppo fantastico, in un ambiente idilliaco. Gli undici anni a Lugano li metto tutti insieme. Ogni giorno, infatti, è stato un piacere entrare in quello spogliatoio. Tanti compagni sono diventati grandi amici».

La tua prima gara in NLA, datata 17 settembre 2004, è stata anche l’unica con la maglia del Berna, la squadra in cui sei cresciuto e per cui tifavi da ragazzo. Avversario il Kloten, contro cui 20 anni dopo hai chiuso il cerchio. Cosa ricordi di quell’esordio?
«Soprattutto il nervosismo. Trovarmi davanti il muro dei tifosi fu un’emozione incredibile. Ero talmente agitato che durante il riscaldamento continuavo a sbattere contro i compagni. Tutti mi chiedevano cosa stessi combinando».

La finale del 2018, persa a gara-7 contro gli ZSC Lions, è un ricordo bello o brutto?
«Tutte e due. Abbiamo fatto un percorso incredibile, bellissimo, emozionante. Ma non aver alzato la coppa è stato doloroso. Fa male ancora oggi. Ho sempre detto che la fortuna bisogna meritarsela, eppure credo che quel giorno ce la meritassimo noi. Sarebbe stata la storia perfetta. Da romanzo. Mi chiedo perché il destino abbia voluto scrivere un finale diverso. Se potessi rigiocare una sola partita, sarebbe quella».

Un’ultima domanda: il titolo tornerà a Lugano, prima o poi?
«Certamente. Il campionato è sempre più equilibrato, la concorrenza è agguerrita, ci sono almeno sei o sette squadre in grado di alzare il trofeo. Ma ogni volta che ti qualifichi ai playoff, hai una chance per arrivare in fondo. Poi dipende da tanti fattori: la forma del momento, il groove della squadra, gli episodi. Io sono ottimista, a Lugano si sta lavorando bene».