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La cacciatrice ticinese di patrimoni olimpici: «Per il casco di Lindsay Vonn ho aspettato alcuni mesi»

Anna Volz, senior manager del Museo olimpico di Losanna, svela i segreti che si celano dietro ad una delle manifestazioni sportive più affascinanti del mondo e racconta la storia dei cimeli donati dagli atleti
Al Museo olimpico di Losanna c’è una raccolta di cimeli che continua ad arricchirsi. ©Keystone/Laurent Gillieron
Matteo Generali
25.06.2024 22:00

Manca solamente un mese all’inizio delle Olimpiadi di Parigi 2024. La situazione politica in Francia non giova sicuramente ad un avvicinamento sereno ai Giochi. Chi però ha già iniziato a lavorare e programmare gli eventi per la manifestazione è Anna Volz, attuale senior manager del Museo olimpico di Losanna, nel quale è impiegata da 13 anni.

Il Museo è il centro di conoscenza della storia olimpica e ospita la più grande e completa collezione di patrimonio olimpico al mondo: 75 mila manufatti, 1 chilometro lineare di archivi storici, 794.000 fotografie, 47.700 ore di video, 52 film restaurati, 8.900 ore di registrazioni audio. Volz, con il suo gruppo di lavoro, si recherà a Parigi per provare ad arricchire ancor di più il museo vodese. Come? Attraverso la raccolta dei cimeli che atleti e atlete doneranno al termine delle loro performance. L’abbiamo intervistata per scoprire i segreti che si celano dietro a una delle competizioni sportive più affascinanti del mondo.

Lei conosciuta anche come una «cacciatrice di patrimoni olimpici», un lavoro decisamente non banale…

«Sì, è un’attività che svolgo ogni due anni, solo durante i Giochi. Nel resto del tempo ho un lavoro più tranquillo al Museo olimpico. Quelle di Parigi saranno le mie settime Olimpiadi: ho iniziato a Londra nel 2012 e da allora le ho seguite tutte. Siamo un gruppo di 4-5 persone del Museo, provenienti da vari dipartimenti e alle Olimpiadi espandiamo, attraverso la raccolta dei cimeli, la nostra collezione. Nell’immaginario collettivo ci si aspetta che al termine della gara dei 100 metri io corra verso Usain Bolt e chieda le scarpe con cui ha stabilito il record, ma la situazione è un po’ diversa. Prima della manifestazione stabiliamo contatti con gli atleti, le federazioni e gli sponsor. Questo ci permette di semplificare il lavoro in loco. Veniamo chiamati ‘heritage hunters’ perché è davvero una caccia al tesoro, una ricerca al manufatto più speciale e iconico».

La raccolta di questi cimeli comporta la conoscenza di grandi atleti, ne ricorda di particolari?

«Ci sono sempre molte storie dietro agli oggetti. Abbiamo pezzi appartenenti ad atleti famosi e molto noti, che però, per via di questioni contrattuali, ci richiedono più tempo per donare i loro oggetti. Un esempio è il casco di Lindsay Vonn: dopo le Olimpiadi doveva ancora affrontare alcune gare della Coppa del Mondo di sci e dunque il casco firmato ci è giunto alcuni mesi dopo. Altre volte, invece, quando l’atleta passa per Losanna, organizziamo una breve cerimonia in suo onore. Per il museo è importante avere nomi riconoscibili al grande pubblico, eppure personalmente sono molto legata a storie di sportivi di nicchia, in cui si è costruito un rapporto di fiducia. Quello dello sportivo arrogante è uno stereotipo: in realtà sono tutte persone davvero semplici. Forse è l’entourage a renderle irraggiungibili e di conseguenza poco alla mano».

Torniamo al museo in sé. Quanti oggetti raccogliete nel corso di un’Olimpiade?

«Ad ogni edizione raccogliamo un centinaio di oggetti in tutto. Dipende anche se si tratta dei Giochi estivi o invernali. Nei mesi caldi, ci sono più sport rispetto a quelle all’inverno. A Parigi 2024, ad esempio, ci saranno 32 discipline sportive. In confronto, le Olimpiadi invernali del 2026 a Milano-Cortina includeranno “solo” 8 sport principali».

Anche in qualità di addetta ai lavori lo spirito olimpico si percepisce? È qualcosa di mitizzato oppure è tangibile?

«Lo spirito olimpico è qualcosa di davvero speciale, molto difficile da descrivere poiché ognuno ha la propria definizione. Ricordo in particolare la prima Olimpiade a cui ho partecipato, Londra 2012: davvero emozionante, anche perché i Giochi londinesi si sono poi rivelati perfetti dal punto di vista organizzativo. Noi lavoriamo nel villaggio olimpico: ci si ritrova tra migliaia di ragazzi e ragazze da ogni parte del mondo. Si percepisce l’euforia, tutti sanno di vivere un momento che capita a pochissimi sportivi. Anche il pubblico partecipa alla festa. Anzi, la descriverei come una festa dell’umanità. Ogni atleta vuole dare il meglio di sé, per vincere una medaglia; eppure, la gioia della sola partecipazione è il più delle volte sufficiente».