Aeschlimann tra le stelle nel buio di Salt Lake City

Inizia domattina contro la Russia il torneo olimpico della Nazionale maschile di hockey. Esattamente vent’anni prima, il 9 febbraio del 2002, la selezione rossocrociata entrava in scena ai Giochi di Salt Lake City. Un fallimento. Tra i pochi a brillare ci fu Jean-Jacques Aeschlimann, che chiuse la classifica marcatori al sesto posto. Abbiamo raccolto i suoi ricordi.
L’hockey svizzero vorrebbe dimenticarle, le Olimpiadi del 2002 nello Utah. La Nazionale di Ralph Krüger uscì malconcia a livello sportivo – eliminazione in un girone abbordabile con Bielorussia, Francia e Ucraina – e a livello d’immagine, con l’allontanamento di Marcel Jenni e Reto Von Arx a causa di una notte brava dopo la sconfitta con gli ucraini.
Jean-Jacques Aeschlimann, invece, quei Giochi non li ha voluti rimuovere. Nei giorni scorsi, sui social, l’attuale direttore operativo del Lugano ha riproposto la classifica marcatori del torneo. Primo lo svedese Mats Sundin, secondo e terzo gli statunitensi Brett Hull e John LeClair, quarto il canadese Joe Sakic, quinto lo slovacco Marian Hossa. Tutti miti della NHL. Al sesto posto c’è proprio lui, «J.J.», autore di tre reti e tre assist in quattro partite. Alle sua spalle altre leggende quali Mario Lemieux, Steve Yzerman, Mike Modano e Jaromir Jagr. Solo per citarne alcuni.
«Se ripenso a Salt Lake City, la prima cosa che mi viene in mente non sono i miei gol. E neppure i risultati della squadra. A prevalere sono l’aspetto umano, gli incontri al villaggio e l’atmosfera particolare di quei Giochi americani. Avevo 35 anni e per me erano i primi. Cinque mesi prima c’era stato l’attentato alle Torri Gemelle e si percepiva tanta tensione. Il dispositivo di sicurezza era impressionante. Alla cerimonia d’apertura c’era George W. Bush e ricordo gli elicotteri che sorvolavano lo stadio. Il sentimento patriottico degli statunitensi era fortissimo. Sembrava che il Paese volesse ripartire e prendersi una rivincita attraverso il medagliere».


La sconfitta e lo scandalo
Il cammino della Svizzera iniziò con un deludente pareggio con la Francia di Huet e Bozon. Aeschlimann segnò il provvisorio 1-1 e fornì un assist per il definitivo 3-3. La successiva sconfitta per 2 a 5 con l’Ucraina condannò i rossocrociati, nonostante il seguente successo per 2-1 contro la Bielorussia (gol vittoria di «J.J.»). Furono proprio i bielorussi a vincere il girone e ad accedere ai quarti, dove a sorpresa eliminarono la Svezia. «L’obiettivo fu fallito, non si discute», racconta Aeschlimann. «Va detto che quell’Ucraina non era affatto debole come si potrebbe pensare. Era formata da tanti giocatori di AHL. Probabilmente tutto l’ambiente, compresa la squadra, la sottovalutò».
Dopo quella brutta sconfitta scoppiò lo «scandalo Jenni - Von Arx», con i due attaccanti protagonisti di una notte ad alto tasso alcolico: «Il giorno seguente Krüger ci comunicò che Marcel e Reto erano stati sospesi e rispediti a casa. Prima del suo annuncio, non mi ero accorto di nulla e non ricordo segnali di spaccatura all’interno del gruppo. Credo piuttosto che una buona parte dei giocatori non comprese il vero significato dello spirito olimpico e non si rese conto di quanto fossimo fortunati a rappresentare il nostro Paese in questo grande evento».
Tra le leggende del gol
L’Olimpiade 2002 degli elvetici si chiuse con la sfida per l’11. posto vinta 4-1 contro l’Austria. Con un altro gol e un altro assist, Aeschlimann scalò la classifica dei marcatori. «È una cosa di cui vado ancora fiero, ci mancherebbe. Basta leggere chi altro si trova su quella lista. Chi mi conosce, però, sa che sono sempre stato un uomo-squadra. Quindi la delusione per i risultati superò di gran lunga la soddisfazione per le statistiche personali. Quel che si può dire è che la mia linea, completata da Rötheli e Jeannin, fece la sua parte. Ma resta il rammarico di non aver potuto sfidare una grande squadra nei quarti di finale. Sarebbe stato bello metterci alla prova contro i monumenti della NHL. Ricordo di aver interrotto un pranzo tra Steve Yzerman e Brendan Shanahan per poterli conoscere. Furono entrambi molto gentili e scambiammo quattro chiacchiere. Invece un mio compagno di squadra chiese l’autografo a Mario Lemieux, il quale firmò con parecchia arroganza. Non tutte le star sono uguali».
Costi quel che costi
A quelle Olimpiadi, Jean-Jacques Aeschlimann rischiò di non andarci: «In dicembre, due giorni dopo che la selezione per Salt Lake City venne definita, mi strappai il legamento di un ginocchio. Rimasi fermo fino a fine gennaio. Krüger mi disse che mi avrebbe portato ai Giochi solo se fossi riuscito a giocare almeno due gare di campionato prima della partenza. Il dottor Rigoni e il fisioterapista Baudino fecero di tutto per rimettermi in sesto in tempo utile. Soltanto dopo le Olimpiadi lo staff medico dell’HCL mi confessò di aver corso un rischio consentendomi di giocare quelle ultime due partite di campionato. Avevo quasi 35 anni e sapevano quanto ci tenessi a disputare le mie prime e ultime Olimpiadi».
Un gruppo sperimentato
Ora tocca ai ragazzi di Patrick Fischer. Cosa si aspetta Jean-Jacques Aeschlimann da Pechino 2022? «La squadra elvetica è una delle più sperimentate tra quelle presenti. È un gruppo che lavora insieme da tanto tempo e che ha già mostrato il suo valore. Può andare lontano, sì, ma non mi sbilancio sulle medaglie. Per quelle, tutto deve essere perfetto. Inoltre, l’assenza di un leader come Josi – presente nelle due finali mondiali – si farà sentire».