Arcobello: «Vicino alla mia terra d’origine ho trovato nuovi stimoli»

Dopo aver fatto le fortune del Berna, oggi la classe di Mark Arcobello illumina la Cornèr Arena. Gli sono bastate poche partite per integrarsi totalmente nella nuova realtà ticinese. Schivo e modesto, ma con le idee ben chiare, l’attaccante americano di origini italiane si confida in una lunga chiacchierata.
Da Berna a Lugano: un nuovo stile di vita, un’altra cultura, una lingua diversa: come si trova in Ticino Mark Arcobello?
«Per ora io e la mia famiglia ci sentiamo piuttosto bene. Purtroppo stiamo vivendo un anno davvero difficile a causa della pandemia di coronavirus e quindi non abbiamo ancora avuto l’opportunità di visitare e scoprire questa magnifica regione. Lugano è molto diversa da Berna, direi in tutto, ma ci piace molto lo stile di vita ticinese. Mi auguro come tutti che questo virus possa scomparire presto in modo da poter vivere più concretamente la realtà luganese».
Sul ghiaccio invece di problemi non ce ne sono: sembra quasi che Mark Arcobello giochi nel Lugano da anni...
«Ormai conosco bene il campionato elvetico e tutte le squadre che vi prendono parte: questo per me è indubbiamente un vantaggio rispetto per esempio ad uno straniero che arriva in Svizzera dal Nordamerica. Io poi sentivo che era giunto il tempo di cambiare aria, di provare una nuova esperienza e questo – anche inconsciamente – mi ha dato una carica e una motivazione supplementare. Ci tenevo a cominciare subito nel migliore di modi con la mia nuova maglia. E mi sono subito sentito a mio agio nello spogliatoio con i miei nuovi compagni e con lo staff tecnico».
Lasciare Berna dopo quattro stagioni non deve essere comunque stato evidente...
Ho riflettuto bene e con calma e sono arrivato alla conclusione che ormai conoscevo alla perfezione la realtà bernese. Non giocherò fino a 100 anni (ride, NdR) e allora mi sono detto che volevo vedere qualcosa d’altro, fare nuove esperienze. Per questo ho scelto il Lugano. Certo, ci sono ancora giocatori che rimangono nello stesso club magari per dieci anni o anche per tutta la carriera. Ma si tratta di una scelta che fanno maggiormente i giocatori svizzeri, spesso cresciuti nel settore giovanile della squadra di casa. Per uno straniero il discorso è un po’ diverso. Sono stato bene a Berna, ma sono americano, non bernese. E il desiderio di accettare una nuova sfida ha avuto la meglio. Sono felice di aver preso questa decisione».
Cosa spinge invece un giocatore ancora giovane, con poco meno di 150 partite in NHL, a varcare l’oceano per venire in Svizzera?
«Quella era una situazione molto particolare e le ragioni della mia decisione di venire in Europa molto diverse da quelle che mi hanno portato da Berna a Lugano. La verità è che ero stufo dei continui su e giù dalla NHL alla AHL. Inoltre negli ultimi tempi ero rimasto coinvolto in molti movimenti di mercato: desideravo una maggiore stabilità e quando il Berna si è fatto avanti mi sono detto che sarebbe stato molto interessante proseguire la mia carriera in Europa. Sono arrivato in un campionato di qualità, in cui so cosa aspettarmi e cosa il club per il quale gioco si attende da me».
Firmando per il Lugano Mark Arcobello si è avvicinato all’Italia, suo paese d’origine...
«Sì, i miei bisnonni erano italiani e sono originario della Lombardia anche se devo essere sincero: non ricordo il nome del mio paese d’origine. Me l’avevano detto, ma l’ho dimenticato. Non ho più parenti in Italia, ma il mio cognome mi ricorda ogni giorno le mie radici. E quando finalmente il virus sparirà andrò con grande piacere ed emozione a visitare la mia terra d’origine».
Inti Pestoni ha dichiarato che Mark Arcobello parla un ottimo italiano. È vero?
«Assolutamente no (ride di gusto, NdR). Inti ha davvero esagerato. Quando sono con gli amici o con qualche compagno di squadra italofono mi diverto a pronunciare qualche parola, ma non sono in grado di sostenere una conversazione in italiano. Vorrei però impararlo e ho già seguito qualche lezione. Forse tra un paio d’anni potremo ripetere questa intervista in italiano. Forse».
Intanto Mark Arcobello ha già più volte vestito la maglia con la C di capitano. Non capita spesso ad un giocatore – straniero, tra l’altro – appena arrivato in una nuova squadra...
«Beh, è sicuramente un grande onore essere capitano di una squadra come il Lugano. Io però preferisco esprimere la mia leadership sul ghiaccio, impegnandomi sempre al massimo delle mie possibilità. È vero, non capita spesso che uno straniero appena trasferitosi in un nuovo club indossi la maglia con la «C». Probabilmente lo staff tecnico sa che dopo cinque anni in questa Lega, e dopo aver vinto due campionati, posso mettere la mia esperienza al servizio del gruppo anche da capitano. La società ha comunque deciso che per ora non c’è un capitano unico e va benissimo così».
Mark Arcobello, dove può arrivare questo Lugano?
«Siamo una squadra dotata di molto talento: ora si tratta di trovare quella costanza di rendimento indispensabile per raggiungere traguardi ambiziosi. Non è comunque evidente esprimersi al meglio nel contesto in cui ci troviamo. Siamo stati fermi a lungo e in seguito abbiamo disputato tre partite in cinque giorni. È così, dobbiamo adeguarci, ma trovare il giusto ritmo non è facile. Per nessuno, non solo per noi. Se potremo giocare con maggiore regolarità il gruppo avrà la possibilità di crescere ulteriormente e capiremo qual è il nostro valore rispetto alle altre squadre. Oggi è troppo presto per sbilanciarsi. A Zugo ci attende comunque un avversario molto forte e sarà una sfida interessante per capire dove ci troviamo in questo momento».
Mercoledì il Consiglio federale ha deciso di aiutare i club con 115 milioni di franchi a fondo perso. I giocatori dovranno però rinunciare al 20 percento del loro stipendio. Che ne pensa Arcobello?
«Non ho ancora esaminato la situazione nei dettagli, ma ovviamente sono felice che il Governo elvetico abbia capito che lo sport riveste anche un importante ruolo sociale. Questi aiuti erano fondamentali per la sopravvivenza di molte società. Per quel che concerne gli stipendi non nascondo che non si tratta di una questione semplice. Noi siamo professionisti, svolgiamo il nostro lavoro e la nostra carriera non è lunghissima. Ognuno di noi parlerà con il club: oggi è troppo presto per dire qualcosa in più».