Calle Andersson: «A Lugano voglio vincere come ha fatto papà Peter»

Aveva lasciato Lugano che era ancora un ragazzino. Sei anni più tardi – e dopo due titoli svizzeri con il Berna – alla Cornèr Arena è tornato un uomo. Calle Andersson si confida a 360 gradi: il rapporto con papà Peter, l’esperienza con gli Orsi e la voglia di vincere con il club bianconero.
Andersson contro Andersson. Un paio di settimane fa Calle – il difensore del Lugano – ha vissuto una serata emozionalmente intensa. Ha sfidato papà Peter, appena nominato assistente allenatore a Losanna. E lo ha pure battuto. «Mentirei – afferma Andersson – se dicessi che non mi ha fatto strano giocare contro mio papà. Anche perché per lui era la prima volta sulla panchina della formazione vodese. Siamo una famiglia unità, i rapporti tra me e mio padre sono ottimi e di solito voglio che lui vinca. Ed invece è stato proprio il Lugano a dargli il suo primo dispiacere losannese (sorride, NdR). Da un lato è stato bello vederlo in questo suo nuovo ruolo, ma speciale».
Ricordi d'infanzia
C’è un filo indissolubile che lega gli Andersson al club bianconero. I tifosi del Lugano non potranno mai dimenticare le imprese di papà Peter, il titolo svizzero vinto nel 1999 al termine della finalissima contro l’Ambrì Piotta. «Papà è stato felice – prosegue Calle – della mia decisione di tornare in Ticino. Ha immediatamente consultato il calendario del campionato e tra settembre e ottobre ha trascorso un paio di settimane qui con me. So cosa ha significato per il Lugano: incontro ancora gente che parla più volentieri di lui che di me (ride, NdR). Io ai tempi ero un bambino e non capivo bene ciò che stava accadendo, ma oggi sono fiero di ciò che mio padre ha fatto per il Lugano».
Qualche ricordo, anche se un po’ sbiadito, riaffiora dai cassetti della memoria di Calle: «Anche perché abbiamo parlato spesso di quel campionato, della conquista del titolo proprio contro l’Ambrì Piotta, alla Valascia tra l’altro. Io avevo 6 anni e ricordo che papà era tornato a casa nel cuore della notte, stanco ma felicissimo. Il giorno seguente, con mia mamma, avevamo fatto un giro in città con l’automobile: la gente era pazza di gioia. Avevo già iniziato a giocare a hockey e mi dissi che sarebbe stato bello, un giorno, vivere le stesse sensazioni».
Ritorno a casa
Lo ha sempre detto in questi mesi e lo ribadisce, Calle: Lugano è casa sua. «Sì, lo confermo: questa è la mia casa, per quel che riguarda l’hockey. Abito a Paradiso e ho riconosciuto i posti che frequentavo quando ero più giovane. E ho ritrovato tante persone che già facevano parte del club ai tempi della mia prima esperienza in bianconero. Anche la pista è sempre la stessa. Qui mi sento bene, a mio agio: Lugano è la mia città. A Berna sono stato bene, ma non era la stessa cosa. Forse perché i primi anni della mia vita li ho trascorsi proprio qui in Ticino».
L'omaggio a Jalonen
Già, Berna. Nella capitale Calle Andersson è cresciuto, è diventato un giocatore completo, più maturo. E ha conquistato due titoli svizzeri, nel 2017 e nel 2019. «A 19 anni – nella mia prima esperienza a Lugano – ero poco più che un ragazzino. In molti mi consideravano un talento, ma commettevo tanti errori. Ero giovane, insomma. A Berna sono cresciuto soprattutto grazie al coach finlandese Kari Jalonen, ai tempi nostro allenatore con gli Orsi e attuale coachdella Cechia. Un giorno mi ha preso da parte, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che era tempo, per me, di diventare uomo. Jalonen mi ha insegnato cosa serve per vincere, mi ha fatto lavorare duro ogni giorno: senza sconti, ma in modo onesto e corretto. E il premio di questo lavoro è stata la doppia vittoria del campionato. Gli sarò sempre riconoscente».
Obiettivo chiaro, ma difficile
Oggi, a 28 anni, Calle Andersson prova a portare questa filosofia del successo nello spogliatoio bianconero: «Con me c’è Mark Arcobello: anche lui ha conquistato due volte il titolo con la maglia del Berna. Il Lugano non vince da troppi anni, ma d’altra parte bisogna rendersi conto che in Svizzera vincere è diventato difficile. E lo sarà sempre di più. Ci sono tante squadre che puntano al titolo: Zugo, ZSC Lions, Ginevra, Friburgo, Davos, Berna. Tra queste c’è però anche il Lugano. Per riuscirci bisogna che scatti qualcosa di speciale e ci vuole anche un pizzico di fortuna. Da parte mia voglio aiutare questa società a raggiungere il suo obiettivo: è per questo che ho firmato un contratto di quattro anni. So che il club vuole la stessa cosa: se non fosse stato così, non sarei tornato qui. Non subito, per lo meno».
L'età è solo un numero
Per provare a risalire la classifica il Lugano si è separato da Chris McSorley e ha puntato su un tecnico giovane come Luca Gianinazzi. Un cambiamento che Calle Andersson ha vissuto senza particolari patemi: «È vero, Luca è molto giovane, ma l’età non conta. È solo un numero. In Svezia il Växjö Lakers ha vinto due campionati con Sam Hallam, nominato allenatore a poco più di 30 anni. E oggi è il coach della nazionale svedese. Il nuovo sistema di gioco ci piace: sono però cambiate tante cose e ci vuole un po’ di tempo per adattarsi. Questa squadra ha profondamente modificato il suo modi di giocare dopo un anno e mezzo con McSorley. Ora le cose stanno andando meglio e anche da Friburgo avremmo potuto portare a casa almeno un punto. Dobbiamo continuare a camminare a testa alta, rimanendo calmi e fiduciosi al tempo stesso. Non siamo dove vorremmo, in classifica, e faremo di tutto per migliorarla partita dopo partita».
Ad Andersson il Lugano chiede di essere uno dei leader. Di assumersi responsabilità importanti, insomma: «Certo, ma sono responsabilità positive. Ormai ho una certa esperienza del campionato svizzero, ho disputato tante partite importanti, delle finali dei playoff. Il Lugano mi ha ingaggiato per darmi un ruolo importante e io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».
Dolori da trasferta
Sconfitto a Friburgo, il Lugano è ora atteso dai campioni svizzeri dello Zugo, nella seconda di quattro trasferte consecutive. E lontano da casa i bianconeri ancora faticano ad imporre il proprio gioco: «Mi aspettavo questa considerazione (ride, NdR). In realtà non giochiamo in maniera molto diversa, in trasferta. Lontano da casa fino ad ora non abbiamo nemmeno avuto molta fortuna. Ma se giochiamo come a Friburgo, aggiungendo un po’ di fame agonistica sotto porta, possiamo avere successo anche alla Bossard Arena».