Hockey

«Ci tengo a scusarmi con i tifosi, comprendo perché ci fischiano»

Il brutto scivolone casalingo contro il Friburgo ha spinto la presidente dell'HC Lugano Vicky Mantegazza a rompere un silenzio che durava da qualche settimana, parlando del presente, ma anche del futuro
La presidente del club sottocenerino ha già dato la sua disponibilità a ricoprire tale carica anche per il prossimo anno. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Nicola Martinetti
02.02.2023 06:00

Vicky Mantegazza, era da tempo che non si esprimeva in merito alle vicende del club. Perché ha deciso di tornare a prendere posizione?

«Come presidente solitamente preferisco lasciare la parola al direttore sportivo Hnat Domenichelli o al CEO Marco Werder, ai vertici nei rispettivi settori. Riservandomi però il diritto di intervenire nei momenti in cui ritengo sia necessario farlo. Ecco, se sto parlando oggi, è proprio per questo motivo. Perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti, e ci tengo a scusarmi con i nostri tifosi per quanto hanno dovuto assistere. Mi riferisco in particolare all’ultima partita contro il Friburgo. Non so spiegarmi cosa sia successo, ma quello che si è visto sul ghiaccio non era l’Hockey Club Lugano. Non è accettabile che una squadra chiamata a lottare per ogni punto entri in pista con un’attitudine simile, chiudendo il primo tempo sotto per 5-0. Ora mi aspetto una reazione a questa dura sconfitta».

Cosa ha pensato dopo il primo tempo del match contro i burgundi?

«Ero chiaramente delusa. Eravamo reduci da cinque buone prestazioni, compresa - al netto della sconfitta - quella fornita a Rapperswil. Sono dunque rimasta sorpresa nel vedere all’opera una squadra che, a mio modo di vedere, non era pronta».

Come si spiega questo ritorno, dirompente, delle fragilità che di fatto hanno costellato quasi tutta la stagione della sua squadra?

«Mi piacerebbe poterle dare una spiegazione, perché - di riflesso - significherebbe anche aver individuato una soluzione a un problema che invece permane. Al contrario, questo nostro viaggio sull’ottovolante, fatto di partite dove possiamo battere chiunque e altre in cui sembra che abbiamo dimenticato come si gioca a hockey, prosegue. Francamente non so proprio dirle perché, né tantomeno come interpretare il tutto. È evidentemente preoccupante, ma al tempo stesso pure confortante».

È sbagliato affermare che la sfida contro il Friburgo ha messo in evidenza l’inesperienza di un giovane tecnico come Luca Gianinazzi? Mi riferisco in particolare alla scelta del portiere titolare, alla gestione del time-out e al tardivo avvicendamento tra i pali...

«Chiaramente Luca deve fare il suo percorso e - come tutti noi - crescere. Mi sembra però che lui abbia giustificato le sue scelte, in una maniera che posso anche ritenere condivisibile. Lasciamolo dunque lavorare, permettendogli di accumulare esperienza».

Non credo che il coach sia il nostro punto debole, vedo Luca molto tranquillo e sul pezzo

Le vostre rivali dirette vantano però allenatori con maggiore esperienza rispetto al «Giana». Non lo ritiene un limite per il Lugano, in questa delicata fase della stagione?

«No, non credo che il coach sia il nostro punto debole. Prova ne è che un tecnico esperto come Chris McSorley, prima di lui, ha fallito nel medesimo compito. Al contrario, vedo Luca molto tranquillo e sul pezzo, nonostante siano settimane difficili».

Conosciamo la visione di Hnat Domenichelli in merito al futuro di Gianinazzi a Lugano, espressa già al momento della sua nomina. Qual è invece il suo parere?

«Tutti noi eravamo concordi nel voler puntare su Luca per il “post-McSorley”, un momento giunto con 18 mesi d’anticipo sul programma. Intendiamo continuare a costruire un futuro assieme a lui, che ha il DNA bianconero nel sangue e che conosce benissimo sia la società, sia i suoi giovani. Di Luca ci possiamo fidare».

In precedenza ho citato Domenichelli, la cui posizione - dopo l’esonero di McSorley e l’ingaggio tardivo del sostituto di Kaski - è parsa indebolita. La dirigenza sta riflettendo sul suo operato?

«Come presidente ho ancora totale fiducia nel lavoro di Hnat, che in questi anni ha portato a Lugano dei signori giocatori come i due Müller, Granlund, Koskinen, Thürkauf, Alatalo, ecc. Poi chiaramente tutti noi a fine stagione dovremo guardarci allo specchio e capire dove e cosa abbiamo sbagliato, facendo le nostre valutazioni. Toccherà a tutti essere messi in discussione, e ci mancherebbe altro dopo un’annata simile».

Nell’analisi verranno incluse anche le strategie comunicative della società? Alcuni episodi in stagione - la disponibilità verso la stampa del solo Domenichelli alla vigilia del derby, la scelta di non far parlare Koskinen martedì, ecc. - hanno fatto molto discutere...

«Sicuramente è un altro punto in agenda, anche se però ritengo che alcune situazioni siano state ingigantite nella loro entità. Penso alla scelta di far parlare solo Hnat prima dell’ultimo derby, o al fatto che io - a quanto pare - non abbia più voluto rilasciare dichiarazioni. A fine partita sono sempre presente nel tunnel degli spogliatoi, eppure nessuno mi ha mai avvicinato per un commento questa stagione. Per tacere di altre speculazioni, come quelle in merito alla mia assenza sul ghiaccio in occasione della recente cerimonia legata alla Hall of Fame bianconera, quando era noto a tutti che ero ancora in convalescenza dopo un delicato intervento al ginocchio».

Comprendo, ma ci tengo a dire a chi ama il club, che è nei momenti difficili che la squadra va sostenuta ancor di più

Sei partite fa la curva ha messo in atto una protesta, anche un po’ goliardica. L’altra sera invece, contro il Friburgo, sono piovuti diversi fischi da spalti e tribune, in una Cornèr Arena che appare sempre più vuota e disaffezionata. Siete preoccupati?

«Innanzitutto permettimi di dire che comprendo lo stato d’animo dei nostri tifosi, perché vedere il Lugano giocare in questo modo fa male al cuore. Hanno dunque tutto il diritto di protestare vista la pazienza che già hanno avuto, anche se - come dico sempre - penso che fischiare un giocatore in difficoltà non è d’aiuto. Allo stesso tempo ci tengo a dire a chi ama il club, che è nei momenti difficili che la squadra va sostenuta ancor di più. Vi assicuro che nessuno qui si sta divertendo o se ne frega di quanto sta accadendo, stiamo tutti cercando di rimettere il treno sui giusti binari. Per farlo abbiamo però bisogno anche del calore del nostro pubblico, che è fedele e ama i nostri colori. Al proposito, mi sento di dissentire riguardo al fatto che la pista si sta vieppiù svuotando. Esclusi i match del martedì, ho infatti spesso visto una curva piena e con tantissimi giovani, che fanno ben sperare anche in ottica futura. Sono sicura che con dei risultati positivi, aumenterebbe anche l’entusiasmo in pista».

Insisto ed estendo ad altri settori il discorso legato alle difficoltà che ammantano il club, citando il caso di Brian Zanetti. La sua firma a Langnau, pur essendo cresciuto nel vostro settore giovanile e un obiettivo di mercato dichiarato, può essere considerata un sintomo di perdita d’attrattività sportiva?

«No, non credo. Brian ha fatto la sua scelta, optando per un club che gli garantisse un determinato minutaggio. Una cosa che noi non possiamo e non vogliamo promettere a nessuno. Dal mio punto di vista ha preso la decisione giusta per la sua crescita. Gli auguro di sfruttare questa opportunità e magari, un domani, tornare a vestire i nostri colori».

La mia motivazione non è mai venuta meno, e di certo non abbandonerei la nave in acque tempestose

Il domani dell’HCL, invece, come se lo immagina? Tornare a vincere un titolo a medio-lungo termine, come dichiarato all’ingaggio di Chris McSorley, rimane e rimarrà un obiettivo realistico?

«Come ho già avuto modo di dire, non siamo più il Lugano degli anni Ottanta. Tanti club ci sono superiori a livello di budget, e alcuni di essi - mi vengono in mente Losanna e Friburgo - comunque non hanno mai vinto un titolo. Nel nostro piccolo porteremo avanti la volontà di ingaggiare elementi con il giusto carattere, in grado di identificarsi nei nostri valori aiutandoci nel tentativo di riportare il titolo a Lugano. L’ambizione, dunque, permane. A fine stagione tracceremo un bilancio e determineremo se è giusto continuare a definirla tale, o magari iniziare a chiamarlo “sogno”. Al termine dell’estate, nella conferenza stampa d’inizio stagione, risponderemo a questa domanda».

In quell’occasione la ritroveremo sempre negli attuali panni, o i recenti avvenimenti l’hanno spinta a riflettere?

«La mia motivazione non è mai venuta meno, e di certo non abbandonerei la nave in acque tempestose. Anzi, ho già dato la mia disponibilità anche per la prossima stagione. Ci sono però alcuni tifosi che in queste settimane sono andati oltre, inviandomi dei messaggi pesanti, anche sul piano personale. Impregnati di sessismo, ma non solo. A loro e a tutti voglio dire: io amo l’HCL e finché avrò la forza, la salute e il coraggio di andare avanti, continuerò a farlo. Però il rispetto non deve mai venire a mancare, perché quello che ha fatto la mia famiglia per questa società non lo merita».

Un’ultima domanda: giunti a questo punto, c’è un obiettivo minimo da conseguire nelle prossime dieci partite, per evitare che la stagione - iniziata con l’intento di terminare tra le prime sei - sia considerata un totale fallimento?

«Nell’immediato, prendere partita per partita e provare a vincere sempre, o quantomeno ad andare a punti. A corto termine, qualificarci per i pre-playoff. Non vedo come poter accettare di andare in vacanza anticipata, o disputare addirittura i playout, con una squadra del genere».

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