È un Lugano più determinato quando è lontano dai propri tifosi

Perdere il derby e poi rinascere. Anche con un po’ di fortuna, che – come si sa – aiuta chi osa. Avrebbe potuto perdere la retta via, il Lugano, dopo la sconfitta con l’Ambrì Piotta. Ed invece il gruppo si è immediatamente ricompattato andando a cogliere due successi pesanti con Ginevra e Kloten. Sono segnali incoraggianti, in due sfide sostanzialmente diverse. Alle Vernets i bianconeri hanno controllato per quasi tutti i sessanta muniti la sfida, mentre per almeno due tempi con il Kloten la squadra di Tomas Mitell ha sofferto le pene dell’inferno. Non è insomma ancora una squadra affidabile questo Lugano. Non lo è tra un incontro e l’altro e non lo è all’interno della stessa partita. Certo, con il Kloten la reazione c’è stata e la doppietta di Omark ha fatto tirare un sospiro di sollievo al popolo bianconero. Ma bisogna essere intellettualmente onesti: come ha affermato lo stesso Mittel, questo Lugano è ancora un cantiere aperto. Il coach svedese – chiamato a fungere da ingegnere e da architetto del futuro – sta cercando di gettare le fondamenta del Lugano che verrà. In parte ci è già riuscito: difensivamente i bianconeri non sono perfetti, ma evidenziano una certa solidità e una struttura chiara di ciò che pretende l’allenatore. No, nonostante le quattro reti subite dagli aviatori il problema principale del Lugano rimane offensivo. Anzi, la transizione tra la fase difensiva e quella offensiva. Una transizione non ancora sufficientemente rapida e convinta, che facilita – lo si è visto nel derby e con il Kloten – il lavoro delle retroguardie avversarie. Servirebbe una velocità di esecuzione più rapida, che non tutti i giocatori bianconeri hanno nelle loro corde. C’è insomma anche un problema di qualità individuale di base, in casa Lugano.
Tra equilibrio e fantasia
«Il nostro sistema difensivo – ha spiegato Mirco Müller dopo la sfida con gli aviatori – è piuttosto semplice. Bisogna pattinare e lottare: lo stiamo facendo e abbiamo trovato un certo equilibrio». Tutto vero, anche perché sia Niklas Schlegel sia Joren van Pottelberghe – quando è stato chiamato in causa – hanno tutto sommato fornito delle buone prestazioni. A questo Lugano piuttosto operaio manca invece un pizzico di fantasia e di estro in attacco. Quello garantito per esempio da Linus Omark in un paio di minuti di pura euforia al cospetto del Kloten. Ma lo svedese – nonostante la doppietta – è ancora lontano da una condizione fisica decente. «Siamo soddisfatti del nostro processo di crescita – ha comunque spiegato capitan Thürkauf – anche se i risultati non sono ancora quelli che ci aspettavamo. C’è bisogno ancora di un po’ di tempo, ma la via imboccata è quella giusta».
Serenità scandinava
Intanto Tomas Mitell e Stefasan Hedlund vanno avanti imperterriti con la loro filosofia e con una serenità tutta scandinava. Come se già sapessero che la situazione può solo migliorare e che questo Lugano sta sempre più crescendo. Mitell ha dimostrato con il Kloten – modificando in corsa i suoi terzetti offensivi – di possedere l’istinto di un coaching attivo. Si, forse serve davvero solo tempo. La classifica però dice che il gap tre la sua parte alta e quella più bassa si sta già ampliando: ed allora le prossime due uscite del Lugano – venerdì in casa con il Langnau e domenica a Porrentruy contro l’Ajoie – diranno qualcosa in più sul potenziale di questo Lugano. E a nessuno venga in mente di immaginare due impegni semplici.
Non pensare troppo
Un Lugano che, a volte, in pista sembra pensare ancora troppo. I meccanismi – specie quelli offensivi, power-play compreso – non sono ancora automatici. E riflettere troppo rallenta la manovra. Una manovra che deve diventare più fluida con le squadre che tendono soprattutto a chiudersi. Non è un caso allora che il Lugano abbia fin qui ottenuto più punti lontano dalla Cornèr Arena che in casa. Otto quelli conquistati lontano da casa (6. posto in classifica), contro i cinque ottenuti davanti ai propri tifosi (12.).
«La nostra pista – disse in passato la presidente Vicky Mantegazza – deve diventare un fortino invalicabile». Oggi è invece più un terreno di conquista per gli avversari e la causa non è – o non è soltanto – una maggiore pressione sulle spalle davanti ai propri tifosi. Per quello che è l’attuale sviluppo della squadra, i bianconeri si trovano meglio giocando di rimessa. Approfittano dunque degli spazi lasciati dai padroni di casa - come accaduto a Rapperswil e a Ginevra – e poi si chiudono con intelligenza. Lo ha fatto notare anche Luca Fazzini. «In trasferta – ha sottolineato l’attaccante – possiamo giocare con più calma e pazienza. In casa vogliamo imporre maggiormente il nostro gioco, ma facciamo fatica ad attaccare in maniera verticale». E non è un caso che nelle sconfitte casalinghe contro Zugo, Berna e Ambrì – e in buona parte contro il Kloten – il Lugano abbia faticato ad entrare in velocità nel terzo avversario. Come se dovesse partire da troppo lontano e senza la necessaria rapidità.
Il caso Perlini
Intanto, anche se alla Cornèr Arena si sta gettando acqua sul fuoco, a Lugano sta nascendo un caso Perlini. Dopo dodici partite l’attaccante anglo-canadese è fermo ad un solo assist. In pista pattina e non si risparmia, ma non cava un ragno dal buco. E non solo in termini di reti e di assist. Zach Sanford sta crescendo, Mike Sgarbossa migliora nonostante qualche alto e basso di troppo, Linus Omark una partita l’ha di fatto risolta. Perlini no. Ed allora sarà interessante capire quali saranno le mosse di Mitell quando a disposizione tornerà Jiri Sekac. Il coach avrà la possibilità di giocare con cinque attaccanti stranieri, puntando sul solo Connor Carrick dietro, o di ridurre a quattro il numero degli import offensivi. In questo caso, il principale candidato alla tribuna sembra proprio essere Brendan Perlini.