Gregory Hofmann e un Mondiale speciale: «Dopo 4 anni ci tenevo tantissimo»

Gregory Hofmann sembra di ottimo umore. Tornare a un Mondiale dopo quattro anni è per lui motivo di grande gioia, inferiore soltanto a quella di essere diventato per la seconda volta papà, poco più di un mese fa. «Un’altra femmina, sono circondato», scherza l’attaccante dello Zugo lanciando l’esordio di questo pomeriggio contro i campioni in carica della Cechia (ore 16.20).
Gregory, proprio qui a Herning, sette anni fa, segnasti il «game winning goal» che permise alla Svizzera di battere la Finlandia nei quarti di finale. Che effetto ti ha fatto tornare a pattinare alla Jyske Bank Boxen?
«Appena ci ho rimesso piede sono riaffiorate tante belle sensazioni. Prima di mercoledì, onestamente, non ricordavo l’arena, gli spogliatoi e la città. Nel 2018 restammo qui solo due giorni, tutto il resto del torneo lo giocammo a Copenaghen. Ricordavo però il mio gol. Raccolsi un rimbalzo dopo un tiro di Simon Moser, segnando il 3-1. Poi la Finlandia accorciò le distanze, ma non ci prese più».
Quella vittoria vi lanciò fino alla finale. E probabilmente cambiò la consapevolezza di questa Nazionale e della tua generazione.
«Ci fece capire che eravamo in grado di fare qualcosa di importante. In semifinale battemmo il Canada, poi perdemmo ai rigori con la Svezia. La crescita è proseguita e l’anno scorso è arrivato un altro argento. Ora speriamo di poter rivivere certe emozioni con questo nuovo gruppo».
Herning ci ha riportati al passato, ma il futuro parla di un Mondiale in casa, il prossimo anno. La Nazionale di oggi sembra incarnare queste due anime: ha uno zoccolo duro di veterani, ma anche diversi volti nuovi. È una miscela che potrà aiutarvi?
«Sicuramente. Avere una squadra più giovane era uno degli obiettivi della Federazione e dello staff, ma non si è rinunciato all’esperienza di chi ha già giocato tanti grandi tornei. Personalmente, tornando a un Mondiale dopo quattro anni di assenza, ho ritrovato tanti giocatori che erano con me l’ultima volta. E li vedo ancora più maturi. I giovani, dal canto loro, si sono inseriti bene. Devono portare nuova energia ed entusiasmo, iniziando ad assumersi delle responsabilità anche a livello internazionale. Siamo un gruppo unito, desideroso di andare lontano».
Il veterano è ovviamente Andres Ambühl, con i suoi 41 anni. L’impressione è che tutti voi speraste in una sua convocazione.
«È vero, volevamo che Büehli vivesse il suo ventesimo Mondiale, un traguardo leggendario. Nessuno ci era mia riuscito prima di lui e non so se ricapiterà in futuro. Io l’ho affrontato nei playoff, il suo Davos ci ha battuti 4-0 e al termine della serie gli ho fatto i complimenti per la sua incredibile carriera. Non sapevo se l’avrei rivisto in Nazionale, ma sono felice di essere di nuovo un suo compagno di squadra. Ho la fortuna di conoscerlo da tanto tempo, ho vinto un titolo con lui nei Grigioni e ho sempre ammirato la persona, prima ancora del giocatore. Si è meritato ogni applauso».
Nel 2021 avevi chiuso il Mondiale di Riga con un bottino di 6 gol, per poi trasferirti a Columbus e assaggiare la NHL. Da allora hai giocato ancora un’Olimpiade, ma nessun Mondiale. Tra i motivi, anche gli infortuni. Che anni sono stati, dal tuo punto di vista?
«Il tempo passa in fretta, la vita non è un fiume che scorre sempre dritto e non sai mai se un Mondiale sarà l’ultimo o se ce ne saranno altri. Essere qui, oggi, non era dunque scontato. L’esperienza americana, seppur breve, è stata bella. Nel gennaio del 2022 è nata la mia prima figlia e qualche mese dopo ho vinto un altro titolo con lo Zugo. Poi, come detto, sono arrivati tanti infortuni. Momenti non facili da superare. Ho dovuto lottare per tornare fisicamente al 100% e ritrovare il mio miglior livello. Ci sto arrivando, piano piano. Essere qui a giocare un Mondiale lo dimostra».
Un mese fa è nata la tua seconda bimba, Josie. Come vivi la lontananza dalla tua famiglia?
«Con la certezza che mi seguiranno e mi sosterranno. Chi mi ama sa benissimo cosa significa fare il giocatore di hockey, quanta passione io metta nel mio lavoro e quanto ci tenessi a tornare protagonista in Nazionale. È vero che la piccola Josie, in questo suo primo mese di vita, l’ho vista poco, ma a casa sta andando tutto benissimo e mia moglie sta facendo un lavoro stupendo. Penso sempre a loro e ci sentiamo continuamente».
In Nazionale eravamo abituati a vedere uno zoccolo dello Zugo molto importante. Ora ci siete soltanto tu e Genoni. È il sintomo di una stagione deludente?
«Il nostro campionato è finito troppo presto. Perdere 4-0 nei quarti con il Davos non era ciò che volevamo e sicuramente a Zugo cambieranno un po’ di cose. Va però detto che alcuni miei compagni non sono qui a causa degli infortuni, come Simion ed Herzog, mentre Senteler è stato tagliato solo all’ultimo secondo. Personalmente, al di là della fame di riscatto che mi porto dietro dal mio club, ho voglia di dare tutto per la maglia rossocrociata».
Che Gregory Hofmann vedremo in questo torneo?
«Quello che pattina, che attacca la porta e tira appena ne ha l’occasione. Un Greg affamato e desideroso di farsi vedere».
La Svizzera dove vuole arrivare?
«Il più in alto possibile. L’ambizione c’è, la voglia di vincere anche, perché noi sportivi viviamo di competizione. Lungo la strada, però, troveremo tante grandi squadre e alcuni dei migliori giocatori del pianeta, a cominciare dall’esordio con la Cechia. Sarà una sfida dura, la replica dell’ultima finale, tra due squadre che si conoscono bene. Sabato e lunedì ci attendono altri test difficili, con i padroni di casa e con gli USA. Personalmente, sono contento di iniziare con un calendario tosto e quattro giorni di fuoco. Non vediamo l’ora».