L'intervista

Il cuore di Fiala: «Voglio restituire alla comunità tutto il bene che ho ricevuto»

L'attaccante rossocrociato dei Los Angeles Kings si racconta: la famiglia, l'amore per la Nazionale, la carriera in NHL e l'impegno benefico
© KEYSTONE/Salvatore Di Nolfi
Fernando Lavezzo
14.05.2025 19:04

Kevin Fiala è speciale. Per quanto fa sul ghiaccio e per il suo attaccamento alla maglia rossocrociata. Domenica la stella dei Los Angeles Kings ha deciso di raggiungere Herning nonostante il dramma che lo ha colpito pochi giorni prima: sua moglie Jessica, incinta del secondo figlio, ha perso il bambino. Alla vigilia dell’importante match contro la Germania, il 28.enne sangallese è tornato sull’argomento, parlando anche del suo amore per la Nazionale e del suo grande impegno per la comunità.

Kevin, il fatto che tu sia venuto ai Mondiali nonostante quanto vi è successo ha toccato molte persone. Immaginiamo che non sia stato facile parlarne pubblicamente e che tu abbia ricevuto molte testimonianze di affetto.
«Quando vengo in Nazionale ricevo sempre tanti messaggi, ma in effetti stavolta sono stati di più. Se le mie parole hanno dato coraggio a qualcuno che ha vissuto la stessa cosa è positivo. Nessuno deve sentirsi solo in queste situazioni. Io volevo semplicemente dire la verità, senza nascondere quello che ci è capitato. Come ho già detto lunedì, dopo la vittoria contro gli USA, giocare i Mondiali è sempre un onore. Adoro questa squadra, i miei compagni, lo staff tecnico. È anche un modo per dare qualcosa indietro al mio Paese».

Quando hai giocato il tuo primo Mondiale, nel 2014 a Minsk, avevi appena 17 anni. Non potevi guidare l’auto, non potevi ordinare una birra al bar, ma potevi giocare nello stesso torneo di Jagr e Ovechkin. Ripensandoci 11 anni dopo, quali emozioni provi?
«Non dimenticherò mai quelle settimane. Nella stagione 2013-14 avevo già disputato i Mondiali U18 e quelli U20. Essere convocato anche per la rassegna maggiore fu pazzesco. Ogni giovane giocatore ci spera, ma non sempre i sogni si realizzano. Invece, a soli 17 anni, è capitato. Ero sopraffatto dalle emozioni, ma in Bielorussia mi sono goduto ogni istante. Fu una grande esperienza e sarò sempre grato per l’opportunità concessami».

All’epoca giocavi in Svezia e non eri molto conosciuto in Svizzera. Oggi, invece, sei accolto da superstar. Un bel cambiamento…
«Sono solo un po’ più vecchio (sorride, ndr.). Battute a parte, anno dopo anno ho accumulato sempre più fiducia. Sono reduce da una stagione particolarmente positiva: dopo il bel Mondiale di dodici mesi fa in Cechia (concluso da MVP del torneo, ndr.), ho vissuto una buona stagione a Los Angeles (35 gol, nuovo record personale, ndr.). La cosa più importante è che mi diverto ancora come quando avevo 17 anni. La prospettiva è diversa, le aspettative pure, ma riesco sempre a godermi il momento».

Diventare papà ti ha cambiato?
«Mi ha insegnato tanto e mi ha reso una persona migliore. La mia priorità, ora, è la piccola Maise-Mae. Mi preoccupo di cose a cui non avevo mai pensato prima. È un nuovo capitolo della mia vita e mi piace molto. Adoro essere papà».

Tua moglie è tifosa di hockey?
«Credo che Jessica sia soprattutto una tifosa del sottoscritto. Che si tratti di hockey o di qualsiasi altra cosa, so di poter sempre contare sul suo incredibile supporto. Lo dico spesso nelle interviste: è la moglie migliore del mondo. Sentire la sua fiducia, il suo appoggio, è un punto di partenza fondamentale per avere successo».

Keystone/Salvatore Di Nolfi
Keystone/Salvatore Di Nolfi

Tornando alla Nazionale, credi che perdere la finale dello scorso anno abbia lasciato una ferita aperta e che a questo giro ci sia una motivazione supplementare per andare fino in fondo?
«Non direi. Quello che è successo un anno fa non può influenzare il nostro percorso attuale. Nel 2024 a Praga abbiamo dato il massimo, provandoci con tutte le nostre forze. Non abbiamo conquistato la medaglia d’oro e la storia è finita lì. Avevamo già vissuto la stessa cosa nel 2018, proprio qui in Danimarca. Ogni Mondiale è un nuovo inizio, una ripartenza. La squadra è diversa, ci sono alcuni esordienti e dobbiamo vivere il presente, una partita dopo l’altra. Ce ne restano ancora quattro prima di pensare alle gare a eliminazione diretta ed eventualmente alle medaglie. C’è tanto entusiasmo, questo sì, ma i piedi sono ben piantati per terra».

Hai giocato nella U17 dello Zurigo con Denis Malgin, Pius Suter e Jonas Siegenthaler. All’epoca, percepivi di appartenere a una generazione così speciale?
«Ci pensavo proprio stamattina. Molti giocatori svizzeri della mia età hanno raggiunto livelli altissimi. I tre giocatori citati, miei compagni nelle giovanili dei Lions, sono tutti approdati alla NHL. Già all’epoca eravamo quattro ragazzi molto competitivi, ci spingevamo a vicenda e imparavamo l’uno dall’altro, giorno dopo giorno. Non ne avevamo mai abbastanza, volevamo migliorare costantemente e lo facevamo insieme. E adesso eccoci qui. È meraviglioso vedere che ce l’abbiamo fatta».

Prima hai citato il Mondiale del 2018 in Danimarca. Nella finale con la Svezia, poi persa ai rigori, hai avuto l’occasione per chiudere la partita all’overtime. Ripensi mai a quel momento?
«No, mai. Non ci pensavo più da diversi anni prima di questa domanda (sorride, ndr.). Non dico di essermi dimenticato subito dell’episodio, dopo quel Mondiale ho infatti avuto un’intera estate per rimuginare. Ma appena comincia una nuova stagione, ti rendi conto di non poter cambiare il passato. Devi solo fare del tuo meglio per crescere e per poter giocare altre partite importanti. Si lavora con l’obiettivo di farsi trovare pronti alla prossima occasione».

Keystone/Salvatore Di Nolfi
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In NHL hai giocato in tre «mercati» molto diversi. Sei partito da Nashville, dove l’hockey è esploso dal nulla, per poi passare ai Minnesota Wild, in uno Stato che vive questo sport come una religione. Ora sei ai Kings: come si differenzia Los Angeles da quanto avevi vissuto prima?
«L.A. non è una città di hockey, specialmente se la confrontiamo con St. Paul in Minnesota, dove tutti mi riconoscevano. In California è molto più facile passare inosservati. Ci sono tanti altri sport molto popolari, ci sono le celebrità del cinema, della musica e della televisione. Io, quando passeggio per strada, sono nessuno. E mi piace così. Inoltre apprezzo molto lo stile di vita, con il sole, le spiagge e tantissimi ristoranti di ogni tipo. È una metropoli ricca di opportunità».

Per il quarto anno di fila siete stati eliminati al primo turno dei playoff dagli Edmonton Oilers. Sta diventando una maledizione…
«Io posso parlare soltanto per le ultime tre volte, visto che nel 2022 non c’ero ancora. Due anni fa la serie fu molto combattuta, eravamo 50-50, ma perdemmo a gara-6. L’anno scorso non ci fu proprio storia: 4-1 per loro e nessuna chance per noi. Quest’anno, però, sento che avremmo potuto e dovuto batterli. Abbiamo perso 4-2, ma eravamo la squadra migliore. Sul 2-0 per noi, abbiamo pagato alcuni errori commessi nei momenti chiave: potevamo ucciderli e non ci siamo riusciti. Loro hanno gestito meglio di noi quelle situazioni e ci hanno fatto fuori con cinismo. Nel complesso, siamo stati migliori di loro in cinque partite su sei, ma non conta nulla. Gli Oilers sono entrati in un momentum positivo e lo stanno portando avanti ancora adesso contro Vegas».

Per il secondo anno di fila i Kings ti hanno scelto come loro candidato al King Clancy Memorial Trophy, il premio che la NHL assegna al giocatore che «incarna al meglio le qualità di leadership dentro e fuori dal ghiaccio e ha dato un notevole contributo umanitario alla sua comunità». Cosa significa per te, soprattutto considerando il tuo grande impegno benefico attraverso il progetto «Fiala’s Friends»?
«Per me è importantissimo fare qualcosa di buono al di fuori dell’hockey e restituire alla comunità tutto il bene che ho ricevuto. Raccolgo fondi a favore degli ospedali per bambini. Faccio spesso visita a piccoli pazienti, sperando di regalare loro un sorriso e fargli dimenticare le difficoltà, almeno per un momento. Ho fondato Fiala’s Friends per aiutarli e questa estate, l’8 agosto alla Swiss Life Arena di Zurigo, proporremo per la prima volta una partita benefica tra gli ZSC Lions e una selezione di giocatori NHL. Non posso ancora anticiparvi i nomi di chi ci sarà, ho pronta una lista di 10-15 giocatori, ma attendo le loro conferme. Presto ne saprete di più. Sarà una serata divertente e raccoglieremo dei soldi per fare del bene».

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