Hockey

Il doppio virus bianconero

Ammalato la sera prima, Luca Fazzini lancia con una doppietta il netto successo del Lugano sul Bienne – Tripletta per Mike Sgarbossa - Connor Carrick: «La differenza l’ha fatta la nostra pazienza, non abbiamo mai forzato le giocate»
La gioia dei giocatori bianconeri. ©Keystone/Samuel Golay
Flavio Viglezio
16.11.2025 18:00

Circolano due virus, di questi tempi, nello spogliatoio del Lugano. Il primo, noiosetto, aveva costretto Luca Fazzini ad alzare bandiera bianca dopo venti minuti a Kloten. A non farcela contro il Bienne è invece stato Marco Zanetti. Mali di stagione, insomma. Il secondo è invece il virus del successo, che sembra aver contagiato tutta la squadra bianconera, ora nel gruppo delle big che si giocano l’accesso diretto ai playoff. Non c’è stata partita, con i Seeländer: la formazione diretta da Tomas Mitell ha dominato dal primo all’ultimo minuto la sfida, lasciando all’avversario solo le briciole. Un Lugano strappa applausi, insomma: il virus della vittoria – otto successi nelle ultime dieci uscite – sta contagiando anche il pubblico della Cornèr Arena.

Un calcio ai pensieri

Eppure, dopo la pausa per la nazionale un po’ di preoccupazione c’era. Come se la sosta – con la sconfitta a Langnau e la sofferta vittoria a Kloten – avesse pesantemente rallentato la progressione bianconera. Macché. Al cospetto del Bienne si è rivisto il Lugano convinto, brillante e concreto ammirato prima della pausa. Un Lugano che ha dato un deciso calcio ad eventuali pensieri negativi. «Il Bienne – sottolinea Connor Carrick, autore di tre assist – è una buona squadra. Ciò che ha fatto la differenza è stata la nostra pazienza. Non abbiamo forzato le nostre giocate: abbiamo subito fatto capire agli avversari che per loro sarebbe stata una serata difficile. Siamo rimasti concentrati su tutto l’arco dei sessanta minuti e abbiamo sfruttato bene le nostre occasioni».

Una sola squadra

In pista c’è insomma stata una sola squadra. E non solo per le sei reti segnate. Ad impressionare – quasi anche di più – è stata la compattezza difensiva del Lugano, con una protezione dello slot notevole da parte di tutti i giocatori sul ghiaccio. «Abbiamo gestito bene il puck nelle due fasi – prosegue Carrick – e tutti hanno dato il loro contributo. Quando qualcuno è in difficoltà, ne arriva subito un altro a dargli una mano. A Langnau e a Kloten – nonostante la vittoria – eravamo in generale stati un po’ troppo lenti. Con il Bienne abbiamo ritrovato il giusto ritmo: abbiamo coperto bene ogni zona della pista e – come ho già detto – siamo stati bravi nella gestione del disco».

Esame di maturità

È insomma un Lugano che si sta avvicinando – con qualche fisiologico black-out, come a Langnau – ad un’auspicata maturità. Una consapevolezza nei propri mezzi che permette ai bianconeri di sopperire alla pesante assenza di capitan Calvin Thürkauf e a quella di Alessio Bertaggia. Senza dimenticare che, di colpo, il Lugano si è ritrovato senza Linus Omark. La forza del gruppo esalta insomma le individualità. Anche quelle meno attese e questo è senza dubbio merito di uno staff tecnico che ha portato chiarezza ed equilibrio tra i reparti. A causa dell’assenza di Marco Zanetti, Jesper Peltonen si è sacrificato con successo all’ala della quarta linea. Sta sempre più ritagliandosi un ruolo importante Cyrill Henry, promosso a fianco di Fazzini e Sgarbossa e autore di due assist, dopo quello offerto a Kloten ad Aleksi Peltonen. E sul ghiaccio si è visto per qualche cambio anche Anton Besanidis, 17.enne attaccante nato a Mosca ma cresciuto nel settore giovanile bianconero. Non è insomma così difficile inserire volti nuovi – anche giovani – quando le fondamenta della squadra sono solide. «Sì – dice ancora Carrick – riuscire a compensare, senza che il rendimento ne risenta, assenze importanti come quelle di Thürkauf o di Omark – che non è più con noi – è un segno di maturità. Le buone squadre sono quelle che non perdono la testa nelle avversità, ma che trovano invece le soluzioni giuste. Se vuoi restare nelle parti alte della classifica e poi andare lontano nei playoff, è necessario avere questa mentalità. Bisogna sempre cercare un modo per vincere le partite, anche quando uno o due dei tuoi migliori giocatori non ci sono».

In festa anche il power-play

Al cospetto del Bienne c’è insomma stata festa un po’ per tutti. A cominciare dal power-play – annoso tallone d’Achille bianconero – che ha colpito addirittura due volte. Cosa che non si vedeva da tempo immemore. Sono poi salite in cattedra le individualità, a cominciare da Luca Fazzini. L’attaccante di Arzo – ricordiamolo, ammalato la sera precedente – ha realizzato una doppietta e fornito due assist. Niklas Schlegel ha potuto festeggiare un meritato «shutout», mentre Mike Sgarbossa – autore di due prestazioni da dimenticare a Langnau e a Kloten – ha messo a segno addirittura una tripletta. Peccato allora per l’infortunio occorso – alla spalla? – a Brendan Perlini a pochi minuti dalla terza sirena.

Carrick, più che alle individualità, pensa al percorso iniziato in estate da questo nuovo Lugano: «Ogni squadra cerca di costruirsi una propria identità. Noi siamo partiti con l’idea di costruire solide basi difensive. All’inizio non è stato facile, è stata una sfida per tutti, ma ora ognuno di noi sa qual è il suo lavoro per avere successo. Non è stato evidente e abbiamo ancora dei margini di miglioramento».

Piedi per terra

In lontananza si sente Tomas Mitell portare avanti il suo mantra: «Umiltà e concentrazione». Il Lugano deve insomma rimanere con i piedi per terra e non dare nulla per scontato: «A mio avviso – chiosa Carrick – non è qualcosa di complicato. Quando si vince, si tratta ‘‘solo’’ di ripetere le cose che ti hanno portato al successo. Quando invece si perde, il rischio è di entrare in una spirale negativa in cui tutti cercano soluzioni individuali, invece di puntare sul gruppo. Nelle ultime settimane noi siamo stati questo, un gruppo vero».

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