Hockey

Jörg Eberle: «Quelle trasferte ad Arosa con il mal di bus»

L’ex bianconero rivive le leggendarie sfide con i grigionesi, oggi avversari del Lugano in Coppa
Guido e Markus Lindemann festeggiano il titolo del 1980 con il canadese Barry Jenkins (Foto Keystone).
Fernando Lavezzo
11.09.2019 08:03

Sette titoli filati dal 1951 al 1957. Poi altri due nel 1980 e nel 1982. Sì, l’Arosa è una squadra leggendaria dell’hockey elvetico. Sceso volontariamente dalla LNA alla Prima Lega nel 1986 per ragioni economiche, il club grigionese è appena stato promosso in MySports League. Stasera (20.15), in un gustoso revival anni Ottanta, ospiterà il Lugano per i sedicesimi di Coppa Svizzera. Ne abbiamo parlato con Jörg Eberle, che quel mitico avversario lo aveva affrontato spesso, con le maglie di Davos e HCL. «All’inizio della mia carriera l’Arosa era la squadra da battere. In rosa aveva tanti nazionali. Campioni quali Guido e Markus Lindemann, Bernhard Neininger, Reto Dekumbis e Reto Sturzenegger hanno scritto la storia».

Il campionato 1985-86, il primo con i playoff, fu un ponte tra passato e futuro. L’emergente Lugano di Slettvoll e Mantegazza vinse il suo primo titolo, mentre l’Arosa decise di salutare l’élite. «L’hockey stava cambiando e quella stagione rappresentò un passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo», racconta Eberle. «I bianconeri portarono una nuova mentalità, dando inizio al professionismo. C’erano degli investimenti e i giocatori potevano vivere di sport e fare delle scelte di carriera. Tanti giovani aspettavano quel momento e un club periferico come l’Arosa non tenne il passo. Davos è un caso diverso: è una cittadina più grande e ha sempre avuto la Spengler, un’entrata sicura. Oggi anche l’Ambrì ha bisogno della nuova pista per sopravvivere».

Per l’ex capitano del Lugano, oggi attivo nella formazione per la Federazione, le società di montagna hanno ancora tanto da offrire: «Sono importanti, come lo sono tutti i piccoli club. La base dell’hockey si costruisce anche lì. Negli ultimi 10 anni i grandi club sono diventati quasi dei centri regionali di formazione e tante piccole realtà fanno fatica a resistere. Le società più importanti si prendono i migliori talenti già a 12 o 13 anni. Secondo me bisognerebbe investire maggiormente nella formazione all’interno dei piccoli club. Prima o poi i più bravi devono partire, certo. Diciamo dai 16 anni in poi. Ma prima si può lavorare bene, e con qualità, anche in realtà minori».

Tornando alle antiche sfide tra Arosa e Lugano, non mancano gli aneddoti: «La trasferta era stancante. La maggior parte delle squadre arrivava in bus fino a Coira, ma poi prendeva il treno. Salire in pullman fino ad Arosa, su quella vecchia strada piena di curve, faceva infatti venire la nausea. Arrivati a destinazione, si vedevano tante facce pallide».

Jörg Eberle ha mantenuto i contatti con qualche giocatore di quell’Arosa: «Molti di loro erano compagni in Nazionale e ogni tanto capita di incontrarsi e di perdersi nei ricordi». Guido Lindemann ha aperto un bar in centro paese – l’Overtime – un ritrovo pieno di cimeli. Nell’Arosa attuale gioca suo figlio Kim, 36 anni, ex di ZSC Lions e Langnau. «Ma stanno arrivando anche i nipoti», conclude Eberle. «Nelle Nazionali U18 e U15 ci sono i figli di Sven Lindemann, Kevin e Colin». La storia continua.