L'analisi

La sorpresa e lo sconcerto: questo Lugano è già a un bivio

Umiliati dal Rapperswil, dopo nove partite i bianconeri hanno gli stessi punti di un anno fa con Chris McSorley
– Serve un’immediata inversione di tendenza, a costo di modificare un sistema di gioco che non sta portando frutti concreti
© Ti-Press
Flavio Viglezio
04.10.2023 14:30

Nei corridoi della Cornèr Arena, al termine della sciagurata partita con il Rapperswil, un anziano signore sentenziava con un amaro sorriso che il premio per il miglior giocatore in pista sarebbe dovuto andare ad uno degli eroici tifosi che hanno resistito senza andarsene fino al sessantesimo. Non ha tutti i torti. Un simile tracollo è stato tanto sorprendente quanto sconcertante: non tanto per la sconfitta in sé, ma per l’attitudine (non) portata in pista dai giocatori del Lugano. Il pubblico, quello rimasto, dopo i fischi e l’invito a tirar fuori gli attributi, ha lasciato lo stadio con sentimenti in cui si mescolavano rabbia, delusione e rassegnazione. Chissà in quanti avranno la forza di tornare, contro il Ginevra. Nessuno ha ancora pronunciato la parola crisi, ma il ruolino di marcia di queste prime nove giornate – e lo scempio visto con il Rappi – dicono che la stagione bianconera è già al dunque. Se non sarà in grado di invertire in fretta la tendenza il Lugano rischia di vivere l’ennesimo campionato di sofferenza estrema.

Come Chris, peggio di Chris

Dodici mesi fa, di questi tempi, Chris McSorley viveva i suoi ultimi giorni sulla panchina bianconera: il coach canadese era stato licenziato l’8 ottobre dopo una sconfitta per 7-3 a Berna. Il suo bilancio? Nove punti in 8 partite. Sì, gli stessi ottenuti dalla squadra di Luca Gianinazzi in questo primo scorcio di stagione. Con l’aggravante – stavolta – che lo spogliatoio un anno fa era una polveriera pronta ad esplodere per i conflitti tra il coach e il gruppo. Questo dovrebbe essere – almeno sulla carta – un Lugano più forte, più completo e più sereno: a detta di tutti la preparazione è stata eccellente a tutti i livelli e l’ambiente, a parole, è eccellente. E Gianinazzi sta ormai portando avanti le sue idee da un anno. Ma di risultati concreti, al momento, non se ne vedono. C’è ancora chi si nasconde dietro al concetto di “processo di crescita”. Che solo a Lugano, però, sembra non finire mai. Il Berna reduce da stagioni complicate ha cambiato allenatore, eppure è partito bene. I bianconeri sono invece 12. in classifica con gli stessi punti del Langnau, hanno perso sei delle nove partite giocate – cinque delle ultime sei – hanno la peggior difesa del campionato insieme ai tigrotti dell’Emmental e non vincono da tre punti dalla terza giornata, quando superarono tra mille difficoltà un Ajoie considerato quel giorno «molto più forte dell’anno scorso». Ed infatti i giurassiani sono già ultimi con 5 soli punti all’attivo…

Immunità a rischio

«Sarà molto importante iniziare bene la stagione», affermavano ad inizio settembre Vicky Mantegazza e Hnat Domenichelli: obiettivo mancato. «Questa sarà una squadra che lotterà al massimo in ogni partita», diceva fiduciosa la presidente: obiettivo mancato, alla luce della prestazione fornita con il Rapperswil. Non è questo il tempo dei processi, ma è chiaro come alla Cornèr Arena già si impone una riflessione. E le sfide del weekend a venire contro il Ginevra in casa e con il Davos nei Grigioni rappresenteranno già una sorta di bivio. Soprattutto per coach Gianinazzi. Nella passata stagione il Giana ha goduto di una sorta di immunità, figlia della situazione catastrofica lasciata da McSorley, della sua giovane età e del suo DNA profondamente bianconero. I pre-playoff con il Friburgo e la serie con il Servette lasciavano pensare che il 30.enne tecnico fosse finalmente l’uomo giusto al posto giusto. Oggi invece Gianinazzi sta vivendo il suo primo vero momento difficile e dovrà dimostrare di saperlo superare. Perché l’immunità, in una piazza difficile e comunque ambiziosa come quella bianconera, rischia di evaporare in fretta. Il club ha puntato tutto o quasi su di lui: se la squadra non sarà in grado di invertire la rotta, la dirigenza rischia di ritrovarsi a gestire un contesto esplosivo. «Gianinazzi sarà il mio ultimo allenatore», ha sempre detto il direttore sportivo. In fondo questo zoppicante inizio di stagione servirà a capire se il Giana può essere il tecnico sul quale costruire il futuro del Lugano. O se, come tanti suoi illustri predecessori, non sarà in grado di riportare la squadra bianconera a livelli perlomeno accettabili. E non solo per colpa sua. Perché una cosa è certa: il gruppo in questo momento non lo sta aiutando. Questo è un Lugano che svolge il compitino e con ogni probabilità è anche troppo attaccato ai dettami tattici imposti dallo staff tecnico. Ma quando si tratta di portare sul ghiaccio quel pizzico in più di emozioni e di cattiveria agonistica – in particolare nei momenti di difficoltà – la squadra si perde.

Un time-out surreale

Sarà dunque interessante osservare come Gianinazzi cercherà di togliere la squadra dall’imbarazzo. L’idea di hockey veloce e aggressivo, con tanto possesso del disco, per ora non sta portando i frutti sperati. Al momento servirebbe soprattutto una maggiore solidità difensiva e poco importa lo spettacolo. Lo si diceva dopo le tre sconfitte consecutive con Losanna, ZSC Lions e Zugo: la cosa più importante è che il coach non entri in confusione. In questo senso, il time-out chiamato martedì sullo 0-6 assume sfumature surreali e non è un bel segnale. La gestione degli stranieri e di Mark Arcobello in particolare, quella dei portieri e in generale il continuo rimescolamento dei terzetti offensivi – salvo poi non cambiare nulla in corsa contro il Rapperswil – testimoniano di una certa febbrilità. Giustissimo cercare le soluzioni, a patto di non cancellare del tutto le già poche certezze del gruppo. C’è soprattutto da capire se la filosofia hockeistica di Gianinazzi si sposa con le caratteristiche dei giocatori a disposizione. Continuare a picchiare la testa contro il muro sarebbe controproducente per tutti.

Leader invisibili

Detto ciò, la squadra bianconera sta evidenziando grossi limiti a livello di individualità. A partire da uno straniero di difesa, Joey LaLeggia, che potrà sicuramente rendersi utile in power-play nelle serate di buona vena della squadra, ma che non sembra tagliato per un ruolo da leader nel campionato svizzero. Se queste impressioni dovessero trovare conferma, il Lugano avrebbe toppato l’ennesimo terzino di importazione. Davanti sono troppi gli elementi lontanissimi da un rendimento accettabile. Tra i leader – o presunti tali – il solo Calvin Thürkauf sta rispondendo alle attese. Giocatori come Michael Joly, Arttu Ruotsalainen o Marco Müller – solo per fare tre nomi, ma non sono gli unici – non stanno di certo dando una mano a Gianinazzi. A meno che non sia il sistema del coach a non dare una mano a loro.

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