Hockey

«L’Ambrì, il surf e la chitarra: ora voglio cavalcare l’onda»

Johnny Kneubühler, attaccante biancoblù, si racconta attraverso l’hockey, la famiglia e le sue grandi passioni
© CdT/Gabriele Putzu
Fernando Lavezzo
11.12.2020 22:03

Sogna di fare surf alle Hawaii. Di tornare presto a suonare con la sua band. Ma soprattutto di segnare altri gol e di aiutare l’Ambrì Piotta ad allungare la sua striscia positiva. Sbloccatosi martedì contro il Davos, Johnny Kneubühler ci racconta la sua storia.

Johnny non è un diminutivo. E neppure un omaggio dei genitori a Johnny Hallyday, icona del rock francese. «Papà e mamma volevano chiamarmi Jonathan, ma una coppia di amici aveva già dato lo stesso nome a loro figlio, nato prima. Quindi per me hanno pensato a Johnny. Non è una grande storia, ma è così che è andata».

Ginevrino, 24 anni, di belle storie Kneubühler ne ha comunque tante. L’ultimo capitolo si intitola «Ambrì». Arrivato in Leventina nel 2018, il biondo attaccante sta attraversando un buon momento. Forse il migliore da quando indossa la maglia biancoblù numero 11. Martedì, contro il Davos, Johnny ha segnato la sua prima rete in questo campionato. Sarebbero di più, se fosse riuscito a concretizzare le molte occasioni create: «Ne sono consapevole, devo e voglio migliorare. C’è forse una componente genetica: non sono uno scorer come Nättinen, mi sembra chiaro. Julius ha un tiro migliore del mio, tanto per cominciare. Ed è terribilmente concreto. Io sono contento di riuscire a crearmi così tante opportunità da rete. Significa che valgo qualcosa. Ma se voglio progredire ancora, fare il passo successivo e aiutare la squadra a vincere, beh, quei dischi devono entrare. Ci sto lavorando, sia mentalmente, sia con la pratica. Sto cambiando mentalità anche in allenamento, non accontentandomi di tirare in porta tanto per farlo. Ora cerco il gol, sempre e comunque. Spero che quello segnato al Davos mi dia maggiore fiducia e tranquillità».

© Keystone/Alessandro Crinari
© Keystone/Alessandro Crinari

Sognando le Hawaii
Appassionato di surf, Johnny vuole cavalcare quest’onda positiva: «Proprio così, mi piace questa metafora. Devo approfittare del buon momento, mio e della squadra. Per il surf vero e proprio, invece, aspetterò l’estate. È una disciplina che ho iniziato a praticare già da bambino, insieme a mio padre. Ogni anno, con mio fratello e alcuni amici, trascorro una settimana sulle onde. Abbiamo due luoghi di riferimento in Francia: Biarritz e Hossegor, ad ovest di Bordeaux. Una volta ho avuto la fortuna di surfare anche in Costa Rica, dove un mio amico possiede una casa. Le Hawaii? Sono sempre nella testa, sulla lista dei desideri. Forse un giorno, quando potremo tornare a viaggiare...».

Mi hanno messo sui pattini molto presto, a tre anni. Da quel che mi ricordo ero sempre sul ghiaccio, ma non mi rendevo veramente conto di cosa stessi facendo

Tifoso alle Vernets
Quella di Johnny è una famiglia numerosa e allargata: «Tra fratelli e sorelle siamo in sei. Da piccolo sono cresciuto con tre di loro. Poi, a sette anni, i miei si sono separati ed ho iniziato a vivere un po’ con l’uno e un po’ con l’altro. In seguito mio padre si è risposato, e dal suo nuovo matrimonio sono nati gli altri due fratelli. Sono molto legato a tutti quanti».

È insieme al fratello maggiore che Johnny scopre l’hockey: «Mi hanno messo sui pattini molto presto, a tre anni, mentre lui ne aveva cinque. Da quel che mi ricordo ero sempre sul ghiaccio, ma non mi rendevo veramente conto di cosa stessi facendo. Il fatto che non abbia mai abbandonato la pista in lacrime, però, lascia intendere che mi piacesse. Attorno agli 8-9 anni, l’hockey è diventato una vera passione. Sia come giocatore, sia come tifoso. In quel periodo il Servette era appena tornato in NLA ed io ero sempre sugli spalti delle Vernets. Mi ricordo di Philippe Bozon, Misko Antisin, Goran Bezina, John Gobbi. Ho amato soprattutto Igor Fedulov e Oleg Petrov, due grandi artisti. Per noi del settore giovanile la prima squadra era un mondo a parte. Lo spirito di Chris McSorley era confinato dentro quello spogliatoio».

© CdT/Archivio
© CdT/Archivio

Un liceale sul ghiaccio
Dopo una stagione nei Novizi del Davos, nel 2013 Johnny Kneubühler si trasferisce a Losanna, dove frequenta il liceo. Nel 2015-16, a 19 anni, il club vodese inizia ad inserirlo in prima squadra: «Lì ho capito che avrei potuto fare dell’hockey un lavoro. Era il mio sogno, il mio obiettivo. Nell’ultimo anno da juniores ho firmato il primo contratto da professionista. Ero felice, fiero. I primi mesi nello spogliatoio di NLA sono stati bellissimi e indimenticabili. Alcuni miei compagni di classe erano tifosi del Losanna ed erano sempre disponibili ad aiutarmi con le cose di scuola, a passarmi gli appunti quando dovevo assentarmi per una trasferta. Sono cresciuto come fan del Ginevra, ma la rivalità tra club lemanici non mi è mai pesata».

Dopo un’integrazione idilliaca, la vita a Malley non è stata tutta rose e fiori: «La prima stagione da professionista è filata liscia, poi sono iniziate le difficoltà. Giocavo poco. Ripensandoci, è stata colpa mia. Ero ancora immaturo, troppo concentrato su me stesso e poco sulla squadra. Avevo una buona tecnica, sì, ma da sola non mi permetteva di giocare 50 partite di alto livello. Nonostante tutto, il club era pronto a tenermi per altri due anni, ma io sentivo l’esigenza di partire e vedere altre cose. Di crescere, soprattutto, perché mi sentivo in fase di stallo. La proposta dell’Ambrì è arrivata al momento giusto. Sarebbe stata una totale scoperta: proprio ciò di cui avevo bisogno».

© CdT/Gabriele Putzu
© CdT/Gabriele Putzu

Semafori verdi
Anche in Leventina, però, non mancano i momenti duri: «Il primo anno ho giocato poco, sulla scia dell’ultima stagione losannese. Avevo lo stesso problema: dovevo imparare a giocare per la squadra, a maggior ragione nel sistema di Cereda. La scorsa stagione era iniziata bene, poi un intervento al bacino mi ha tenuto fuori a lungo. Ho lavorato duramente per tornare in forma, ma il coronavirus ha fermato tutto quanto. Quest’anno, per me, è dunque importantissimo. Ora davanti vedo soltanto semafori verdi. In aprile ho rinnovato fino al 2022, sento la fiducia del club e fisicamente sto bene. Sono libero e motivato, due condizioni ideali per progredire un pochino ogni giorno».

Suonare mi aiuta a chiarire le idee, ma la passione per la chitarra non è solo una questione intima e personale: ho una band

A tutto rock
Detto del surf, non ci resta che parlare dell’altro grande hobby di Kneubühler: la musica. «Suono la chitarra, sì. Ho iniziato da giovanissimo, a 6-7 anni. La prima me l’ha regalata mio papà e ho iniziato a strimpellarla per conto mio. In seguito ho preso delle lezioni e ancora oggi è sempre con me. Ad ogni trasloco, è una delle prime cose che mi porto dietro. Suonare mi aiuta a chiarire le idee, ma la passione per le sei corde non è solo una questione intima e personale. Infatti suono in una band. Il batterista si chiama Matteo, mentre il cantante è Makai Holdener, attaccante del Visp, ex Ginevra. Facciamo delle cover: Red Hot Chili Peppers, AC/DC, classici del rock. Concerti? Una volta abbiamo suonato in un bar per una festa di compleanno, un’altra davanti a dei giocatori di hockey in occasione di un torneo». Chissà, magari il prossimo sarà per l’inaugurazione della nuova Valascia...