Il personaggio

Le 700 battaglie di Samuel Guerra: «Sono fiero di ciò che ho fatto»

Il difensore del Lugano tra traguardi personali e obiettivi di squadra
Samuel Guerra, 31.enne difensore bianconero. ©CdT/Gabriele Putzu
Flavio Viglezio
26.09.2024 06:00

Samuel Guerra ha 31 anni, li ha compiuti l’11 maggio scorso. Gli ultimi 14 li ha trascorsi prevelantemente sulle piste di tutta la Svizzera. Dall’esordio con la maglia del Davos nella stagione 2009-2010 alla sfida con il Berna dell’altra sera: la presidente del Lugano Vicky Mantegazza – prima della partita con gli Orsi – ha premiato il difensore ticinese per le 700 presenze in Lega Nazionale. Un traguardo prestigioso, in una carriera che lo ha visto festeggiare tre titoli nazionali: due proprio con il Davos (2011 e 2015) e uno con gli ZSC Lions (2018).

Gioie ed emozioni forti

Sono parecchi i giocatori che firmerebbero in bianco per risultati di questo tipo. Per una carriera, di questo tipo. Samuel Guerra sorride, senza scomporsi più di quel tanto: «Sinceramente – spiega il terzino – non sapevo di essere arrivato alle 700 partite in Lega Nazionale. Me lo ha detto lunedì mattina uno dei miei compagni di squadra più giovani: questi ragazzi stanno 24 ore al giorno e sette giorni su sette sul cellulare (ride, NdR). L’ho scoperto veramente così. Sono davvero orgoglioso di avere raggiunto questo traguardo, 700 incontri sono tanti. Ma quello che mi rende ancora più fiero è ciò che sono riuscito a fare in tutti questi anni: ho vissuto emozioni forti, mi sono tolto tante soddisfazioni, ho festeggiato grandi successi e ho maturato esperienze interessanti dappertutto. È vero, non sono moltissimi i giocatori che hanno la fortuna di celebrare così tante partite in Lega Nazionale, ma sono ancora meno quelli che possono vantare titoli importanti. Sì, è decisamente qualcosa che mi riempie di orgoglio».

L’amico Scherwey

Al momento dell’omaggio ricevuto da Vicky Mantegazza, tanti giocatori del Berna hanno salutato Guerra picchiando con convinzione il bastone sul ghiaccio. Tristan Scherwey su tutti: per l’entusiasmo il temibile numero 10 del Berna sembrava un giocatore del Lugano. Un bell’attestato di stima. Guerra se la ride: «Con alcuni giocatori del Berna e con Scherwey in particolare ho vissuto tante esperienze con la maglia rossocrociata, dalle selezioni giovanili alla nazionale maggiore. Quando si ha l’opportunità di disputare un Mondiale Under 20 si condividono molte avventure tra compagni di squadra, in pista ma anche fuori (ride di gusto, NdR). Ho conosciuto e condiviso mille battaglie con tanti compagni che poi, ovviamente, mi ritrovo regolarmente contro in campionato. Ma i rapporti che si creano da ragazzi rimangono saldi per tutta la vita, anche quando si lotta per il proprio club. Il rispetto reciproco è forte e inoltre con Scherwey – ma non solo – ho svolto la scuola reclute a Macolin. È nata un’amicizia che va oltre l’hockey. Ne parlavo pochi giorni fa con un conoscente: invecchiando si conoscono sempre meno gli avversari più giovani ed è bello allora incontrare ancora quei giocatori che militano da tanti anni nel campionato svizzero. Adesso, piano piano, stanno arrivando i figli dei miei ex compagni o avversari... Godere del rispetto dei rivali significa comunque aver fatto qualcosa di buono in carriera, sia sul ghiaccio sia fuori. Fa indubbiamente piacere».

Soddisfatti, ma non troppo

Fa piacere invece al Lugano aver iniziato con il piede giusto il campionato. Dopo la sconfitta all’esordio contro lo Zugo, sono arrivate le vittorie con Davos, Losanna e Berna. Tutte da tre punti, inoltre. La stagione è appena iniziata, ma cominciare bene era uno degli obiettivi del club. I risultati positivi permettono inoltre di continuare a lavorare senza troppa pressione addosso. In condizioni ideali, insomma. «Ovviamente tutte le squadre che partecipano al campionato si augurano di iniziare nel migliore dei modi la nuova stagione. A livello di risultati ci siamo, queste prime due settimane sono andate molto bene. Dobbiamo però essere onesti: è solo l’inizio e contro il Berna martedì non abbiamo proseguito sulla strada imboccata nelle sfide con Davos e Losanna. Non abbiamo giocato in maniera semplice e il nostro forecheck per andare a mettere sotto pressione l’avversario non sempre ha funzionato. C’è insomma ancora tanto da lavorare: per arrivare a competere con continuità contro le migliori squadre del campionato dovremo essere in grado di proporre con costanza il gioco che vogliamo. Le formazioni più forti riescono a rimanere nel sistema anche nelle serate più difficili: alla fine c’è quasi sempre la giocata di classe che fa la differenza, ma il modo di stare in pista non cambia praticamente mai. Contro il Berna nei primi quaranta minuti sono venute a mancare le basi del nostro sistema, ciò che ha facilitato la vita agli Orsi».

Punti pesanti

C’è pero chi sostiene che in altre circostanze – e in un passato nemmeno troppo lontano – una partita così il Lugano l’avrebbe probabilmente persa. La squadra ha invece trovato la via del successo e ha mostrato importanti risorse mentali, riuscendo a recuperare per ben tre volte una rete di svantaggio agli Orsi. E finalmente a fare la differenza, sul piano contabile, è stato il power-play: «Di positivo c’è che nel terzo tempo ci siamo ritrovati e questo ci ha permesso di andare a conquistare i tre punti. Il carattere comunque c’è sempre stato e questo è fondamentale. Subito dopo la partita sono andato da Calle Dahlström. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che il successo con il Berna era stato davvero pesante, per come lo abbiamo ottenuto. E siamo felici che il power-play si sia sbloccato. Abbiamo cambiato alcuni aspetti del gioco in superiorità numerica e sono cambiati anche alcuni interpreti: ci stiamo lavorando forte e con il Berna abbiamo iniziato a raccogliere i frutti dei nostri sforzi. Sì, in passato partite così le avremmo magari perse: vincere anche in questo modo è importante per la nostra fiducia, per la classifica e per tutto l’ambiente. Anche e soprattutto per i nostri tifosi: ci hanno sostenuto a gran voce, in pista c’era una bellissima atmosfera. Dobbiamo però rimanere con i piedi per terra: sappiamo benissimo che la strada che ci attende è ancora lunga».

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