«Le mie prime pattinate nella Toronto multietnica»

Un gol nell’ultimo derby e una doppietta decisiva contro il Davos. Troy Josephs, attaccante canadese del Lugano, ci ha preso gusto. Con 9 reti e 10 assist in 23 partite, è attualmente il quarto marcatore dei bianconeri. Questa sera a Friburgo, l’ex topscorer del Visp potrebbe giocare in linea con Carr e Arcobello sin dal primo minuto. Lo abbiamo incontrato per conoscerlo meglio.
Troy sorride. Lo fa spesso, quasi sempre. Ora, però, deve riprogrammare le vacanze di Natale. «Il Team Canada mi aveva selezionato per la Spengler, ma poi ha rinunciato al torneo», racconta dispiaciuto il 27.enne di Whitby, Ontario. «Peccato, non vedevo l’ora di tornare a rappresentare il mio Paese dopo averlo fatto negli juniores. Ovviamente capisco la decisione: la salute viene prima di tutto. Vorrà dire che mi godrò le feste in qualche angolo suggestivo della Svizzera. Lugano è magnifica anche in questo periodo. Io, però, adoro il Natale con la neve. Zermatt è un’opzione. Il Vallese, del resto, è stata casa mia per due anni».
Un’infanzia felice
Troy ama l’inverno, ma il suo primo ricordo hockeistico suggerisce il contrario: «I miei piedi erano congelati», racconta divertito. «Avevo quattro anni, cinque al massimo. Papà portò me e i miei fratelli a giocare su un laghetto ghiacciato. A fine giornata, non ero troppo convinto di voler ripetere l’esperienza. Poi, però, ho capito che avrei continuato ad inseguire un disco per tutta la vita».
Shock termico a parte, quella di Troy è stata un’infanzia felice: «Ho due fratelli maggiori e una sorella. Insieme praticavamo ogni tipo di sport, avevamo sempre qualcosa da fare e in casa c’era grande fermento. Sono cresciuto nell’area urbana di Toronto, in una famiglia multietnica. Mio padre è giamaicano, mia madre è canadese con radici italiane. Il suo cognome, Vaccariello, dovrebbe avere origini napoletane o pugliesi. Così mi è stato detto quando sono arrivato in Ticino».
Un atleta totale
Il primo idolo sportivo di Troy è stato un mito del basket, Michael Jordan. «Più in là ho iniziato ad ammirare diversi giocatori di hockey, da Joe Sakic a Jarome Iginla, fino ad Anze Kopitar, ma non sono mai stato focalizzato su un unico sport. Me ne piacevano tanti: pallacanestro, football, golf, tennis. Li ho praticati tutti e credo che questo mi abbia permesso di sviluppare al meglio la mobilità e la coordinazione. Con il tempo, l’hockey è diventato sempre più importante, addirittura una professione, ma in estate continuo a variare. Ultimamente gioco soprattutto a golf. Non sono ancora bravo quanto vorrei, ma sto migliorando».
«Black hockey matters»
Toronto è una delle città più multietniche e multiculturali al mondo. L’hockey, però, resta uno sport praticato prevalentemente da ragazzi bianchi. Troy Josephs è mai stato vittima di razzismo sul ghiaccio? «Personalmente no, in pista nessuno mi ha mai preso di mira per il colore della mia pelle», racconta il numero 19 del Lugano. «Purtroppo, però, è successo ad alcuni miei amici. Sono stati episodi molto tristi. Lo sport è lo specchio di una società che deve ancora maturare, crescere, imparare. Io non ho perso la speranza. Anzi, per quanto riguarda l’hockey, credo che si stia andando nella direzione giusta. Più uno sport è in grado di coinvolgere nuove culture, più diventa bello».
I modelli, in questo senso, non mancano. «Prima ho citato Jarome Iginla, un fenomenale attaccante di colore con oltre 1.600 presenze e 1.300 punti in NHL. Per me e per tanti altri, lui è stato d’ispirazione. Vedere qualcuno che mi assomiglia riuscire ad imporsi in una lega dominata dai bianchi è stato importante. Grazie ad Iginla e ad altri precursori, ho capito che nella vita, con impegno e dedizione, si può diventare ciò che si vuole. Non importa chi sei e da dove vieni».
Uomo d’affari
Dopo essere stato scelto dai Pittsburgh Penguins al «draft» del 2013, Troy ha continuato ad inseguire i suoi sogni nel campionato universitario statunitense (NCAA) con la Clarkson University di Potsdam, nello Stato di New York. «Sono stati quattro anni fantastici, nei quali sono cresciuto come giocatore e come uomo. So che in Europa, quando si parla di college e sport, si pensa subito al basket, ma anche l’hockey ha tradizione. Le finali nazionali si chiamano Frozen Four. Io non le ho mai raggiunte, ma non ho rimpianti. Potendo tornare indietro, non cambierei nulla. Quell’esperienza mi ha preparato all’hockey professionistico e mi ha permesso di ottenere una laurea in economia».
Una laurea e un’educazione che Josephs sta già sfruttando: «Sono sempre stato molto attratto dal mondo degli affari e l’estate scorsa ho avviato una piccola attività nel settore del golf. Ovviamente l’hockey resta il mio lavoro principale, ma è bello avere anche altro a cui pensare. Ci metto la stessa passione che porto in pista».
Il posto fisso
Dopo due stagioni trascorse nelle leghe minori nordamericane (AHL e ECHL) e due a Visp, Troy Josephs si è conquistato un posto fisso nel Lugano di McSorley. Serate come quelle di lunedì hanno messo in evidenza il suo potenziale offensivo. «Il mio stile mi permette di fare tante cose diverse. Posso difendere e praticare un forecheck aggressivo, ma anche segnare delle reti pesanti. Contro il Davos ho avuto l’opportunità di giocare due tempi al fianco di Carr e Arcobello, due attaccanti di grande talento. È andata bene. Ma sono pronto a fare tutto ciò che mi chiede l’allenatore». Col sorriso. Sempre.