Lugano e Ambrì, storie di quarantena, di sogni e di ripartenze

Viste così, senza ghiaccio, la Valascia e la Cornèr Arena sembrano due enormi piste da ballo. Al posto di cubi, cubisti e cubiste, però, ci sono i coni, indispensabili per delimitare gli esercizi di una preparazione fisica ormai entrata nel vivo. Tra uno scatto e un saltello, ad Ambrì sbucano pure le racchette da volano. Qualcuno avrebbe forse preferito i racchettoni da spiaggia, ma per le vacanze è ancora presto.

Isolamento e fisioterapia
I giorni della quarantena e del lavoro individuale sono solo un ricordo. Giorni complicati per tutti, ma ancor di più per chi, come Diego Kostner e Giovanni Morini, aveva i familiari oltre confine. Più precisamente in Val Gardena, nel caso del leventinese: «Per tutto il lockdown sono rimasto in Ticino, chiuso in casa, uscendo solo per qualche camminata. È strano a dirsi, ma persino le sedute di fisioterapia hanno rappresentato un piacevole diversivo», racconta il biancoblù, reduce da un lungo infortunio. «Il weekend scorso sono tornato in Italia per la prima volta da Natale. Fortunatamente dalle mie parti, nelle valli gardenesi, la situazione è sempre stata tranquilla, molto più che in altre regioni del Paese».
Si diceva del lungo infortunio. La scorsa stagione, Diego Kostner ha giocato solo la prima partita di campionato: ha segnato un gol, ma si è subito procurato un guaio agli adduttori che lo ha poi tormentato fino all’inverno: «Per sdrammatizzare, posso dire di aver chiuso la stagione con la media di un gol a partita. Di fatto, però, è stato un periodo durissimo. Tra riabilitazione e pandemia, ho vissuto nove mesi complicati, soprattutto mentalmente. Dopo l’infortunio, mi dissero che avrei recuperato in fretta, nel giro di una settimana. I tempi, però, si sono dilatati al punto di non giocare più. In un certo senso, l’incertezza del mio infortunio si è poi protratta con quella legata al coronavirus. Ora fortunatamente sto bene, ho recuperato e lavoro in gruppo. Sono già stato due volte sul ghiaccio a Lucerna, senza problemi».

Ritorno a Como, tre mesi dopo
Storie di confini, di viaggi da nord a sud. Dalla Valascia ci spostiamo a Lugano, dove un altro giocatore italiano ha trascorso un periodo difficile. «Per tre mesi, videochiamate a parte, non ho visto i miei genitori. Non è stato né bello, né facile», racconta Giovanni Morini. «Il 3 giugno, non appena è stato possibile, ho raggiunto velocemente Como per riabbracciare mamma e papà. Sono molto legato alla famiglia e doverne fare a meno per così tanto tempo è stata dura». Ora che le frontiere sono aperte, viene da chiedersi dove Morini passerà le ferie: in Italia o in Svizzera? «L’importante sarà trascorrerle in un luogo sicuro. Non possiamo permetterci di contrarre il virus per colpa di un comportamento superficiale». Prima di staccare per qualche giorno, ad ogni modo, ci sarà da sudare. E anche parecchio. «Ma io dal punto di vista fisico mi sento più in forma che mai», afferma Giovanni, reduce da una stagione segnata dal brutto infortunio al ginocchio. «L’ultimo anno è stato parecchio deludente. Dopo la lunga riabilitazione, sto lavorando sodo per togliermi delle soddisfazioni. Voglio che sul ghiaccio scenda il miglior Morini possibile». Non fosse altro alla luce di un contratto che giungerà a scadenza nella primavera del 2021. Il centro affronta di petto la questione: «A mio avviso ogni campionato, indipendentemente se sia o meno quello che porta alla fine del contratto, è importante. In qualità di giocatori veniamo giudicati per tutto il nostro percorso e non solo per la sua parte finale». Nel mondo dell’hockey a fare stato è però anche il passaporto, con la radicata dicotomia svizzero-straniero. Sul tavolo di club e Lega c’è anche la proposta di portare a 8 il numero di giocatori d’importazione, includendo le doppie licenze. Sì, come quella di Morini. «Sarei ipocrita se dicessi di non aver prestato attenzione al tema. Poi, naturalmente, non ho il potere di influenzare questo tipo di decisioni. L’unica cosa che posso fare è giocare al massimo delle mie capacità. A maggior ragione se tra due anni sarò considerato uno straniero (ride, ndr.)».

Dall’Austria con grinta
L’attaccante comasco non è l’unico bianconero dei due mondi. Alla Cornèr Arena sono sbarcati pure gli austriaci – con licenza svizzera - Raphael Herburger e Bernd Wolf. Completate le pratiche burocratiche, entrambi si sono aggregati ai compagni proprio ieri. «Il gruppo – sottolinea il secondo – è affiatato e la voglia di lavorare, dopo questo periodo un po’ strano, è tanta». Ma rispetto a una normale preparazione a secco, Wolf si sente più o meno in forma? «Onestamente non avverto particolari differenze. Sono un giocatore a cui piace lavorare molto, anche individualmente. Detto ciò, la preparazione delle ultime settimane, da solo, è stata tutto fuorché divertente». Ad accompagnare il battesimo del 23.enne alla Cornèr Arena sono invece stati i sorrisi e una buona dose di agonismo. Già, ma perché proprio il Lugano? «Due anni fa – spiega Wolf – avevo scelto l’EBEL per crescere e sviluppare il mio gioco. Era però giunto il momento di fare lo step successivo. Di qui la decisione di guardare a un campionato più importante. Con il Lugano, un club storico e ambizioso, ho avuto diverse discussioni e alla fine mi è sembrata la scelta migliore per il mio futuro». Secondo difensore più giovane del roster, l’ex Villach dovrà sgomitare per guadagnarsi cambi e minuti alla prima vera esperienza in National League. «Ma non ho nulla da perdere. Voglio fare il mio meglio e lottare per ritagliarmi un ruolo importante».

Un debutto tanto atteso
La preparazione fisica è un prezioso momento di integrazione per i nuovi arrivati. Zaccheo Dotti, però, conosce già benissimo il club in cui è cresciuto. Gli manca solo l’ultimo tassello: debuttare finalmente in prima squadra e in National League dopo sei anni trascorsi tra Biasca e Ajoie: «In passato mi sono già allenato con l’Ambrì e ho disputato delle partite amichevoli, ma mai delle gare ufficiali. In queste settimane sto dunque vivendo delle emozioni bellissime. L’idea di giocare con questa maglia, in quella che sarà probabilmente l’ultima stagione nella mitica Valascia, mi riempie di gioia. Sono grato di questa opportunità. Negli ultimi anni diversi giocatori sono arrivati qui seguendo dei percorsi tortuosi e facendo un po’ di gavetta. Ora tocca a me: da bambino lo sognavo e proprio quando non lo credevo più possibile, eccomi qui».
Zaccheo Dotti porta in dote la Coppa Svizzera vinta con l’Ajoie: «È stata un’esperienza bella e preziosa. Nell’avvicinamento alla finale ho imparato a gestire un grande stress e questo mi aiuterà in futuro».
Nelle settimane di quarantena e di allenamenti individuali, Zaccheo ha potuto contare sul supporto del fratello Isacco: «Tra familiari era concesso stare insieme e ne abbiamo approfittato, mantenendo comunque le distanze. Consigli da parte sua? Beh, durante l’estate conta solo sudare e stringere i denti. Diciamo che ci siamo spinti a vicenda».