Il personaggio

Mark Arcobello: «Sono in fase di riflessione, questo per me è un bel test»

A colloquio con l'americano, ora nello staff tecnico del settore giovanile dell'HC Lugano
Mark Arcobello, nuovo assistente della Under 18 bianconera. ©CdT/Gabriele Putzu
Flavio Viglezio
12.08.2025 23:08

Ha festeggiato proprio oggi il suo 37. compleannno, Mark Arcobello. Un compleanno diverso, il primo da ex giocatore di hockey. Sì, a 37 anni l’americano ha deciso di dire addio alla luce dei riflettori, ma non ha abbandonato il mondo dell’hockey, dal quale ha ricevuto e ha dato tanto. Una quindicina di stagioni da professionista, con tante partite di NHL e di AHL alle spalle. Poi il trasferimento in Svizzera: 4 anni a Berna – con la conquista di due titoli nazionali – e gli ultimi 5 a Lugano.
Meno fortunati, dal punto di vista prettamente sportivo. «La differenza principale – spiega subito – è che a Berna c’era un’organizzazione già estremamente solida, mentre ho trovato un Lugano che stava cercando una nuova via. Non è ancora riuscito a trovarla, ma le premesse per tornare ad essere un club di primo piano sono buone. Ne sono convinto. Non ho rimpianti, però: nello sport non è mai scontato avere successo, anche se potevamo sicuramente fare meglio».

Aspettando il passaporto

Ora, appunto, è giunto il momento di dire basta. Forse con un pizzico di malinconia, ma senza rimpianti: «Anche perché - sottolinea Arcobello – mi reputo in una sorta di periodo di transizione. Per il momento ho deciso di restare nel mondo dell’hockey per dare una mano all’organizzazione dell’HC Lugano, ma non escludo un giorno di muovere dei passi in altre direzioni. Ora mi concentro sullo sviluppo di questi ragazzi tra i 18 e i 21 anni, li voglio aiutare nel loro sogno di diventare dei professionisti. In seguito si vedrà: questo per me è un test per vedere se ho scelto la strada giusta».
Per un momento, nei mesi passati, ha sperato di proseguire la carriera grazie alla possibile acquisizione del passaporto elvetico. Un sogno che non si è concretizzato: «Ma il desiderio di avere un giorno il passaporto svizzero rimane intatto. La scelta di rimanere in Ticino è stata soprattutto famigliare, mia moglie e i miei tre figli ci siamo sempre trovati molto bene qui e Ponte Capriasca è diventata la nostra seconda casa».

Nessun colpo di testa

In attesa del passaporto rossocrociato, la Svizzera ha comunque rappresentato e rappresenta molto per Mark Arcobello. Non solo a livello hockeistico, ma – come detto - anche e forse soprattutto a livello di vita quotidiana e familiare: «Sia a Berna che a Lugano ci siamo sempre trovati benissimo e i miei tre figli sono tutti nati in Svizzera. Sì, abbiamo deciso di rimanere qui perché ci piace vivere a Lugano. I figli ormai parlano bene l’italiano e sono perfettamente integrati in questa realtà».
Ecco allora perché l’ormai ex centro statunitense ha deciso di rimanere a Lugano, dove lavorerà in seno al settore giovanile quale assistente allenatore della Under 18 bianconera. È l’inizio di un nuovo capitolo: «Quella di lavorare con i giovani non è stata un’idea presa senza riflettere. L’anno scorso con Ryan O’Neill – mio amico che ha giocato anche a Zugo – in Nordamerica abbiamo lanciato un programma di sviluppo per ragazzi dai 15 ai 17 anni. Una novità che sta avendo successo. E nel mio tempo libero, in Svizzera , ho già avuto modo di lavorare un po’ a livello giovanile. Indipendentemente da dove mi porterà il futuro, sono eccitato dall’idea di poter dare una mano a questi ragazzi».

Esperienza e nome

Porterà esperienza e competenze utilissime nello sviluppo dei giovani giocatori, Arcobello: «Ho giocato fino a pochi mesi fa e ritengo che la mia esperienza possa venire utile a giovani che stanno cercando la loro strada. Grazie al mio nome – non lo nascondo – questi ragazzi sono pronti ad ascoltare i consigli che diamo loro per migliorare, per crescere ogni giorno di più».
A 17 anni un ragazzo è ancora molto giovane, ma allo stesso tempo le porte per un passaggio all’hockey professionistico non sono lontane: «La cosa più importante per un giovane è seguire i consigli degli allenatori. Anche perché ognuno deve sapersi adattare al ruolo che gli verrà dato. I migliori sei attaccanti di una Under 18, per esempio, non saranno mai i sei migliori attaccanti di una squadra professionistica. Un allenatore ha il compito di sviluppare le caratteristiche di questi ragazzi, che devono però mostrare spirito di adattamento. Ricordo che al mio primo anno da professionista ero quasi sempre confinato in quarta linea, ma non mi sono mai perso d’animo. È una questione di attitudine e mi auguro di riuscire a fare passare anche un messaggio a livello mentale, non solo tecnico e tattico».

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