McSorley e gli altri: se l’allenatore umilia i giocatori

Prima Mike Babcock, licenziato dai Toronto Maple Leafs, poi Marc Crawford, sospeso dai Chicago Blackhawks. In National Hockey League stanno venendo alla luce alcune scomode testimonianze sui comportamenti e i metodi duri, umilianti e violenti adottati dai due celebri allenatori.
Sulla scia di questo «#me too» hockeistico, anche in Svizzera è emerso un primo caso. Christopher Rivera, ex attaccante del Ginevra, si è sfogato martedì su Twitter, attaccando Chris McSorley, suo coach per undici stagioni tra il 2004 e il 2015: «Più storie sento su Babcock, più queste mi ricordano i miei anni trascorsi con McSorley», ha scritto il 33.enne svizzero-americano (vedi tweet). A chi gli risponde che in fondo «si cresce anche così», Rivera replica aumentando il carico: «All’epoca la pensavo così, ma oggi mi rendo conto che non era normale. Ci sono molte cose da dire su McSorley. Lui mi ha certamente formato, ma mi ha anche distrutto come persona e come giocatore. Una cosa è certa: ai miei giocatori non farei mai ciò che ha fatto lui» (vedi secondo tweet).
La risposta del coach
Contattato da «lematin.ch», Rivera non ha aggiunto dichiarazioni. Il portale romando ha però ottenuto una replica da McSorley, oggi ds del Servette: «Come allenatore ho sempre spinto al massimo i miei ragazzi per estrarne il 110%. Con Rivera e con chiunque altro ho sempre cercato di fare del mio meglio per sviluppare il giocatore e la persona, puntando alla vittoria. La vita in questo business è sempre troppo corta e non tutto finisce come si vorrebbe. Non c’è niente di personale. Non sono in guerra con Rivera. Gli auguro sinceramente il meglio nella transizione da giocatore a coach e spero che un giorno possa allenare una sua squadra». Che McSorley fosse un coach focoso è risaputo. I «segreti» dello spogliatoio ginevrino erano anche stati raccontati in un documentario del 2005, «Les règles du jeu».
Testimonianza nostrana
«Il tweet di Rivera mi ha stupito», ci confida Gianluca Mona. Portiere titolare del Ginevra di McSorley dal 2006 al 2009, il ticinese è stato compagno di squadra dell’accusatore: «Non voglio dire che menta. Rivera era già alle Vernets prima di me e vi è rimasto più a lungo. Non posso sapere se sia successo qualcosa di particolare prima del mio arrivo o dopo la mia partenza. E non posso sapere cosa capitasse nei colloqui individuali tra lui e il tecnico. Quello che ho sempre affermato e che ribadisco, è che McSorley è stato il migliore coach che io abbia avuto. Duro ed esigente, questo sì. Durante gli intervalli di un match capitava che alzasse la voce e dicesse cose dure. Ma senza mai andare sul personale. Con me si è sempre comportato in modo corretto. In generale, con i portieri era meno severo che con gli altri giocatori. Ma credo che lo stesso Rivera abbia avuto una lunga carriera grazie a McSorley».

Restare tra i paletti
Sempre su Twitter, nelle scorse ore Christopher Rivera ha pubblicato la locandina del film «Dr. Jekyll e Mr. Hyde», riferendosi a McSorley. Gianluca Mona, però, non vede questo sdoppiamento della personalità: «McSorley si affida a delle regole chiare: mette un paletto a destra e uno a sinistra per marcare i limiti. Finché rimani all’interno di questi confini, lui ti lascia in pace e sei libero di fare ciò che vuoi. Se però li superi, te lo fa notare».
Un mese difficile
Gianluca Mona è dunque perentorio: «Personalmente non posso dire niente di male contro McSorley e mai lo dirò. Anche se è vero che nel mio ultimo mese a Ginevra non mi considerava. Aveva già ingaggiato Tobias Stephan per il futuro e non mi voleva più, nonostante altri due anni di contratto. Quelli sono stati tempi duri. Non parlerei di mobbing, ma una cosa era chiara: sperava che io mollassi per primo e che decidessi di andarmene».
Quei casi in Nordamerica
«Su Twitter Rivera non entra nei dettagli, ma se paragona il comportamento di McSorley con quanto è emerso in NHL, sono parole pesanti», conclude Mona. «Ripeto, non insinuo che menta. Dico soltanto che la mia esperienza personale con McSorley è stata un’altra».
In NHL, come detto, sono due i coach finiti nella tempesta. Tra le varie accuse, si è saputo che ai tempi di Detroit Mike Babcock abusò verbalmente di Johan Franzen, causandogli un crollo nervoso. Crawford avrebbe invece preso a calci Sean Avery, suo giocatore a Los Angeles nel 2006.