HC Lugano

Mike Sgarbossa, il dialetto veneto e l'esempio di Ovechkin

Intervista al nuovo attaccante canadese dei bianconeri: «Qui posso contribuire a una nuova partenza; è una sfida molto stimolante»
© CdT/Gabriele Putzu
Fernando Lavezzo
04.08.2025 18:45

Mike Sgarbossa, 33 anni compiuti da poco, ha appena iniziato la sua prima avventura europea dopo una carriera divisa tra tanta AHL e poca NHL. Il nuovo centro canadese del Lugano ha chiare radici italiane, ma non parla la nostra lingua. In compenso, la voglia di raccontarsi non gli manca.

Come un pirata

Il 20 febbraio del 2024, quando Mike è tornato a segnare in NHL dopo oltre due anni, il deejay della Capital One Arena di Washington ha sottolineato il momento con la colonna sonora dei Pirati dei Caraibi, in riferimento al personaggio di Capitan Barbossa. Divertente assonanza. La storia degli Sgarbossa, però, parte dal Veneto. «Papà è originario di Padova, mamma di Treviso», spiega. «Non mi hanno insegnato una sola parola di italiano e la cosa mi secca parecchio, soprattutto ora che ne avrei bisogno», scherza. «Prenderò lezioni in Ticino. Comprendo qualcosina, ma a comunicare non ci provo nemmeno. Sembrerei un idiota. L’altro giorno ho ricevuto una lettera nel mio nuovo appartamento di Lugano e non ci ho capito nulla. Ho chiamato mia mamma su FaceTime per farmela tradurre, ma anche lei è inciampata su alcune parole, visto che ormai parla un idioma tutto suo, fatto di inglese, italiano e dialetto veneto. I miei nonni sono nati in Italia e sono emigrati a Toronto. Uno di loro faceva il falegname e in pratica non ha mai davvero imparato l’inglese. In vita ho ancora una nonna di 96 anni che si prende cura del suo giardino».

Una nuova routine

Mike sta imparando a conoscere la nuova realtà: «Io, mia moglie e i nostri due figli di 5 e 3 anni ci siamo appena trasferiti. Rispetto al Nordamerica ci sono tante differenze, ma sta andando bene. Non appena troveremo la nostra nuova routine sarà tutto più facile. Il primo impatto con i compagni è stato molto positivo, siamo stati qualche giorno in montagna tutti insieme e questo ci ha aiutati a rompere il ghiaccio. Tornare in pista per il primo allenamento è stato piacevole».

A 33 anni, Sgarbossa è pronto a scrivere un nuovo capitolo della sua carriera: «Era il momento giusto. I sette anni trascorsi nell’organizzazione dei Washington Capitals sono stati caratterizzati da molti su e giù tra il farm team di AHL, gli Hershey Bears, e la NHL. Quando ero via, il maggiore dei miei figli iniziava a sentire la mia mancanza. Io stesso sentivo che mi stavo perdendo molte cose. Quando si è manifestato l’interesse del Lugano, ho deciso di cogliere l’occasione. Janick Steinmann mi stava seguendo da un po’ di tempo, già da quando lavorava per un altro club (il Rapperswil, ndr.). Parlandogli, sono stato convinto dalle sue idee, dalla cultura che intende costruire, dai cambiamenti che intende apportare. Qui posso contribuire a una nuova partenza. È una sfida stimolante».

Un sostituto affidabile

Molti, anche nelle «fan base» di Hershey e Washington, si sono chiesti come mai Sgarbossa non abbia mai trovato un posto fisso in NHL. Lui la vede così: «I Capitals, in questi anni, hanno sempre avuto una squadra profonda, con tanti ottimi giocatori e bravi centri. A volte è anche questione di fortuna. Quando hai un ruolo definito, è più facile stabilizzarsi in NHL, ma nella mia posizione c’erano superstar come Kuznetsov e Bäckström. Mi sono dunque trovato a fare su e giù tra le due leghe e ad essere chiamato dai Capitals solo in caso di necessità. Mi spiace non essere diventato un giocatore di NHL a tempo pieno, ma ho avuto l’occasione di disputare qualche bella partita e di mettermi alla prova nella lega migliore del mondo».

È raro che giocatori nella sua situazione restino nella stessa franchigia per così tanti anni. Ma a Washington, Sgarbossa si è sempre trovato bene: «Si è creata un’ottima intesa con tutti, dall’organizzazione allo staff tecnico, fino ai giocatori. Avevo la mia routine consolidata e ho dato il massimo ogni giorno, cosa che è sempre stata apprezzata. In AHL sono sempre stato produttivo e ogni volta che mi hanno richiamato in NHL mi sono dimostrato affidabile e utile alla causa. Mi riadattavo in fretta. Inoltre, con l’avanzare dell’età, sono diventato un punto di riferimento per i più giovani. La combinazione di tutti questi fattori, ha fatto sì che restassi».

La lezione dello zar

Con la maglia dei Washington Capitals, Mike ha segnato 7 reti in 45 partite. Dopo ogni suo gol, il primo a dargli il «cinque» in panchina è stato lo zar, Alexander Ovechkin: «È il più grande scorer di tutti i tempi, ai suoi occhi potrei essere un signor nessuno, ma lui tratta tutti allo stesso modo. Sapeva tutto di me, della mia famiglia. Queste, per me, sono le cose più importanti. ‘‘Ovi’’ non è solo il campione che ha battuto il record di gol di Wayne Gretzky, ma anche un capitano e un leader generoso. Mi ha fatto sentire a mio agio ogni giorno. E con lui tutti gli altri, da Bäckström a Kuznetsov. Ho imparato moltissimo da ognuno di loro».

Essere un leader. È ciò che il Lugano chiede a Sgarbossa. Un ruolo che Mike ha già svolto con successo a Hershey (dove ha pure vinto il titolo nel 2023) e che non ha mai messo da parte neppure coi Capitals: «Quando ti chiamano in NHL, il tuo ruolo come giocatore cambia, ma non significa che devi cambiare come persona. In uno spogliatoio pieno di star, la mia attitudine di leader si è tradotta in positività ed energia. Ci sono sempre giocatori più giovani a cui dare il buon esempio. A Lugano cercherò di fare lo stesso».

La pressione che grava sugli stranieri in Svizzera non sembra impensierirlo: «Me ne parlano tutti, ma vi assicuro che in NHL la pressione è enorme. Se non rendi secondo le aspettative, puoi essere rimpiazzato o ceduto da un giorno all’altro. C’è sempre qualcuno pronto a prendere il tuo posto. Affronterò la pressione come ho sempre fatto: lavorando sodo e giocando nel modo giusto. A me non basta emergere come singolo, voglio che sia la squadra ad avere successo. In questo senso mi ritrovo molto nella nuova cultura che il Lugano vuole implementare. Stiamo cercando di creare qualcosa che vada oltre le individualità».