Quando tecnico e giocatori non vanno in vacanza insieme

Premessa fondamentale: ad oggi non esiste un caso Luca Fazzini, a Lugano. Certo, la decisione di Luca Gianinazzi di lasciare in panchina l’attaccante ticinese nel terzo tempo della sfida con il Rapperswil ha fatto discutere. Il coach bianconero, inoltre, si è limitato a parlare di «scelta tecnica», senza fornire ulteriori spiegazioni. Indipendentemente da ciò che è successo, Gianinazzi ha dimostrato di avere coraggio, togliendo dal ghiaccio con il risultato ancora in bilico un giocatore capace di risolvere una partita dal nulla.
Sulle incomprensioni tra allenatori e giocatori si potrebbe scrivere un libro. Nella maggior parte dei casi, sono situazioni che non lasciano strascichi particolari. Sarà così anche tra il Giana ed il Fazz, siamo pronti a scommetterlo. Ed allora, per sdrammatizzare e sorridere un po’, abbiamo aperto i cassetti della memoria per andare a rivivere alcune situazioni in salsa ticinese che fecero scalpore. Altro che Fazzini in tribuna. L’ultima in ordine di tempo – che non riguarda però Ambrì Piotta o Lugano – ha visto protagonista durante la recente Coppa Spengler il tecnico del Davos Josh Holden. La sua sgridata, con tanto di strattonata, allo slovacco Tomas Jurco – che aveva già annunciato la sua imminente partenza in KHL – ha fatto il giro del web. Anche perché l’attaccante slovacco, per liberarsi della presa di Holden, ha rischiato di rifilare al suo ormai ex allenatore una gomitata in faccia…
Non si scherza con il Mago
Il primo protagonista del nostro viaggio semiserio nel tempo non poteva che essere John Slettvoll. È il 1990, nella stagione precedente il Lugano dopo tre trionfi consecutivi ha perso il titolo a profitto del Berna. Il miglior marcatore della squadra bianconera è Thomas Vrabec, che nelle 36 partite di regular season ha messo a segno 30 reti e fornito 15 assist. Il Mago svedese, in pieni playoff, viene a sapere che l’attaccante si è accordato proprio con gli Orsi per il campionato a venire: decide così di spedirlo in tribuna e Vrabec non vedrà più il ghiaccio. Clamoroso, all’epoca. E il Lugano vince il suo quarto titolo nazionale battendo proprio il Berna nella finale dei playoff.
Diciotto anni più tardi è ancora una decisione di Slettvoll a far scorrere fiumi di inchiostro. Hnat Domenichelli, Randy Robitaille e Johnny Pohl sono reduci dalla Coppa Spengler, disputata con le maglie di Team Canada e Davos. Il primo impegno del nuovo anno del Lugano è previsto per il 2 gennaio, a Zurigo. I tre giocatori, però, non si presentano all’allenamento del 1. gennaio. Diranno poi che pensavano di essere esentati dalla seduta… Slettvoll li lascia in tribuna e all’Hallenstadion il Lugano si presenta con due soli stranieri: Petteri Nummelin e Patrick Thoresen. La partita? I bianconeri si impongono per 5-2.
Fischer e i ruba stipendio
Si rimane in casa Lugano, da Slettvoll a Patrick Fischer e a quella che in molti chiamarono la “Fischer revolution”. Fatto è che il 12 ottobre 2013, dopo una sconfitta per 2-1 con il Friburgo, l’attuale selezionatore della nazionale rossocrociata si lascia andare a dichiarazioni che hanno l’effetto di una bomba: «Qui – afferma scuro in volto – c’è gente che ruba lo stipendio. Chi non ha più voglia di giocare deve smettere perché a me non piace chi ruba». Apriti cielo. Fischer non fa nomi, ma il principale indiziato è Glen Metropolit: l’attaccante canadese è tornato alla Resega, ma fatica a ritrovare il livello del 2006. E pure il feeling con Domenichelli si è rotto. Cinque giorni più tardi il buon Hnat viene ceduto al Berna e in gennaio lo raggiunge Metropolit. In cambio il Lugano riceve il finlandese Lehtonen, che in bianconero gioca solo 5 partite, con 1 gol… Forse era meglio tenere Metropolit e Domenichelli.
Cada e il numero 91
Dal Lugano all’Ambrì Piotta. Il protagonista diventa il vulcanico “Rocha” Cada, tecnico ceco di quelli di una volta, tutto d’un pezzo, che con il suo divertente italiano non esita ad inviare messaggi chiari – e coloriti – ai suoi giocatori. Nel dicembre del 2008 il coach rimpiazza l’esonerato John Harrington sulla panchina biancoblù. Il 10 gennaio 2009, alla Resega, il Lugano vince il derby con il risultato di 3-1. Negli spogliatoi Cada è uno show: «Come si chiama il mio numero 91? Julian Walker, mi dite? Ecco, Walker deve imparare a giocare ancora più difensivamente», sbotta il tecnico picchiando il pugno contro il muro, definendo i suoi giocatori «il materiale umano». Mai visto un coach che non conosce i nomi dei suoi giocatori… L’Ambrì Piotta è condannato a disputare la finale dei playout – che poi vincerà – contro il Bienne. Alla vigilia della delicatissima serie con i seeländer c’è preoccupazione sullo stato di forma degli stranieri leventinesi. «Beh – se ne esce tranquillamente Cada – in effetti Erik Westrum e Nick Naumenko non sono giocatori normali». Chi se li immagina oggi Gianinazzi e Cereda esprimersi in questo modo su Spacek o Ruotsalainen?
Il problema di Laporte
Nella stagione 2009-2010 l’Ambrì si affida al coach franco-canadese Benoit Laporte. La squadra biancoblù chiuderà la stagione regolare all’ultimo posto, con 33 punti in 50 partite. L’allenatore entra nel mirino della critica e dei tifosi, ma non si assume nessuna responsabilità. Al termine di un allenamento arriva la domanda: «Qual è il problema di questo Ambrì?». Laporte non ci pensa due volte: «Il problema in questo momento è nello spogliatoio. Se volete, ve lo chiamo». Passano pochi secondi e, dallo spogliatoio, esce Erik Westrum. «Eccolo, il problema», dice Laporte.