«Scelte sbagliate? Si, ma non sportive»

È un Christian Stucki sorridente e rilassato quello che abbiamo incontrato oggi a Morcote. Con lui abbiamo avuto una piacevole chiacchierata tra passato, presente e futuro, ripercorrendo alcuni degli episodi migliori della sua carriera e dato uno sguardo a ciò che si prospetterà in futuro, già in futuro, perché Stucki non ha affatto appeso i pattini al chiodo come si poteva pensare fino a qualche mese fa ed è anzi motivato più che mai a riprendere il prima possibile da dove aveva lasciato.
Ma andiamo con ordine, partendo dall’esordio in National Legaue, cosa ci puoi raccontare Chrtistian?
«Ricordo molto bene, era il 2010, all’epoca lavoravo come metal costruttore. Finito di lavorare mi recavo in stazione e con il treno raggiungevo Bellinzona, dove c’era un pulmino ad aspettarci per portarci all’allenamento. Quello era l’unico momento di pausa che avevo durante la giornata, ne approfittavo per fare merenda e una pennichella di una ventina di minuti. Terminato l’allenamento Luca Cereda (all’epoca allenatore Juniori Elite, ndr) mi disse che domani avrei debuttato in prima squadra contro lo Zugo, ritrovo alle 18. Ero agitatissimo e infatti quella notte non dormii, ma non per la partita, ma perché lui aveva mantenuto quello che mi disse qualche tempo prima: «Se tu fai tutta la preparazione estiva come si deve e ti alleni come dico io, vedrai che farai il salto di qualità, facciamoci questa promessa».
Così è stato, sono arrivato a casa e mi sono lasciato andare emotivamente, finalmente raggiungevo il mio sogno! Durante la partita ero molto nervoso, avevo paura di toccare il disco. Come se tutto questo non bastasse, la partita in questione fu quella del lancio della valigia in pista da parte dei tifosi per la protesta contro Laporte e mi chiesi: «Ma dove sono finito? (ride, ndr)» Detto questo, cercai di calmarmi e pensare solo a giocare. Fu tutto molto emozionante».
Da quella prima partita, ne è passata di acqua sotto i ponti, o ghiaccio sotto i pattini e dalle parti della Valascia sono in molti a non averlo ancora dimenticato. Quel piccolo ometto sgusciante ed esplosivo con un tiro devastante. Chi se lo scorderà mai quel gol capolavoro durante il derby alla Valascia, proprio sotto la Sud? Ma nel momento migliore della sua carriera un bruttissimo infortunio si è gettato nella sua vita come un fulmine e a ciel sereno.
Come l’hai vissuto?
«Quello fu l’anno in cui Cereda venne nominato Head Coach e mi dissi: wow, questa è la condizione perfetta per me, ho un allenatore ticinese e un direttore sportivo come Duca che mi conosce molto bene anche come giocatore. Paolo mi disse di puntare molto su di me e che ero parte integrante del loro progetto. C’erano tutte le premesse per fare quello step in più che mi mancava di fare . Terminata la preparazione estiva ci fu l’amichevole con il Vitkovice, il resto lo sapete. Per me fu devastante, era un colpo morale non da poco, da quel giorno li ad oggi, tra un mese sono due anni, la mia vita è cambiata. Sono cambiato sia io come persona sia le persone che mi stanno attorno. Posso però dire che nonostante dal lato sportivo sono ovviamente dispiaciuto, questo infortunio mi ha fatto scoprire lati della vita e di me stesso che ancora non conoscevo».
Sono quasi due anni dicevi, ma tu l’hockey non l’hai ancora abbandonato, vero?
«No esatto, ho recentemente parlato con due Dottori, al di fuori della Svizzera,e mi hanno detto che clinicamente il mio ginocchio è a posto. Io però sento ancora molti dolori e quindi mi hanno proposto di intraprendere un percorso riabilitativo un po’ particolare e mirato all’estero. In questa clinica sarò seguito da persone che hanno a che fare quasi esclusivamente con sportivi professionisti e che danno un grande peso anche al lato psicologico di un infortunio. Mi restano solo alcune piccolezze da sistemare e poi dovrei riuscire ad iniziarlo».
Nel caso, speriamo di no, che questo percorso non porti i frutti sperati hai un piano B?
«Sicuramente se dopo tutto questo noterò che il ginocchio ancora non sarà a posto dovrò farmene una ragione.Per il momento ho questa società di vini, ma non mi ci vedo lì tutta la vita. Se proprio devo dirti la verità, sono sempre stato affascinato dall’idea di intraprendere la scuola di polizia, nello specifico nell’anti droga. In ogni caso questa è solo una valida alternativa, ora sono determinato nel volermi ristabilire e tornare a poter giocare a hockey».
Diamo ora uno sguardo alla Valascia. I lavori sono cominciati e tra qualche anno dovrebbe sorgere la nuova pista. Tu che l’hai vissuta, cosa ci puoi raccontare, come si vive lassù sulle montagne?
«Innanzitutto giocare ad Ambrì, per una questione sia logistica che di vita, per un giocatore che comunque viene da una città è un cambiamento non indifferente, ma posso raccontarvi alcune curiosità che mi fanno ancora sorridere. Per esempio quando arrivavi in spogliatoio, aprivi il borsone e ti trovavi le magliette tutte rosicchiate dai topi. O quando al mattino non potevi lasciare i bastoni fuori dallo spogliatoio perché con il freddo che faceva al primo tiro si rompevano. Sempre grazie al freddo, in inverno, quando bevevi dalla borraccia ti si ghiacciava la maglietta e, per chi li aveva, anche i baffi. Un freddo che non t’immagini. Ad Ambrì devi sapere che se giochi tanto fai un riscaldamento normale, se invece non giochi devi dire, ok, o sudo tanto così rimango caldo tutta la partita, o sudo poco, così non ho freddo. Perché stare in panchina con la coperta è davvero pessimo, ti si congelano le stringhe e hai freddo ai pattini, diventa davvero brutto. Il peggio è quando in gennaio, ti capitava di prendere 10 minuti di penalità e ti si congelavano le orecchie e tutto quanto. Nonostante questo la Valascia resta la Valascia e chiunque ci venga queste cose le mette in conto».
Un’ultima domanda, c’è qualcosa che rimpiangi della tua carriera?
«Ho fatto delle scelte sbagliate e alcune volte non ho potuto scegliere».