«Sogno una finale con la Svezia per finire il lavoro di 12 anni fa»

Stoccolma, dodici anni dopo. Dalla finale del 2013 persa contro la Svezia alla semifinale di domani sera contro la Danimarca. Da allora, la Svizzera ha cambiato mentalità, entrando in una nuova dimensione. Dopo tre secondi posti, non ci si accontenta più. Si vuole il trono. Ce lo dice anche Philippe Furrer, oggi commentatore per la SRF, all’epoca protagonista in pista con la maglia rossocrociata numero 54.
La strada per la grandezza
Levels, uno dei più grandi successi di Avicii, è l’inno ufficiale di questi Mondiali. Dal 2021, la pista di Stoccolma è stata ribattezzata Avicii Arena in onore del DJ e produttore musicale svedese, morto nel 2018. Nel 2013, quando la città ospitò per l’ultima volta la rassegna iridata, si chiamava Globen. Ma la struttura, con la sua imponente forma sferica, è la stessa che fece da sfondo all’indimenticabile cavalcata della Svizzera verso uno storico argento. In quella squadra c’era già Nino Niederreiter, all’epoca solo 21.enne. E in panchina c’era già Patrick Fischer, assistente di Sean Simpson. In difesa, insieme ai vari Josi, Vauclair, Seger e Diaz, c’era pure Philippe Furrer. Domani sera (ore 18.20), con cuffie e microfono, l’ex terzino di Berna, Lugano e Friburgo commenterà la semifinale tra i rossocrociati e la Danimarca per la televisione SRF. Tutto un altro mestiere. Ma tornare qui non lo lascia indifferente: «È molto speciale, non lo nego», ci ha confessato poco prima di lasciare Herning, mentre i danesi festeggiavano la clamorosa vittoria contro il Canada. «Personalmente, sogno una finale con la Svezia, per finire il lavoro iniziato dodici anni fa dalla mia generazione. Quella, per la Svizzera, fu la prima medaglia in epoca moderna. Abbiamo aperto la strada verso la grandezza. Tutto è iniziato lì, quando Fischer era il secondo assistente. Si vedeva che lui ci credeva già. E nei suoi nove anni da head coach è stato bravo a convincere tutti gli altri sul fatto che anche la nostra Nazionale potesse puntare alla vetta. Nel 2013, arrivare in finale fu una grande sorpresa. Riuscimmo a sbloccare una forza che era dentro di noi, ma che non sapevamo di avere. Oggi, dopo altri due argenti, tutti sanno di poter vincere. Anzi, l’obiettivo è solo quello: l’oro. Non ci si accontenta più di un altro secondo posto. Nel 2018 la Svizzera perse ai rigori, nuovamente contro la Svezia. E l’anno scorso ha vissuto una finale combattutissima con la Cechia, sfuggita di poco. Ora si ambisce ad andare oltre».
Subito focalizzati
Philippe Furrer ha apprezzato il percorso della Nazionale a Herning, dalla fase preliminare al quarto di finale. «I ragazzi sono stati magnifici. La Svizzera è veramente diventata una big dell’hockey mondiale. È entrata in una nuova dimensione sul piano della personalità e della mentalità. Due semifinali in due anni, del resto, sono lì a testimoniarlo. La Nazionale di Fischer gioca ad alto livello ed è consapevole della sua forza. Appena è finito il quarto di finale contro l’Austria, i giocatori sul ghiaccio non hanno festeggiato tanto. Erano molto tranquilli, già focalizzati sulla prossima sfida». L’Austria, va pur detto, non ha opposto resistenza. «È stato sicuramente il quarto di finale più semplice che la Svizzera abbia mai avuto», ammette Furrer. «Ma preferisco sottolineare i meriti dei rossocrociati piuttosto che i demeriti degli austriaci: dal primo secondo al sessantesimo minuto, la Svizzera è stata padrona del ghiaccio perché ha fatto tutto nel modo giusto, seguendo alla perfezione il piano di gioco preparato da Fischer».

Il miglior scenario possibile
Dalla piccola Austria alla piccola Danimarca, la strada per la finale sembra spianata: «Come tutti - racconta Furrer - anch’io pensavo che a Stoccolma avremmo dovuto affrontare subito una squadra forte come la Svezia o gli USA, invece è avvenuto qualcosa di pazzesco. Quello che ha fatto la Danimarca contro il Canada è semplicemente incredibile. Una semifinale contro di loro non era preventivabile. E, non dobbiamo nasconderci, è una buona cosa. Il miglior scenario possibile. Detto questo, non mi aspetto una gara facile come quella con l’Austria. Affrontiamo una squadra tosta, che con l’arrivo di Nikolaj Ehlers da Winnipeg ha cambiato volto. Prima di battere il Canada, i danesi hanno vinto una sorta di ottavo di finale con la Germania. Sono ben preparati alle sfide da dentro o fuori».
Maturità e forze fresche
I rossocrociati sono reduci da quattro gare «soft» contro Norvegia, Ungheria, Kazakistan e Austria. Tutto troppo facile? «Non direi», sostiene Philippe. «Non dimentichiamoci che il Mondiale è iniziato subito a mille contro la Cechia. La terza partita, quella con gli USA, è stata la migliore. Una prova completa. E anche la gara contro la Germania mi ha convinto al 100%. In seguito, abbiamo gestito le cosiddette piccole con grande maturità, risparmiando anche delle energie preziose che ora ci torneranno comode. Anche nel terzo tempo contro l’Austria siamo riusciti a controllare il gioco senza forzare le nostre linee migliori. La terza e la quarta hanno avuto molto spazio, le stelle si sono riposate».
I giovani - o più in generale i sei esordienti - hanno dimostrato di meritarsi la fiducia del coach: «È fantastico vedere come si siano adattati velocemente al livello richiesto da un Mondiale. È merito del lavoro svolto nelle settimane di preparazione, durante le quali questi ragazzi hanno dato tutto per essere selezionati. Sono arrivati qui con grande energia e senza paura. E hanno talento. Ho l’impressione che in due settimane Schmid, Knak e Baechler siano diventati migliori. E Moy è addirittura il nostro topscorer».
Per puntare all’oro, servirà anche un grande portiere. «E noi lo abbiamo», conclude Furrer. «Genoni è ancora una sicurezza e sono convinto che sia in grado di giocare due partite di alto livello in 24 ore. Anche lui ha potuto risparmiarsi contro l’Austria, effettuando poche parate». Non resta che scendere in pista. E finire un lavoro iniziato dodici anni fa.