Tra successi, ricordi e fallimenti: cosa resterà di questi Mondiali?

Gli eroi sconfitti sono tornati. I vicecampioni del mondo sono di nuovo a casa e a Kloten hanno ricevuto l’abbraccio dei loro tifosi. Le lacrime del giorno prima hanno lasciato spazio a qualche timido sorriso, ma nel profondo del cuore la sconfitta contro gli Stati Uniti in finale brucia ancora. Già, cosa ci resta di questo Mondiale? Orgoglio, consapevolezza ma anche tanti rimpianti. Della Svizzera si è già detto tutto, ora la mente è già proiettata alle Olimpiadi del prossimo anno e a un campionato del mondo che giocheremo in casa. Forse sarà la volta buona. Forse.
Cosa resta, allora, di questo Mondiale, oltre al cammino dei rossocrociati? Ci si può interrogare sulla scelta di disputare una rassegna iridata in una cittadina periferica e piccola come Herning, dove ai quarti di finale – per esempio – hanno assistito pochi intimi, fatta salva la sfida dei padroni di casa danesi. L’hockey su ghiaccio – che rimane uno sport di nicchia – ha bisogno dell’entusiasmo del pubblico ai campionati del mondo che per ragioni anche e soprattutto finanziarie si disputano ogni anno. Soprattutto dell’anno dei Giochi olimpici, la rassegna iridata di Zurigo e Friburgo rischia di attirare meno stelle del firmamento hockeistico mondiale. Ma – lo ammettiamo – si tratta di un discorso trito e ritrito, senza apparante soluzione.
Storie belle
Il Mondiale racconta spesso e volentieri belle storie. Quella della Danimarca, per esempio, capace di eliminare il favoritissimo Canada di Crosby e MacKinnon nei quarti di finale con due reti a fil di sirena. Cose dall’altro mondo, che ricordano quando la piccola Svizzera di tanto in tanto riusciva a sgambettare una grande. «Porco cane, abbiamo battuto la Russia», esclamava Andreas Wyden una vita fa. In fondo la bella storia è proprio quella degli Stati Uniti, capaci per una volta di prendere sul serio il Mondiale fino alla consacrazione suprema, celebrata con la maglia del compianto Johnny Gaudreau. Era sul ghiaccio 12 mesi fa, «Johnny hockey», prima che un crudelissimo destino e un assurdo incidente della circolazione spezzasse la sua vita e quella di suo fratello. Le storie belle sono pure quelle delle piccole squadre, con poche ambizioni se non quelle di salvezza. L’Ungheria, per esempio, che ne prende dieci dalla Svizzera ma conserva il posto nell’élite del disco su ghiaccio internazionale. Ha bisogno, l’hockey, di nazioni emergenti. O che perlomeno investano tempo e denaro sulla formazione.
Storie di flop
Non c’è il bello senza il brutto. Kazakistan e Francia hanno salutato l’élite mondiale e il prossimo anno – a Zurigo e Friburgo – saranno rimpiazzate da Italia e Gran Bretagna. Ma le grandi delusioni del campionato del mondo sono la Svezia e il Canada, da tutti indicate come le grandissime favorite del torneo. Composta solo da elementi provenienti dalla NHL – fatta eccezione per l’attaccante degli ZSC Lions Jesper Frödén – la selezione delle tre corone si è sciolta come neve al sole nel quarto di finale contro gli Stati Uniti. Il bronzo non può di certo consolare una nazionale che ha tra l’altro potuto giocare in casa. A conferma che non è il solo talento individuale a fare la differenza. Hanno fatto pure peggio i canadesi guidati da due superstar come Sidney Crosby e Nathan MacKinnon, umiliati nei quarti di finale da una generosissima ma modesta Danimarca.