L'intervista

«La mia specie è in via d'estinzione, ma ho ancora voglia di divertirmi»

A tu per tu con Christian Constantin, presidente del Football Club Sion
Nicola Martinetti
09.04.2022 06:00

Per il patron vallesano quella che sta volgendo al termine è stata una settimana ricca di avvenimenti importanti. Il suo attuale vice, Gelson Fernandes, ha infatti annunciato l’addio al club, previsto per fine stagione, mentre all’orizzonte si è fatta concreta la possibile riforma del campionato di Super League. Domani il 65.enne sarà però in Ticino, dove si godrà la «sua» Lugano e il match tra Sion e bianconeri.

Signor Constantin, è felice di fare nuovamente tappa a Lugano, dove recentemente - a Capo San Martino - ha anche deciso di investire a livello imprenditoriale?
 «Certamente, non nascondo che la città mi è ormai entrata nel cuore. Ma il piacere si estende a tutto il vostro cantone. E, bada bene, non faccio distinzioni tra Sopra e Sottoceneri. La vostra è una splendida regione e, personalmente, mi ritrovo in alcuni dei valori che - anche sul piano calcistico - la contraddistinguono. Sion e Lugano, in fondo, sono due realtà di periferia all’interno del calcio svizzero. Eppure, con orgoglio e fierezza, lottano contro i grandi giganti romandi e svizzero-tedeschi. Sì, provo simpatia per i club ticinesi. Il Lugano, con in panchina una figura del luogo come Mattia Croci-Torti, si sta muovendo davvero bene. Il “Crus” è un tecnico giovane e dal grande potenziale, che potrebbe riportare un trofeo a Cornaredo già quest’anno se si giocherà bene le sue carte in Coppa Svizzera. Mi auguro inoltre che pure le società impegnate nelle categorie inferiori riescano prima o poi a risalire la china. Il Bellinzona, in questo senso, sembra aver intrapreso la strada giusta».

Il suo Sion, invece, attualmente non se la passa benissimo. È infatti reduce da tre sconfitte consecutive e quattro incontri senza vittorie... Che succede?
«Purtroppo abbiamo perso slancio. Dopo la pausa invernale avevamo ricominciato piuttosto bene, ma la lunga squalifica di Paolo Tramezzani ha destabilizzato la squadra. Ora si tratta di ritrovare le migliori sensazioni, recuperando il filo del discorso in vista dell’ultima parte di stagione».

Fin qui avete però vissuto un campionato più sereno rispetto all’ultimo, terminato con lo spareggio contro la retrocessione - poi vinto - al cospetto del Thun...
«È vero, ma non va dimenticato che la scorsa stagione è stata particolarmente tremenda. Ero parecchio arrabbiato. La verità è che ormai da qualche anno non stiamo più rendendo secondo le aspettative. L’ultimo campionato veramente degno di nota è stato quello 2016/2017, quando il Lugano ci ha soffiato il terzo posto all’ultima giornata e abbiamo perso la finale di Coppa Svizzera contro il Basilea. Da lì in poi abbiamo conosciuto un declino, anche a causa della pandemia che ci ha privati del pubblico. Una componente, quest’ultima, vitale per il nostro club, specialmente quando le cose vanno bene e al Tourbillon si registrano 10-12.000 spettatori a partita. Ora che i tifosi sono tornati a popolare gli spalti vogliamo lasciarci alle spalle questa fase negativa».

Tramezzani ha carattere, una passione smisurata per il calcio ed è vulcanico, esattamente come il sottoscritto

Per invertire la tendenza ha scelto di affidarsi, per la terza volta in cinque anni (!), a Paolo Tramezzani. Come mai?
«Ha carattere, una passione smisurata per il calcio ed è vulcanico, esattamente come il sottoscritto. Per questo mi piace molto. La prima volta, purtroppo, le cose non sono andate per il verso giusto e lui stesso aveva espresso il desiderio di partire. La seconda, invece, aveva svolto un ottimo lavoro, ma non eravamo riusciti ad accordarci sotto il profilo economico. Come detto, però, Paolo mi piace parecchio ed è per questo che ho deciso di puntare su di lui una terza volta».

La scorsa estate in Vallese ha fatto ritorno anche Gelson Fernandes, in qualità di vicepresidente. Una carica che però, come annunciato nel corso della settimana, lascerà già al termine della corrente stagione. Come ha accolto la sua decisione?
«La comprendo, in fondo non posso biasimarlo. Il disegno, fin dalla scorsa estate, è sempre stato chiaro a entrambi. Nelle intenzioni lui era destinato a diventare il mio successore alla presidenza del club. L’idea era di proseguire ancora qualche anno con l’attuale costellazione, prima che io gli cedessi le redini della società. Suppongo però che in fondo, in casi come questi, è un po’ come comprare un melone al supermercato: devi prima aprirlo e assaggiarlo per sapere se è davvero buono. In questi mesi Gelson ha constatato in prima persona l’onere che una simile carica comporta, e questo lo ha spinto ad accantonare il progetto iniziale, accettando l’offerta giunta dalla FIFA. In cuor suo sentiva di non avere né il profilo né i mezzi per adempiere all’incarico. Come detto, lo comprendo. Ha preferito un salario sicuro e una prospettiva certa, priva di grandi responsabilità, piuttosto che una difficile navigazione a vista, oltretutto economicamente onerosa. No, non posso biasimarlo».

Tutto questo, però, non la fa sentire un po’ solo?
«È intrinseco alla mia posizione, all’attuale impostazione del club. La mia specie, quella dei “padri padroni” per intenderci, è in via d’estinzione. Personaggi come il sottoscritto, o all’epoca Gilbert Facchinetti a Neuchâtel, sono di fatto più unici che rari. E la cosa triste è che nel mondo del calcio è ormai diventato difficilissimo cambiare direzione puntando su degli investitori svizzeri - con le radici ben piantate nel territorio - intenzionati a fornire ai club una struttura più solida e moderna. Basta darsi un’occhiata attorno in Super League: sempre più società si affidano a grandi proprietà straniere. E lo fanno anche in città ben più grandi e attraenti della piccola e sperduta Sion. A Lugano lo avete visto in prima persona, una volta partito Angelo Renzetti è arrivato il gruppo statunitense capeggiato da Joe Mansueto. Una realtà che, invero, fin qui si è rivelata seria e solida. E di questo mi rallegro, anche alla luce della decisione di procedere con la costruzione del nuovo Polo Sportivo e degli Eventi. Ma il rischio - e lo stiamo vedendo ora a Losanna - è che quando ci si rende conto delle difficoltà gestionali o i risultati vengono a mancare, subentra una certa titubanza. L’equilibrio in questi casi è molto fragile, più che in presenza di proprietà locali, che dalla loro offrirebbero l’orgoglio e la volontà di difendere la regione e ciò che il club significa per essa. Pensate all’hockey su ghiaccio e alle due squadre ticinesi di National League: credete che Vicky Mantegazza o Filippo Lombardi abbandonerebbero i rispettivi club in caso di difficoltà? Non penso proprio, perché hanno a cuore le società e farebbero di tutto per garantire loro il presente e il futuro che meritano».

E lei, a questo punto, che futuro vede per il suo Sion?
«Francamente non lo so. Il 7 gennaio ho compiuto 65 anni, età che solitamente fa rima con pensione. E il mio intento, con l’arrivo di Gelson, era proprio di andare in quella direzione. Tutti mi dicono che è impossibile immaginare un Sion senza Constantin, ma la verità è che gli anni passano anche per me e non posso permettermi di trascurare la salute e il mio benessere. A questo punto andrò avanti, continuando nel frattempo a cercare una soluzione legata al territorio vallesano. Per fortuna, almeno per ora, il divertimento non è mai venuto meno. E chissà che nelle prossime stagioni, restando alla guida del club, non mi riesca pure il colpo grosso: la conquista dell’ottava Coppa Svizzera. Ora sono fermo a quota sette, come nessun altro presidente. Ma Karl Rappan (da allenatore), Severino Minelli e Alfred Bickel (da giocatori, con presenze effettive) ne hanno vinte otto. Vorrei pareggiare i conti. Poi chiaro, se mi prospetti la possibilità di fare un’altra doppietta titolo-Coppa come nel 1997, non dico di no (ride, ndr)».

Sempre parlando di futuro, questa volta allargando il discorso, le piace la proposta di riforma del massimo campionato elvetico presentata in settimana?
«Sì, è un progetto moderno e al passo con i tempi che mi convince. Sono infatti persuaso che al calcio svizzero e al suo torneo di riferimento servano più emozioni, più motivi d’interesse. Negli ultimi anni troppi giovani hanno rivolto lo sguardo altrove per questo motivo, anche perché le alternative valide non mancano. Resta però il fatto che, a parer mio, difficilmente questa proposta verrà accettata e implementata. Tutti professano infatti di volere un rinnovamento, ma poi - come abbiamo visto negli ultimi anni - di fronte alla possibilità concreta di compiere questo passo cambiano idea, anche all’ultimo. Un progetto simile comporta un cambio di mentalità a 360 gradi, anche a livello dirigenziale. Ma troppi votanti, ancora oggi, si pronunciano pensando al loro orticello e a un futuro a breve termine. Così purtroppo non si va da nessuna parte».