Basket

«La mia vita, un bel viaggio»

La guardia statunitense Isaiah Ross si sta sempre più calando nel ruolo di trascinatore con la maglia dei Lugano Tigers Il percorso giocatore, atipico ma impressionante, è stato fin qui segnato da incontri con nomi molto importanti della pallacanestro – Il 26.enne non dimentica però le sue origini: «I primi a sostenermi restano sempre i miei familiari, che mi trasmettono tanta forza»
© CdT/Gabriele Putzu
Mattia Meier
17.03.2023 10:10

Lavoro duro, senso del gruppo, piacere di giocare. Non sono solo gli ingredienti che hanno fatto del Lugano una squadra in netta crescita, malgrado lo stop subito, di misura, a Monthey sabato. Sono anche i mantra che permeano Isaiah Ross, guardia bianconera, tra gli artefici principali dell’attuale momento luganese. Lui però al proposito si defila e divide i meriti con i compagni: «È il gruppo ad essere cresciuto. Dopo l’uscita di scena di Lawrence la dirigenza ci ha detto che non avrebbe preso nessuno, perché contava su di noi. Questo ci ha dato fiducia, l’ambiente è ottimo, dentro e fuori dal campo. Le mie prestazioni sono una conseguenza di questo, senza i ragazzi non ci riuscirei». La guardia bianconera fa sfoggio di modestia, ma alla fine non può nascondere come qualche cosa di suo ce lo stia mettendo. Come ha sempre fatto, d’altronde: «Mi piace lavorare duramente per essere il miglior giocatore possibile. Per me e per i compagni. Ho passato gran parte della mia vita in palestra per questo. Qualcuno parlerebbe di sacrifici, per me non lo sono, perché amo il basket, mi piace davvero, al punto da soffrire se non posso allenarmi». Un amore nato sin da piccolo, e un’attitudine imparata strada facendo. Partendo da lontano, trovando sul percorso diversi insegnanti da cui imparare, rubare segreti e prendere esempio.

Sulle spalle dei giganti

Di nomi importanti infatti, nel viaggio cestistico che ha portato Ross a Lugano, non ne mancano. Risalendo già ai tempi del liceo, con quell’anno passato a Hillcrest (Phoenix, Arizona) a dividere campo e spogliatoio con DeAndre Ayton e Marvin Bagley III, nel 2021 andati a prendersi rispettivamente la scelta numero 1 e 2 del draft NBA. Poi il college, e i due anni alla corte di Rick Pitino, leggendario coach non solo oltreoceano. Infine la G-League, le settimane passate al fianco di Klay Thompson, 4 anelli al dito con Golden State e tra le migliori guardie dell’ultimo decennio in NBA. «Quello che ho imparato da ognuno di loro è che senza impegno, dedizione e lavoro costante non vai da nessuna parte. Ayton e Bagley a quei tempi erano già più forti di tutti i pari età, eppure ogni giorno erano in palestra ad allenarsi come fossero gli ultimi della rotazione. Spesso si pensa che il talento basti ad emergere, entrambi mi hanno insegnato che non è così. Una mentalità che ho imparato a fare mia».

Walk of Fame

La stessa che un paio di anni dopo gli aprirà le porte della Division 1 in NCAA, a Iona University, college di Rick Pitino, coach, tra le tante cose, bi-campione NCAA e del campionato greco con il Panathinaikos, dal 2013 nella «Hall of Fame» del basket. Con il quale lavora anche personalmente, nei suoi famosi «skills workout»: «Pitino mi ha sempre detto che devi amare il gioco, e se lo ami devi essere pronto a lavorare sulle piccole cose, quelle che sommate fanno di te un giocatore di basket. Allenarsi su tutti gli aspetti del gioco ovviamente, ma anche alzarsi presto la mattina, avere uno stile di vita sano, lavorare sulla tua persona, essere pronto anche a togliere qualcosa dalla tua vita privata. La prima volta che ci siamo incontrati mi ha chiesto dove volessi arrivare, e poi mi ha spiegato cosa fare per riuscirci. Ha fatto di me un giocatore migliore. Allora ero solo un tiratore, uno che pensava a segnare. Lui mi ha trasformato in una guardia completa, in grado di fare tutto sul campo». Dopo aver lasciato Pitino, arrivano il draft NBA 2021 senza veder il suo nome chiamato e la «caduta» in GLeague. Ross finisce in California, ai Santa Cruz Warriors, dove poco dopo arriva Klay Thompson, altro nome da «Hall of Fame» (in futuro), al rientro sui campi dopo la lunga assenza per infortunio: «È rimasto con noi 2-3 settimane, e me le sono godute tutte. Vederlo lavorare ogni giorno, la sua routine, è stato impressionante. Credimi, non a caso è uno dei migliori tiratori di sempre. Ma non solo, fuori dal campo è una persona di una simpatia e di un’umiltà fuori dal comune. Sempre pronto a scherzare, non ha mai fatto la star, casa sua era sempre aperta, si andava da lui in piscina, oppure ore e ore a giocare alla PlayStation. Se penso da dove vengo, le mie origini, e ripenso a queste persone, al fatto di averle potute incontrare lungo la mia strada, di aver potuto condividere non solo il campo ma momenti di vita, mi sento privilegiato, e non posso che apprezzare quello che la vita mi ha dato fino a qui».

Essere un esempio da seguire

Già, da dove viene Ross. Davenport, nell’Iowa, dove ha visto i natali il 26 ottobre del 1996: «Una piccola città, dove le possibilità non sono molte e spesso fagocita i pochi talenti che produce. Mi piace pensare di poter essere un esempio per qualcuno, spingerlo a pensare: “Guarda dove è arrivato, ce la posso fare anch’io”». A fare la differenza per il 26.enne bianconero è stata la famiglia: «A Davenport ho lasciato mia nonna e mio fratello maggiore. Senza la loro spinta, non sarei qui oggi. Ci sono sempre stati, sempre pronti a darmi supporto. E poi mia figlia, rimasta negli USA, che oggi ha 3 anni, non la vedo da tempo e mi manca tantissimo. Ecco, amo questo gioco come ho detto, ma oggi faccio quel che faccio per lei, vorrei un giorno fosse fiera di me». Oltre a questo, Isaiah ci ha comunque messo del suo: «Ho imparato a non mollare mai, perseverare, competere, la mia mentalità è questa. Dopo il college avevo poche porte aperte in Division 1, ho lavorato e sono finito da Pitino. E oggi sono qui, oltreoceano, lontano da casa, a costruirmi una carriera».