La nobiltà perduta

Dall’altare alla polvere. A volte succede. È la storia del Basilea e di Heiko Vogel, risucchiati in una crisi che nell’ultimo quarto di secolo non ha precedenti per il glorioso club renano, la cui storia altalenante sembra ripetersi. Forse i miei pochi lettori saranno troppo giovani per ricordare la squadra di Helmuth Benthaus, del portiere Kunz, di Odermatt e di Hitzfeld che a cavallo degli anni ‘70 conquistò una lunga serie di titoli nazionali, prima di sprofondare (fine anni ‘80 e primi anni ‘90) nella lega cadetta e risorgere dopo il 2000 diventando un punto di riferimento per tutto il calcio rossocrociato, guadagnandosi anche l’ammirazione dell’Europa per le notti magiche della Champions League. Qualcuna di queste, firmate proprio da Heiko Vogel come allenatore (vittorie contro Bayern Monaco e Manchester United nel 2012). Quello stesso Vogel oggi considerato il male assoluto dai tifosi del club, ma che solo la passata stagione riuscì quasi a firmare un’altra impresa, portando il Basilea a un passo dalla prima storica finale in una coppa europea.
Sia quel che sia: è triste osservare il declino di una società che per anni è stata un modello per tutti, grazie alla sua organizzazione moderna, alla capacità di fare scouting (un solo nome illustre tra i tanti scoperti in giro per il mondo e portati al Sankt Jakob-Park: l’egiziano Mohamed Salah), alle risorse investite nel settore giovanile, dal quale sono usciti a ripetizione grandi nomi del calcio svizzero, come Streller, Alex Frei, Granit Xhaka, Sommer e Shaqiri. Quel Basilea che per primo in Svizzera si costruì uno stadio moderno e funzionale, nel quale spesso si rincorrevano impetuose emozioni, ormai è uno sbiadito ricordo, un’ombra tremula e impaurita che vaga senza meta.
Peccato per il calcio svizzero, che sull’asse Berna-Basilea avrebbe potuto crescere e prosperare, perché non si cresce senza la concorrenza di avversari forti e lo Young Boys, attuale squadra faro del nostro campionato, avrebbe avuto tutto da guadagnare da una sana concorrenza, così come tutta la Super League.
Oggi è probabilmente troppo comodo mettere Heiko Vogel sulla graticola. Qualcuno afferma che il tedesco, richiamato a Basilea con il ruolo di direttore sportivo, in realtà non è mai riuscito a cambiare abito, rimanendo di fatto un allenatore e condizionando negativamente il lavoro dei tecnici che lui stesso ha scelto. Può essere che sia vero, ma la decadenza del Basilea ha radici che sprofondano negli anni ed inizia, è triste doverlo constatare, da quando alcuni ex-calciatori del club hanno preso le redini del potere. I primi colpi alle solide fondamenta della società sono stati dati quando Marco Streller, rivelatosi decisamente al di sotto delle aspettative che erano state riposte in lui, venne nominato direttore sportivo. L’impalcatura creata a suo tempo da Bernhard Heusler e Georg Heitz (sì, l’uomo dei Chicago Fire) è stata poco a poco picconata e non c’entra tanto il ritiro della mecenate Gigi Oeri, quanto un sacco di scelte sbagliate che hanno portato il club a ritrovarsi escluso dalle competizioni europee, con un budget a quel punto sovradimensionato. Il vortice del calcio è impietoso, quando comincia a risucchiarti è la fine. L’avvento di David Degen come nuovo proprietario si è rivelato un clamoroso fiasco: sempre alla ricerca di liquidità, l’estate scorsa Degen ha venduto i gioielli di famiglia, consegnando di fatto una squadra inesperta al suo allenatore, ma solo a metà agosto. Se c’è un errore commesso a Basilea è stato quello di non aprirsi al mondo esterno: il club aveva il sex appeal per ingolosire investitori potenti, ma estranei alla realtà locale. Non li ha voluti, preferendo i suoi ex calciatori che, alla scrivania, si sono dimostrati autentici incapaci.