L'intervista

La prima donna giudice in MMA: «Sono molto orgogliosa»

Michelle Mondani ha ottenuto il diploma di giudice ai massimi livelli in MMA - È la prima in Svizzera, Austria, Germania e Francia - Ecco la sua storia
Michelle Mondani (a sinistra) durante un allenamento.
Maddalena Buila
11.08.2025 06:00

Michelle Mondani è la prima donna in Svizzera – nonché in Italia, Francia, Austria e Germania – a ottenere il diploma di giudice internazionale ai massimi livelli delle arti marziali miste. La ticinese ci ha raccontato la sua storia.

Michelle, iniziamo dando qualche accenno biografico.

«Sono nata il 14 gennaio 1984 a Lugano, dove sono anche cresciuta e dove vivo ancora oggi. Ho lavorato in una fiduciaria per vent’anni e adesso sono capo contabile per l’azienda Divoora».

Come sei entrata nel mondo delle arti marziali miste o MMA?

«Fino a sei anni fa non sapevo nemmeno cosa fossero. Mi dividevo soprattutto tra la palestra e la danza. Poi ho conosciuto il mio attuale marito, Alessandro Pastore, un atleta professionista. Tutto ruotava intorno ai suoi allenamenti. Entrambi abbiamo figli, quindi inizialmente ho scelto di dare la priorità a loro e agli impegni sportivi di mio marito. Ma a me mancava fare sport. Così, seguendo gli eventi a cui Alessandro partecipava, ho iniziato ad allenarmi con lui. Piano piano le MMA sono diventate anche la mia passione».

Hai mai pensato di praticare questo sport a livello professionistico?

«No. Dieci anni fa ho subìto un intervento alle orecchie e non posso rischiare di compromettere il risultato prendendo un brutto colpo. Lo svolgo solo a livello amatoriale. In Ticino le MMA non sono molto conosciute, quindi tutta la nostra famiglia si sposta spesso nelle palestre di Milano e Castelletto sopra Ticino. L’allenatore di Alessandro è italiano e fa parte di un’associazione chiamata “Born to Fight”, che organizza eventi come “Milano in the Cage” e “Lugano in the Cage”. È anche grazie a lui se ho preso sempre più confidenza con questo mondo».

Come sei arrivata a diventare giudice internazionale?

«A poco a poco ho iniziato ad aiutare arbitri e giudici nelle decisioni, anche se non avevo un diploma. La mia opinione rimaneva dunque a margine, senza un vero valore. Finché qualche tempo fa è sbarcato a Lugano un ragazzo iraniano, molto bravo nelle MMA, che è diventato il coach di mio marito per un determinato lasso di tempo. Si dà il caso che è un amico di Marc Goddard, il famoso arbitro della UFC, a cui un giorno ha proposto di volare sulle rive del Ceresio per tenere un corso per aspiranti giudici. E lui ci è stato. In aprile ha organizzato una serie di lezioni a cui ho partecipato, superando l’esame di giudice internazionale ai massimi livelli. Sono estremamente fiera. Sono la prima donna in Svizzera, Germania, Austria e Francia ad avere questo diploma a un livello così alto. Ne sono molto orgogliosa, anche perché il corso era tenuto dalla leggenda Marc Goddard ed era completamente in inglese».

Che cosa cambia ora per te con questo diploma?

«Finalmente posso dire la mia in modo ufficiale durante gli eventi. Certo, dovrò farmi un periodo di gavetta e farmi conoscere. Questo è solo l’inizio. Ma le prospettive sono intriganti. Potenzialmente potrei volare in tutto il mondo e vivere di questo. L’Italia sarebbe l’unica eccezione, dato che richiede l’affiliazione alla Federkombat. Affiliazione che in ogni caso sto procedendo a ottenere. Il 15 giugno c’è stato il mio debutto. Per entrare nel giro sarà fondamentale avere molte conoscenze. Ecco perché ho deciso di aprire una pagina Instagram dedicata al mio nuovo ruolo. I social oggi sono fondamentali. E poi, come in tutto, servirà anche un pizzico di fortuna».

Hai anche una famiglia, come riesci a conciliare il tutto?

«Sono mamma di un bimbo di nove anni, mentre mio marito ha una figlia di quasi undici. Per ritagliarci del tempo per noi dobbiamo forzatamente andare tutti insieme in palestra, ma è anche bello così. Nel frattempo i ragazzi si sono appassionati al mondo delle MMA (sorride, ndr)».

Qualora diventassi una giudice a tempo pieno potresti anche non rivedere i tuoi cari per diverso tempo. La cosa ti frena?

«Direi di no. Ci vorrebbe comunque qualche anno prima che il sogno eventualmente si avveri. Nel frattempo, anche il mio bimbo sarebbe grande e non credo avrebbe problemi a stare lontano da me qualche giorno. Anzi, forse ne sarebbe anche contento (ride, ndr). Scherzi a parte, mi piacerebbe davvero vivere grazie a questa attività. L’età non conterebbe. Al contrario, più si matura più il proprio giudizio acquista valore. Una volta raggiunto un certo livello, inoltre, tutto è spesato. Le trasferte, gli alberghi, i pasti. Ho sentito addirittura dire che girerei con una guardia del corpo 24 ore su 24 per evitare qualsiasi forma di corruzione. Nelle MMA ci sono in ballo tantissime scommesse e di conseguenza molti soldi».

Non hai mai combattuto a livello professionistico. Pensi sia un limite?

«No. Pratico questo sport a livello amatoriale e mi basta. Conosco tutte le finalizzazioni, cioè le sottomissioni che portano alla resa dell’avversario, e so cosa vuol dire combattere. Alla fine non sono un arbitro dentro la gabbia, ma faccio parte del trio di giudici. Non dipende tutto da me. Sono preparata e so quello che faccio. Forse non conosco alla perfezione l’adrenalina di chi entra in gabbia, ma cambia poco. Devo valutare l’entità dei colpi e le posizioni, non le emozioni. Sicuramente essere la prima donna farà scalpore. O mi valorizzeranno, o mi criticheranno. Vedremo».

Come viene percepita l’MMA in Ticino?

«È poco seguita e praticata, forse perché è molto dura. Jujitsu, boxe e muay thai vanno per la maggiore. Forse si pensa sia uno sport più cruento perché i guanti sono più sottili e può esserci più sangue, ma alla fine si affrontano due persone allenate, con lo stesso peso, seguendo regole precise. L’MMA è l’arte marziale più completa: devi essere bravo sia in piedi sia a terra. I ragazzi invece si interessano, iniziano, ma poi spesso mollano. Sono pochi i professionisti alle nostre latitudini».

Qual è la sfida più grande ora?

«Entrare nel giro dei giudici che già si conoscono tra loro. Se ci riuscissi sarebbe un grande passo avanti».