La sorpresa è servita, Popyrin ha vinto il Masters 1000 del Canada
Alexei Popyrin ha trionfato in un Masters 1000. L’australiano si è imposto nell’Open canadese – disputatosi quest’anno a Montréal, nella canonica alternanza annuale con l’altra sede di Toronto – ed è il primo «Aussie» a conquistare un torneo di questo livello dai tempi, addirittura, di Lleyton Hewitt (che nel 2003 vinse a Indian Wells). Una ventata di novità, per taluni, una notizia che ha fatto storcere il naso, ad altri. È morto il tennis, suggerisce, più o meno ironicamente, qualcuno. L’affermazione – senza dubbio forte - pare eccessiva, ma una riflessione sulla disciplina, però, è d’obbligo.
Mai su questi livelli
La premessa, altrettanto doverosa, riguarda il calendario. Il torneo nordamericano si è disputato in coda ai Giochi e la considerazione di base è che - aldilà dei meriti indiscutibili del vincitore – la competizione è stata ampiamente condizionata dal torneo olimpico di Parigi, il che ha comportato assenze di peso e avversari di spessore indubbiamente non al massimo della propria forma. Detto ciò, il successo di Popyrin è senza dubbio alcuno meritato, poiché battere in rapida successione cinque giocatori della top-20 mondiale non può essere un caso. L’australiano – soprattutto contro Dimitrov, quando ha salvato tre match point, ma anche nel turno successivo con Hurkacz – è stato più volte sul punto di soccombere, uscendone invece alla grande dopo aver mostrato invidiabili doti da lottatore.
Basta guardare il suo curriculum, tuttavia, per accorgersi che il trionfo resta - in maniera innegabile - a dir poco sorprendente. Popyrin – ora issatosi alla 23. posizione del ranking ATP, che corrisponde anche al massimo raggiunto in carriera - prima di approdare in Canada era il numero 62 del mondo e nella sua bacheca gli unici trofei presenti, per ciò che concerne il circuito maggiore, erano quelli conquistati a Singapore e Umago, due ATP 250. L’australiano, va detto, è ancora relativamente giovane – poco più di una settimana fa ha spento 25 candeline – ma sin qui non era mai stato in grado di spingersi a certi livelli, come testimonia anche il fatto di non aver mai raggiunto un quarto turno a livello Slam.
I più forti sono meno dominanti
L’impresa di Popyrin, pur se di notevole caratura, non è comunque da record. Infatti, da quando sono stati introdotti i tornei dal valore di 1000 punti, ossia dal 1990, lui è il quarto giocatore con la classifica più bassa ad aver trionfato in una manifestazione di questa categoria. Il primato spetta ancora a Borna Coric – che nel 2022 vinse in modo clamoroso il torneo di Cincinnati da numero 152 delle classifiche mondiali - ma va specificato che il croato, già ATP 12 ben quattro anni prima a soli 21 anni, arrivava da una stagione caratterizzata da un infortunio che gli era costato mesi di inattività e una conseguente discesa nel ranking. Ciò che balza realmente all’occhio, andando a ritroso nel tempo, è che nell’ultimo ventennio le affermazioni più impronosticabili sono tutte giunte recentemente e nella lista si sono annoverati anche Norrie e Hurkacz (entrambi nel 2021), così come Carreño Busta (che vinse in Canada una settimana prima del successo di Coric).
Con tutto il rispetto, pensare che questi giocatori abbiano conquistato in carriera lo stesso numero di Masters 1000 di giocatori del calibro di Wawrinka, Del Potro, Thiem o Cilic, fa senz’altro un certo effetto. La ragione, però, è abbastanza facile da individuare e risiede sostanzialmente nella concorrenza spietata che questi campioni – tutti vincitori Slam – hanno dovuto fronteggiare. I soliti noti, i cosiddetti «Fab 4», hanno arraffato tutto ciò che vi era in palio e ai rivali - nell’arco di un lustro, o poco più – sono rimaste solo le briciole. Qualsiasi sport, si sa, evolve e nel tempo in teoria gli atleti e le tecnologie si migliorano, alzando l’asticella del livello. Mediamente, è stato così anche per il tennis e questo ha portato ad avvicinare i primi 100 giocatori del mondo. Al vertice, però, sembra che ciò non si sia verificato. Prendete, ad esempio, gli uomini presenti ai quarti di finale dello stesso torneo canadese di 15 anni or sono: Federer, Tsonga, Murray, Davydenko, Roddick, Djokovic, Del Potro e Nadal. Ciclicamente, l’immagine storica di questo tabellone ricompare nella mente e negli schermi degli appassionati: erano le prime 8 teste di serie del torneo e tutti arrivavano abitualmente in fondo ai tornei. Insomma, non ce ne voglia il buon Popyrin, ma il confronto con i tempi moderni appare impietoso.
In Ohio torna Carlitos
Ieri pomeriggio, a Cincinnati, è intanto scattato il settimo 1000 stagionale e, non è affatto da escludere, potrebbe trionfare il settimo giocatore diverso. Il numero uno al mondo e favorito del seeding Jannik Sinner – dopo aver saltato le Olimpiadi a causa di una tonsillite – ha accusato un nuovo problema fisico, all’anca destra, nella sconfitta con Rublev in terra canadese. Non una prima, vien da dire. L’integrità fisica, per il momento, è il suo cruccio principale e il suo il vero rivale, tanto che in ognuno dei suoi 5 k.o. stagionali ha accusato un malanno. «Mi sento abbastanza bene – ha affermato in conferenza stampa l’altoatesino – sapevo che la mancanza di allenamento seguita da tre giorni di fila con delle partite avrebbe potuto avere un potenziale impatto sulla mia anca, ma non ho paura. Qui di solito faccio un po’ fatica a causa delle condizioni, voglio vedere come reagisco. Si tratta di un buon test per me, non vedo l’ora di scendere nuovamente in campo».
Quindi, vista e considerata anche l’assenza di Djokovic, l’uomo da battere torna ad essere Carlos Alcaraz. L’iberico, che a Montréal non c’era, tornerà a calcare i campi in cemento dopo la tangibile delusione di Parigi, per la prematura uscita di scena nel doppio assieme a Nadal e, soprattutto, per via della sconfitta in finale che gli è costato il titolo olimpico e la medaglia d’oro. In Ohio, allora, si attende con ansia il suo ritorno per capire con quale spirito affronterà l’ultima parte della stagione dopo aver giocato a meraviglia in un’estate quasi perfetta. Il primo ostacolo del suo percorso, tra l’altro, potrebbe essere proprio Popyrin, che prima però dovrà vedersela con Monfils.
Nole si gode l'oro e la sua gente
Chi non ci sarà a Cincinnati, è come detto Novak Djokovic. Lui, in primis, ma anche tutti i suoi tifosi hanno atteso questo momento una carriera intera. Una vita, addirittura. Nole - dopo aver trionfato nella storica finale contro Carlos Alcaraz ai Giochi di Parigi - è tornato in patria e lo ha fatto dinanzi a migliaia di connazionali che hanno acclamato lui e il resto della delegazione serba che è riuscita a portare a casa una medaglia olimpica. A Djokovic mancava davvero solo quello, ogni altro traguardo era stato raggiunto e, perlopiù, anche a più riprese. Le emozioni che si erano viste sul Philippe-Chatrier si sono riproposte a Belgrado - dove tra l’altro verrà anche istituito un museo in suo onore - quando il fuoriclasse 37.enne ha sfoggiato il suo oro davanti a una folla in delirio che lo invocava a gran voce.
Ma ora che anche l’ultimo pezzo del puzzle è stato messo al suo posto che cosa farà? «Mi piacerebbe giocare a Los Angeles nel 2028» aveva detto dopo il suo trionfo. Parole di speranza, per alcuni, parole che sanno quasi di minaccia, per altri. Il serbo sembra non volersi fermare e la pausa che si è preso nella tournée nordamericana, tra Montréal e Cincinnati, non dev’essere assolutamente vista come una mancanza di motivazione. Mentalmente e fisicamente sa gestirsi alla perfezione e sa esattamente, insomma, di cosa necessita. È chiaro, però, che dopo aver giocato sull’erba di Wimbledon e sulla terra di Parigi, qualche partita sul cemento gli avrebbe fatto comodo in vista di New York. Agli US Open, invece, ci arriverà senza alcun torneo di preparazione, ma chissà che il campione, ora, non possa giocare più leggero che mai e andare a caccia di nuovi record.