«La vittoria che sento più mia? Se devo scegliere dico Adelboden»

Artista dei paletti stretti. Così è stato presentato Daniel Yule nella serata organizzata martedì all’Auditorium della Commercio di Bellinzona dagli organizzatori del trail Claro-Pizzo che si terrà il domenica 1. ottobre. Un campione sugli sci. Ma anche uno sportivo intelligente, ricco di umanità e simpatia.
Pensi a Daniel e te lo immagini al cancelletto di partenza di uno slalom di Coppa del mondo. Oppure al traguardo, raggiante per essere arrivato in fondo. Sei i suoi successi nella specialità, quindici volte è salito sul podio. Senza contare un oro olimpico e uno mondiale nelle gare a squadre. Invece lo abbiamo davanti, in maglietta estiva, reduce da una corsa a Prato Leventina dove ha visto i luoghi in cui è cresciuta Michela Figini. Lo sciatore della Val Ferret parla un ottimo italiano. Inevitabile chiedergli il perché. «L’ho imparato per una ragione pratica - dice - . Dovevo comunicare con Nicola Marcon, il mio skiman, un uomo d’oro. L’alternativa era il tedesco, che entrambi conoscevamo un po’. Dalla comunicazione per questioni tecniche, abbiamo allargato lo spettro dei nostri dialoghi. Per me è una lingua in più. Mi serve comunque anche nella vita oltre lo sci.
Sportivo riflessivo
Genitori britannici - padre mezzo inglese e mezzo scozzese, madre scozzese a tutti gli effetti - in famiglia Daniel ha sempre parlato la lingua di Shakespeare. «Papà e mamma, entrambi insegnanti, si sono conosciuti in Svizzera. Io sono cresciuto a La Fouly, un paesino del Vallese, nella Val Ferret, con poco più di sessanta anime. Siamo a 1.600 metri di altezza. Ci sono piccoli impianti di risalita. Da bambino mi hanno messo presto gli sci ai piedi. Da diversi anni sono diventati i miei strumenti di lavoro. Mio padre però mi ha sempre detto che nella vita serve più la testa dei piedi. Aveva ragione. Penso che anche i miei successi sportivi siano più il frutto del lavoro e del modo con il quale affronto le competizioni che del puro talento».
Laurea in economia
Quello di Yule non è il classico percorso scolastico degli sciatori d’élite. «Mi era stato proposto di andare a Briga e di seguire i corsi per sportivi. Ho preferito fare altrimenti. Un liceo tradizionale. Indirizzo: matematica applicata e fisica. Poi è arrivato il tempo dell’Università. Naturalmente a distanza. L’Open University mi ha offerto questa possibilità. Mi sono laureato in economia. Non penso che in futuro farò un Master. Però, pensando alle incertezze delle carriere sportive, era importante avere un piano B».
La vittoria più bella
Daniel ha vinto tre slalom a Madonna di Campiglio, due a Kitzbühel e uno ad Adelboden. Una bella collezione di classiche alpine. Qual è il successo che lo ha emozionato di più? «Se devo scegliere, dico Adelboden. Le sensazioni vissute al Chuenisbärgli sono uniche, almeno per uno sciatore elvetico. Vincere davanti al tuo pubblico è una cosa indescrivibile. Trentamila spettatori tutti con te. E tra loro i miei genitori, che per l’occasione (era il 2020, ndr) erano venuti a vedermi. Qualcosa di indescrivibile. Mi commuovo ancora a pensarci o quando mi capita di rivedere quelle immagini».
Piste classiche
A Yule piacciono soprattutto le piste classiche. Naturalmente sogna altri successi nelle stagioni che verranno. «È vero - sottolinea - . Un giorno mi piacerebbe poter firmare anche gli slalom di Wengen e Schladming, dove comunque ho già fatto bene. Così completerei la mia collezione di classiche. Dove ci sono dossi, percorsi ripidi e cambi di pendenza, mi trovo più a mio agio. Dovrei però imparare ad essere più costante anche su tracciati meno impegnativi. È bello pensare di avere davanti a me ancora qualche stagione ai più alti livelli. La testa per la competizione, che io amo moltissimo, c’è. La condizione fisica pure. Ci vuole però anche un po’ di fortuna. Quella che finora ho avuto perché non ho mai dovuto fare i conti con infortuni seri».
Un filo di superstizione
Il vallesano è un atleta concreto. Uno che ragiona con la testa e che in ogni gara ci mette il cuore. Con lo sci ha un rapporto quasi scientifico. Ma non solo. Da una decina di anni, la sera prima delle gare, veste sempre di blu. Stessi pantaloni, stessa camicia e quant’altro. «È vero, in questo caso c’è poco di scientifico. Qualcuno potrebbe pensare che ci sia della superstizione. In realtà non è proprio così. Mettermi gli stessi indumenti mi dà fiducia. Mi fa sentire bene. Mi fa dire che devo stare tranquillo e che la gara non sarà a tutti gli effetti una novità. Sarà qualcosa che conosco, anche se ci sono sempre degli aspetti nuovi. Indossare gli stessi indumenti mi tranquillizza. Però assicuro che vengono regolarmente lavati».
Le grandi amicizie
Si può essere amici, veri amici, con i colleghi del circo bianco? Yule è legatissimo a Justin Murisier. E viceversa. «Siamo due persone agli antipodi. Ormai ci conosciamo da diversi anni. Lui ha avuto una carriera costellata dagli infortuni. È un vallesano con la testa dura, uno di quelli che dicono pane al pane, vino al vino. Non ha peli sulla lingua. È un amico sincero e per questo lo stimo moltissimo. Penso di aver imparato molto da Justin, mi auguro che lui abbia imparato qualcosa da me. Nella vita bisogna a volte fermarsi a riflettere, ma anche essere pronti a cambiare le proprie idee. Due persone diverse hanno sempre qualcosa da dirsi. Magari anche solo per contestarsi. In questo senso, anche il rapporto con il nostro capo-allenatore, Matteo Joris, che ritengo il miglior allenatore al mondo, ha qualcosa di analogo. Ci diciamo le cose in faccia. Dalle idee diverse si cresce. Il tecnico della Val d’Aosta era venuto in Svizzera come assistente di Steve Locher. È ancora con noi e mi auguro che ci resti a lungo. So che gli sono giunte offerte da altre squadre. Ma lui dice che non ha ancora completato il lavoro con il nostro gruppo».
Sensibilità per la natura
Sono cresciuto nella natura e il mio sport si pratica nella natura. Per spostarci da una parte all’altra dell’oceano, ma non solo, contribuiamo un po’ tutti ad inquinare il pianeta. Però, singolarmente, nel nostro piccolo dobbiamo renderci conto che è giusto fare qualcosa per dare alle future generazioni un mondo vivibile. Per questo ho aderito a ‘Protecttourwinterswiterland’. Chi nega l’evidenza del cambiamento del clima (l’ex presidente della FISKasper lo aveva fatto, ndr) non può essere in buona fede».
Il fenomeno Odermatt
Nella scorsa stagione Yule ha ottenuto due successi: Madonna e Kitzbühel. Cosa pensa di sé stesso se paragonato a Marco Odermatt? «Il nidvaldese è incredibile. Lui, oltre a lavorare parecchio, ha ricevuto in grazia il talento. La sua notorietà è cresciuta, eppure è rimasto lo stesso. Un atleta cordiale e con i piedi ben impiantati per terra. Siamo entrambi rossocrociati, ma siamo in gruppi diversi. Ognuno di noi dà quello che può. Nessun confronto. Da parte mia, soltanto una grande ammirazione».