Le emozioni che ingannano i tifosi

Biglietti falsi o rivenduti su canali non ufficiali. E ancora merce contraffatta, a volte bene, a volte molto male. Senza, per altro, la certezza di vedersi recapitare quanto pagato profumatamente. A farne le spese, va da sé, è soprattutto il tifoso distratto. Ma anche il club superato sulla destra a livello di commercializzazione del proprio prodotto. Il fenomeno, senza scomodare il concetto di bagarinaggio, è noto. Il problema? La sua diffusione, complice lo sconfinato universo digitale, è in aumento. Con la giornata di ieri, in qualche modo emblematica.
Se la truffa è dietro l’angolo
Sull’asse Parigi-Liverpool, per dire, proseguono le accuse e contraccuse alla luce del caos che ha accompagnato la finale di Champions e la gestione degli accessi allo Stade de France. L’esistenza di ticket falsi e persone senza biglietto è oramai assodata. Okay. Tuttavia, di che cifre si parla? 40 mila, come azzardato - frettolosamente - dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin? O circa 3 mila come hanno rettificato diverse fonti vicine al dossier. Con la grana di Saint-Denis in sottofondo, e sempre a proposito di pubblico negli stadi, nelle scorse ore è toccato all’ASF allertare i consumatori, in vista dei match contro Spagna e Portogallo che la Svizzera disputerà a Ginevra settimana prossima. «Sconsigliamo fortemente l’acquisto di biglietti per le partite in casa delle nazionali attraverso canali non ufficiali, fornitori terzi, siti di aste esterni, e mercati di rivendita online». Di più: «L’ASF si riserva il diritto di bloccare tutti i biglietti che non sono stati acquistati nei punti vendita ufficiali». Occhio, insomma. A chiudere il cerchio è quindi stato il FC Lugano, alle prese con un sito di vendita online che - sfruttando illegalmente il marchio bianconero - ha convinto diversi tifosi ad acquistare delle scarpe. Il problema? Le calzature in questione non sono mai giunte a destinazione.
Un logo protetto e il suo valore
«Il tifoso, con la sua emotività e impulsività, è un bersaglio che fa sempre più gola» osserva Alessandro Siviero, docente senior per il Bachelor in Leisure Management della SUPSI. «Lo sport, in fondo, è come la moda. Vive di ondate. Di eventi e realtà che a seconda dell’importanza e dei risultati, godono di maggiore visibilità e popolarità sul mercato». Già, prestando al contempo il fianco ai fiutatori d’affari. I fatti di Parigi, d’altronde, hanno dimostrato le falle del sistema. E ciò nonostante fosse l’UEFA a garantire per esso. «Il problema, in questo caso, è che la truffa penalizza l’acquirente, non chi emette il biglietto e che - insieme ad eventuali intermediari - può essere controllabile senza eccessivi sforzi». A complicare le cose, conferma Siviero, «sono delle tecniche di riproduzione e dei canali di vendita online che persino un esperto fatica a smascherare».
Il mondo del merchandising, lui, merita invece un discorso a parte. «L’utilizzo illegale di brand e loghi può avvenire in due modi» precisa Siviero, che in passato ha anche lavorato per l’HC Lugano. «Un conto è immettere sul mercato della merce alterata, per intenderci la classica maglietta di club venduta da portali spesso e volentieri asiatici. Un altro è il piccolo rivenditore che - un po’ ingenuamente, un po’ ignorando le normative in materia - crea dei prodotti ad hoc con il marchio di una o l’altra squadra». E non va bene. «Perché se un logo è registrato e protetto, a chi lo detiene - in caso di accordo - vanno corrisposti dei diritti. Le cosiddette royalties. Parliamo infatti di un brand che ha valore economico e può generare profitto».
«Bastano 50 franchi»
Forse c’è una buona notizia. «Se il FC Lugano si è ritrovato in questa situazione, significa che il suo marchio è uscito rafforzato dall’ultima stagione e dalla vittoria della Coppa» indica Siviero. «Più un brand ha visibilità nazionale e internazionale, più è a rischio. E vi assicuro che è sufficiente una semplice analisi di mercato, e 50 franchi, per capire dove colpire: prima s’individua il target, dove vive, l’età e che squadra tifa, poi raggiungerlo con una pubblicità mirata sui social media è un attimo». Ma se i grandi club godono della protezione dei rispettivi sponsor d’abbigliamento - «Nike e Adidas, per fare due nomi, hanno ovviamente interesse a tutelarsi -, per le società più piccole si tratta di capire se ha senso impiegare risorse in quest’ambito. «Andare a caccia di sacche di illegalità, agendo magari sul piano legale, potrebbe generare più dispendi che benefici» dice l’esperto. Già, nell’ambito considerato il diavolo tende a nascondersi nei dettagli. «Spesso la contraffazione passa da aspetti irrisori. Invisibili agli occhi dell’appassionato e - potenzialmente - problematici qualora si volesse provare lo sfruttamento illecito del proprio brand». Non bastasse, alla lunga questi raggiri potrebbero nuocere alla credibilità del club coinvolto. «La reputazione della società - conclude Siviero - viene messa in pericolo. E allo stesso modo il tifoso, che rischia di acquistare prodotti di scarsa qualità e per questo poco sicuri». Il FC Lugano, non a caso, ha immediatamente reagito, con una lettera che intima alla Custom Sneakers Schweiz la cessazione dello sfruttamento illegale del logo bianconero.