Le scarpe di Trent Alexander-Arnold e quelle di Mattia Bottani

Pochi giocatori hanno fatto l’unanimità come Pelé. Amato, venerato, imitato: un modello, insomma. Eppure, O Rei fu al centro di una delle controversie commerciali più clamorose nella storia dello sport. Tutta colpa di un paio di scarpette da calcio. E della rivalità tra due fratelli: Adolf e Rudolf Dassler. Archiviate la Seconda guerra mondiale e una collaborazione ultraventennale nella fabbrica di Herzogenaurach - in Baviera -, il primo fondò l’Adidas, mentre il secondo diede vita alla Puma. Affari e strategie presero inevitabilmente strade diverse. Sino al 1960. Sino alla consacrazione sulla scena internazionale di Edson Arantes do Nascimento. Associare il proprio marchio al fenomeno del Santos e della selezione verdeoro campione del mondo, va da sé, avrebbe costituito uno degli affari del secolo. A suon di rialzi e colpi bassi, le creature di Adolf e Rudolf Dassler avrebbero tuttavia rischiato anche la bancarotta. Di qui la decisione condivisa di rinunciare alla stella brasiliana, passata agli annali come il «Pelé Pact».
Tutto molto bello e giudizioso, peccato che ai Mondiali del 1970 - gli ultimi vinti da Pelé - la Puma decise di mandare tutto all’aria. Come? Beh, offrendo 120.000 dollari al giocatore. E a una condizione: poco prima del fischio d’inizio dei quarti di finale contro il Perù, Pelé avrebbe dovuto chiedere all’arbitro di attendere un momento così da potersi allacciare le scarpe. Scarpe Puma, ovviamente, verso le quali il camerman principale - pure lui pagato profumatamente - avrebbe stretto l’inquadratura. Una trovata di marketing geniale; l’ennesima mossa fratricida.
Ricordando Steven Gerrard
Oltre mezzo secolo più tardi, i due colossi tedeschi continuano a spartirsi le fette più importanti della torta. Insieme alla Nike. E a proseguire è pure la caccia alla star, con tutto ciò che ne consegue in termini di visibilità (e fatturato). Prendete Trent Alexander-Arnold: il terzino del Liverpool e della nazionale inglese ha appena sottoscritto un contratto pluriennale con Adidas del valore di 30 milioni di euro. Una partnership, questa, che farà del 25.enne uno degli ambasciatori di brand più pagati in Europa Alla pari del fenomeno del Real Madrid Jude Bellingham, per intenderci. Alexander-Arnold ha ufficializzato l’intesa proprio nelle scorse ore. Da un lato con la classica operazione nostalgia sul web, della serie «la mia scarpa del cuore è sempre stata quella indossata da Steven Gerrard nella finale di Champions del 2005, vinta dai Reds contro il Milan a Istanbul». Dall’altro - piccolo spazio pubblicità - battezzando al meglio il modello Predator grazie alla rete che ha permesso al Liverpool di pareggiare con il City. Sì, avete capito e visto bene (nella foto qui sopra): dopo essere stati praticamente banditi, sui rettangoli verdi si rivedranno la «linguetta» e il fedele elastico. Celebri o famigerati, a seconda dei punti di vista. Ma, evidentemente, ritenuti di nuovo spendibili sul mercato.


Vantaggi e svantaggi
Quello delle scarpe da calcio, d’altronde, è un business enorme. Un business sospinto dall’evoluzione dei materiali e - quanto automobili, orologi e vestiti - pronto a fare leva sulla volubilità degli acquirenti. Sulle mode. Potrebbe sembrare un paradosso, ma la comodità ha da tempo lasciato spazio all’estetica. A tutti i livelli. Ecco, appunto. Al netto dei casi limite alla Alexander-Arnold, qual è il rapporto tra calciatori e marchi nelle realtà minori? In Super League, per esempio. Lo abbiamo chiesto a Mattia Bottani, fantasista e simbolo dell’FC Lugano. «Tolte alcune eccezioni o scelte di nicchia, il 90% dei giocatori viene avvicinato da uno dei tre grandi marchi e riceve un’offerta. La proposta, di norma, prevede la fornitura gratuita delle scarpe. In alcuni casi, oltre alle scarpe, viene accordato un budget da utilizzare per l’acquisto di altro materiale del brand. Parliamo di alcune migliaia di franchi». Bottani, non è un segreto, è sponsorizzato dalla Puma. «Ogni tre mesi, in concomitanza con l’uscita di un nuovo colore, ricevo tre paia di scarpe che si differenziano per i tacchetti. Il mio contratto prevede quindi che in occasione della partita susseguente la fornitura dovrò sfoggiare la versione ricevuta». E se la calzatura in questione provoca fiacche o altri problemi al piede? «Diciamo che viene concesso un margine d’adattamento» indica Bottani: «A un certo punto, però, a fare stato è l’obbligo contrattuale». E le regole, prosegue il numero 10 bianconero, sono severe: «Per chi, come il sottoscritto, ha firmato un accordo più ampio, indossare qualsiasi tipo di merce dei competitor è vietato. Insomma, non posso recarmi all’allenamento o passeggiare in centro con la tuta di un altro marchio».
Se non c’è spazio per l’affetto
Più è importante la visibilità del calciatore, più gli interessi in ballo crescono. Pure in Svizzera. «Scordatevi però le cifre dei top campionati» ribadisce Bottani, che ha toccato con mano anche l’ambiente della Nazionale. «Ed è stata una fortuna, poiché ho iniziato ad affidarmi a uno specialista che agisce sui dettagli della scarpa». I dettagli invisibili, s’intende. «Non ci è permesso ritoccare l’estetica e il simbolo del marchio, ma possiamo agire all’interno della calzatura per renderla più confortevole. Cosa che ho fatto per fare in modo che il tallone non facesse troppa pressione sul tendine». Il ventaglio d’interventi, comunque, è vasto. Dall’aggiunta o lo spostamento di tacchetti, all’allargamento della scarpa, sino all’incisione del suo rivestimento. Per la scaramanzia e l’affetto, invece, non c’è praticamente spazio. «Ci sarebbe in assenza di un contratto vincolante» osserva Bottani. Per poi aggiungere: «Con questi materiali super leggeri, cambiare sovente le scarpe è banalmente una necessità. Perché si rovinano in fretta. Oltretutto, andare a ritrovare il modello e il colore utilizzati in una circostanza particolare del passato è tutto fuorché scontato». Per alcuni calciatori, tuttavia, le abitudini sono dure a morire. Famoso il caso del centrocampista del Real Toni Kroos, forse unico giocatore al mondo a cui l’Adidas continua a fornire lo stesso modello da 10 anni: l’Adipure 11pro. L’ex Chelsea John Terry era per contro avvezzo a indossare un paio di scarpe durante il riscaldamento, uno nel primo tempo e un altro ancora nella ripresa. «Le scarpe con cui ho segnato nella finale di Coppa vinta nel 2022? Credo di averle regalate. Ho preferito tenermi la medaglia e la maglietta» conclude il «Botta» ridendo.