Calcio

Lima Solà: «Sogno di chiudere la carriera nel ritorno contro la Svizzera»

L’intervista al difensore della Nazionale andorrana
© REUTERS/ALBERT GEA
Nicola Martinetti
16.06.2023 06:00

Riuscire a trovarlo per una telefonata si è rivelato più complicato del previsto. «Sono in ritiro», ci aveva inizialmente detto il totem andorrano. Ignari, eravamo convinti si riferisse al suo club, il FC Andorra B. Poi è arrivato il chiarimento: «No no, mi trovo con la Nazionale. Sono tornato». Stasera dunque, a La Vella contro la Svizzera, ci sarà anche l’ex Bellinzona. 43 anni e una passione che non si è ancora spenta.

Ildefons, la tua recente assenza in ambito internazionale ci ha tratti in inganno. La tua «storia infinita» con la selezione andorrana, tuttavia, non si è ancora conclusa...
«Nelle ultime finestre, tra infortuni e recuperi, avevo dovuto rinunciare a malincuore. Adesso che però sto bene, non ci ho pensato due volte a tornare. So che a livello internazionale non ho più i novanta minuti nelle gambe, ma una mano ai ragazzi, con la mia esperienza, la posso comunque dare».

Anche perché c’è un mito da mantenere in vita, con i tuoi 43 anni e le 134 presenze fin qui collezionate. Numeri che, di fatto, ti rendono sia un pezzo da museo, sia un uomo dei record. Giusto?
«Esattamente (ride, ndr). Da qualche anno detengo il primato (con tanto di Guinness World Record, ndr) per la carriera internazionale più longeva, che spero di aggiornare ulteriormente scendendo in campo nei prossimi incontri di qualificazione a Euro 2024. Così, infatti, arriverei a quota 26 anni. E poi sì, col passare del tempo la mia avventura in Nazionale ha sollevato un considerevole interesse. Persino da parte del Museo della FIFA di Zurigo, che mi ha invitato a inserire una mia maglietta nella sua collezione. Un onore per il sottoscritto, esposto al pari di tante grandi stelle».

D’altronde sei tra i pochi che  possono vantare delle presenze (e delle vittorie) in Champions League, dopo aver compiuto i 40 anni...
«Se è per questo, ho collezionato gettoni e successi anche in Europa e Conference League (altra risata, ndr). Scherzi a parte, da qualche mese ho deciso di fare un passo indietro a livello di club, evitando di prendere parte ai preliminari delle coppe europee. Sentivo il bisogno di uscire da una routine che nel calcio andorrano è davvero asfissiante, perché di fatto non si interrompe mai. Non fai in tempo ad archiviare una stagione che già devi tornare in campo per i preliminari di un torneo continentale... Per questo mi sono accasato nel FC Andorra B, che milita nel campionato dilettantistico spagnolo. Una dimensione perfetta per le mie esigenze».

So che a livello internazionale non ho più i novanta minuti nelle gambe, ma una mano ai ragazzi, con la mia esperienza, la posso comunque dare

L’universo del FC Andorra, peraltro, è molto curioso. Il proprietario del club è infatti l’ex nazionale spagnolo Gerard Piqué, tramite la sua società d’investimenti «Kosmos». La stessa con la quale ha dato vita all’ormai celebre Kings League...
«L’intervento di Piqué, che ha rilevato il club nel 2018, ha cambiato il volto della società. E in parte, di riflesso, anche quello del calcio andorrano. Cinque anni fa infatti, il FC Andorra militava ancora nel campionato dilettantistico, mentre adesso è una bella realtà della Segunda División, la serie B spagnola. Dopo decenni di anonimato, insomma, in Andorra è finalmente sbarcato il calcio vero. I giocatori che militano nella prima squadra, ormai quella di riferimento nel nostro Paese, sono di ottimo livello. E ogni quindici giorni all’Estadi Nacional di La Vella approdano squadre importanti. Di fatto “Els Tricolors”, come li chiamano da queste parti, sono diventati un faro per tutto il movimento. Nonché un traguardo ambizioso, che fungerà da stimolo per le prossime generazioni».

Nel 2016, in occasione del penultimo incrocio tra Svizzera e Andorra, sulle nostre pagine avevi dichiarato che spesso i vostri giovani si «accontentavano», preferendo rimanere in un campionato «noioso», piuttosto che andare all’estero. È ancora così?
«No, ora la tendenza è un’altra. Intendiamoci, il nostro campionato rimane tuttora noioso (ride, ndr), ma vedo sempre più giovani tentare la fortuna al di fuori dei confini nazionali. E finalmente alcuni di loro si stanno anche affermando in campionati di un certo livello. Aggiungo poi che pure l’avvento della Nations League ha aiutato parecchio. Rispetto a quando ho iniziato io, nel 1997, oggi giochiamo molte più partite competitive contro avversari alla nostra portata. Un’esperienza vitale per i nostri giovani».

Alla luce di questi progressi, pensi che in futuro una qualificazione agli Europei rimarrà per sempre utopia, oppure potrebbe anche accadere?
«Francamente, penso che non vivrò abbastanza a lungo per vedere la mia Andorra disputare un grande torneo (altra risata, ndr). Non raccontiamoci sciocchezze (il termine scelto da Lima Solà era leggermente diverso, ndr), il nostro Paese è racchiuso in un fazzoletto di terra e conta circa 80.000 abitanti. In molti citano le belle favole dell’Islanda e della Macedonia del Nord, accostandole alla nostra realtà, ma parliamo di movimenti dai numeri decisamente più ampi. Per come la vedo io, Andorra - a causa dei suoi limiti - rimarrà destinata a ricoprire un ruolo marginale. Con la massima ambizione di poter puntare a mettere in difficoltà le selezioni più attrezzate».

Vorrei restare nel mondo del calcio, ho pure il patentino per allenare. Vedremo...

Tra queste ci permettiamo di includere la Svizzera di Murat Yakin, che nel 2016 avevate spaventato perdendo «solo» 2-1 a La Vella. Stasera potrebbe andare allo stesso modo?
«Non penso. All’epoca chi ci affrontava in trasferta era obbligato a giocare su un brutto sintetico che ci avvantaggiava. Ora invece, grazie agli investimenti di Piqué, il fondo del campo è in erba naturale, e abbiamo quindi perso anche questo piccolo appiglio. Sinceramente, se la Svizzera giocherà secondo le sue enormi potenzialità, non dovremmo risultare un ostacolo. D’altronde sono i chiari favoriti per la vittoria del nostro girone. Tuttavia cercheremo di opporre la miglior resistenza possibile, provando a metterli in difficoltà come sette anni fa».

Alla peggio tu potrai comunque consolarti rimediando qualche maglietta da aggiungere alla tua collezione. No?
«Certo, ma non sono tornato in Nazionale per questo (ride, ndr). Anche se, non lo nego, ne approfitterò per ampliare la mia raccolta. A quanto ammonta attualmente? Ormai ho perso il conto, ma siamo sopra i mille pezzi, tutti conservati a casa mia. Una volta appese le scarpette al chiodo mi piacerebbe mettervi mano, creando qualcosa di particolare. Il mio sogno sarebbe aprire un museo qui in Andorra, così da fornire una piattaforma d’interesse ai turisti di passaggio, specialmente a quelli con la passione per il calcio».

Quali sono le magliette che custodisci più gelosamente?
«Ce ne sono davvero diverse. Possiedo ogni modello indossato dalla Nazionale andorrana e dal FC Andorra, ma anche, ad esempio, l’indimenticabile maglia rosa della cavalcata in Coppa Svizzera del “mio” Bellinzona, un dono di Alessandro Mangiarratti. Se però devo andare sui singoli, non posso non citare quella scambiata con Alessandro Del Piero quando ho affrontato la sua Juventus. Oppure quella che indossavo quando, con la nostra selezione, abbiamo sconfitto l’Ungheria. Una vittoria storica. Senza dimenticare la maglia rimediata a Parigi nel 1998, quando in una notte speciale abbiamo affrontato la Francia, fresca vincitrice del Mondiale. Insomma, ne ho per tutti i gusti. E non ho citato i più recenti Mbappé, Cristiano Ronaldo e Messi (anche se non l’ho mai affrontato direttamente). O i vostri Xhaka, Shaqiri e Lang».

Prima hai menzionato la parola ritiro. È un pensiero che sta iniziando a fare capolino?
«Sì, senza dubbio. Ormai quasi mi vergogno a giocare con ragazzini che quando ho iniziato la mia carriera, non erano nemmeno nati. Essere un andorrano mi ha permesso di allungare il mio percorso, ma ormai siamo quasi al capolinea. Mi piacerebbe dare l’addio al calcio in Svizzera, il prossimo 12 settembre, nel match di ritorno delle qualificazioni. Ho un rapporto speciale con il vostro Paese, che torno spesso a visitare e nel quale mi sono sempre trovato bene. Mi piacerebbe scrivere lì la parola fine su questa splendida avventura, vedremo se ci riuscirò».

E poi da «grande» cosa farai?
«Vorrei restare nel mondo del calcio, ho pure il patentino per allenare. Vedremo. Come suggerivo, ho in mente anche altri progetti, fuori dal campo».

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