Verso la Coppa Svizzera

Lugano, ascolta il vecchio prof: «Ecco come preparerei la finale»

Nicholas Townsend, esonerato dal club a fine novembre, non ha smesso di fare il tifo per i bianconeri: «Ma domenica non sarò a Berna, è giusto che le nostre strade restino separate»
L'euforia di Nicholas Townsend dopo la finale vinta nel 2022. ©CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
29.05.2024 06:00

«No, domenica non sarò a Berna, ma in Sardegna, dove abbiamo oramai finito di costruire una casa di vacanza». Nicholas Townsend non intende aggrapparsi a ricordi e sentimentalismi. L’FC Lugano, oramai, fa parte del passato. «Ma alcuni legami restano e, va da sé, auguro di cuore alla squadra di imporsi di nuovo al Wankdorf».

«Prof», sono trascorsi sei mesi dal tuo esonero. Come li hai vissuti?
«Approfittandone. Ho visto di più le mie figlie, per esempio. Abbiamo fatto diverse attività assieme, viaggiato; cosa che in precedenza accadeva molto raramente. Insomma, da una situazione spiacevole sono scaturite nuove opportunità. È arrivata pure qualche chiamata, ma nulla in grado di farmi tentennare. Non ho la smania di rientrare. Anche perché questi mesi, permettendomi di riflettere, mi hanno dimostrato che il calcio - per quanto bello e totalizzante - non è tutto».

Domenica va in scena la finale di Coppa Svizzera, la terza consecutiva per il Lugano. Non hai mai pensato di salire su uno dei treni speciali e goderti lo spettacolo da spettatore esterno?
«No. E la mia scelta, tengo a sottolinearlo, non ha nulla a che vedere con quanto successo. Continuo a fare il tifo per il Lugano, per il mio amico Cru (come lo chiama solo lui, ndr.), che merita una seconda Coppa, e per diversi giocatori e membri dello staff a cui sono legato. Al netto dell’affetto, però, credo sia giusto mantenere separate le nostre strade. È stato deciso così ed è bene che rimanga così. Poi, ripeto, questo non significa tagliare completamente i ponti con le persone. Di occasioni per rincontrarsi, per una cena, ce ne sono state e continueranno ad essercene. Le amicizie resistono. Senza assilli di carattere bianconero».

Un terzo del percorso che ha condotto il Lugano al Wankdorf, dopo tutto, porta anche la firma di Nicholas Townsend. Come giudichi l’ennesima, clamorosa cavalcata in Coppa degli uomini di Croci-Torti?
«È incredibile. Anche se, per certi versi, meno incredibile rispetto al passato. A mio avviso, l’impresa più folle si è compiuta nel 2022, con la prima finale e il trionfo sul San Gallo. Quella vittoria, infatti, era giunta al termine di una stagione cominciata nel caos - con la cordata dei brasiliani -, proseguita con l’avvento della nuova proprietà americana e sfociata nella fine di un ciclo, con diversi giocatori al passo d’addio. Dal successo ai rigori contro il Lucerna, in semifinale e con tanto di mio sgambetto al Cru, era nata una consapevolezza speciale. Sì, avevamo capito che l’avremmo vinta. E infatti la finale è stata devastante. Un’apoteosi. Un miracolo sportivo. Per tante ragioni. L’atto conclusivo del 2023 e quello alle porte, per contro, sono più logici. Perché società e progetto sportivo, nel frattempo, si sono consolidati».

Chi deciderà la gara? Dico Aliseda: la sua stagione tribolata, meriterebbe un epilogo felice

Hai sempre prestato grande attenzione agli aspetti nervosi. Un anno fa, contro lo Young Boys, il Lugano era sfavorito. Al match con il Servette, invece, i bianconeri arrivano con un altro status. E, probabilmente, con una maggiore pressione da gestire.
«È vero, in occasione dell’ultima finale i gialloneri erano più forti sulla carta. E alla fine hanno vinto. Ma il Lugano, non scordiamolo, era stato protagonista di una grande partita. E non è una questione da sottovalutare. Quella prestazione, in fondo, è la base su cui costruire la gara di domenica. La squadra non è cambiata molto e, dunque, le condizioni per farlo sono date. Ricordo che nelle settimane precedenti la finale con l’YB avevo tappezzato lo spogliatoio di cartelloni con scritto “50%”. Per spingere il gruppo a credere che quelle, al di là dei pronostici, erano le nostre chance di vittoria al fischio d’inizio. A questo giro, e proprio grazie all’esperienza accumulata, in campo andrà invece un gruppo maturo. Consapevole dei suoi mezzi. E, se guardo all’avversario, con una rosa forse più attrezzata. Poco importa dunque la pressione. Centrare tre finali di seguito è tutto fuorché evidente e infonde una forza non indifferente».

Come prepareresti dunque il match?
«Paradossalmente, limitando gli stimoli. Questo gruppo, suggerivo, dispone già di un’enorme solidità mentale. D’altronde è reduce da un campionato importante e può contare su elementi di spessore: dal capocannoniere della Super League a forse il suo miglior giocatore, Renato Steffen, senza dimenticare l’esplosione di Uran Bislimi. Se sarà l’ultima di Sabbatini? Vedremo. Conoscendo bene Jonathan, che è un uomo di equilibri, non credo comunque che si farà schiacciare da questo scenario. Anzi, lo trasformerà in un pungolo per fare ulteriormente bene».

Chi deciderà la finale?
«Dico Aliseda. Il mio Nacho. Purtroppo ha vissuto una stagione tribolata, ma rimane fortissimo. Il più forte, anche. Meriterebbe davvero di chiudere il cerchio al Wankdorf in modo felice».

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