Calcio

Lugano, le mucche e i campi da golf: Zeman non ha dimenticato il Ticino

Nella sua autobiografia il 75.enne ceco dedica alcuni segmenti all’avventura in bianconero - Ripercorriamo alcuni passaggi con colui che lo portò in Ticino, l’ex presidente Angelo Renzetti: «Per lui fu un’esperienza surreale»
Il Lugano del boemo centrò la salvezza al termine della stagione 2015/2016, la prima dal ritorno in Super League. © Fotogonnella
Nicola Martinetti
16.11.2022 06:00

Non allena più dalla scorsa primavera. Da quando, cioè, ha archiviato la sua quarta avventura a Foggia. Ma non importa. Di lui, in ogni caso, si continua a parlare. E lo si farà ancora a lungo. Zdenek Zeman, per tutti il «Maestro», rimane un personaggio totale del mondo pallonaro. Le svariate reazioni suscitate ieri, giorno dell’uscita ufficiale della sua autobiografia curata assieme al vicedirettore della Gazzetta dello Sport Andrea Di Caro (La bellezza non ha prezzo, Rizzoli), sono del resto lì a sottolinearlo.

Una corte spietata

Racchiusa nelle 304 pagine che compongono il volume vi è l’essenza del personaggio, ma anche della persona. Un concentrato di rivelazioni esplosive e contenuti mai banali, che non hanno mancato di fare rumore soprattutto in Italia. Ma il cui eco - e non poteva essere altrimenti - è giunto fino in Ticino. D’altronde, tra le pieghe dell’opera, vi è anche una manciata di pagine dedicate alla parentesi che l’oggi 75.enne visse a Lugano tra il 2015 e il 2016. Quando, ovvero, guidò il club bianconero - all’epoca presieduto da Angelo Renzetti - nella sua prima stagione dal ritorno in Super League. Centrando una salvezza tutt’altro che scontata e una finale di Coppa Svizzera, poi persa al cospetto di uno Zurigo già retrocesso. «Ci misi un po’ a convincerlo - racconta oggi con il sorriso l’ex presidente della società sottocenerina -. Il Pescara aveva palesato la volontà di ingaggiarlo, e lui rimase a lungo alla finestra, in attesa. Soltanto quando ricevette un “no” definitivo, dopo svariate settimane, si decise infine a cedere alla mia corte spietata (ride, ndr)». Quel sì fu l’inizio di un’avventura storica, partita però in salita proprio a causa dei tentennamenti del «Maestro». «Approdò a Lugano soltanto a una quindicina di giorni dall’inizio del campionato, quando il margine di manovra - soprattutto sul mercato - si era ormai assottigliato troppo. Fu lui, in sostanza, il nostro grande acquisto. E fra le mani, essenzialmente, si ritrovò una squadra di Challenge League».

Una boccata d’aria fresca

Poco male. Perché, come si evince dai segmenti dell’autobiografia dedicati al Lugano e all’avventura in Ticino, il boemo trovò comunque il modo di apprezzare la realtà elvetica. «La città è un gioiellino, mi ci trovai benissimo - si legge in “La bellezza non ha prezzo” -. Ma gradii il calcio svizzero nel suo complesso, contraddistinto dal rispetto per le regole, i ruoli e la gestione corretta delle società. Banalmente, in Svizzera prima si mostra un bilancio sano e si pagano gli stipendi, e poi si gioca». Un cambio radicale per un uomo che più volte, quando militava in Italia, aveva apertamente denunciato un sistema a suo dire malato. Non da ultimo segnato dallo strapotere della finanza. «Cosa che da noi, per un motivo molto semplice, non era neanche lontanamente ipotizzabile - rileva Renzetti -. Purtroppo o per fortuna, infatti, siamo troppo piccoli per attirare forti interessi da questo punto di vista. Mi riferisco a Lugano e al Ticino, un’appendice a livello nazionale, ma anche alle migliori realtà d’oltre Gottardo». Per Zeman fu dunque l’occasione di scoprire qualcosa di nuovo. Di unico e, per dirla con parole sue, lontano anni luce dal modo italiano - «spesso esagerato e isterico» - di vivere il calcio. Dove la tranquillità regna sovrana e «la partita viene vissuta come una scampagnata». E dove «cinque minuti dopo il fischio finale, in certe realtà, non se ne parla più». «Ricordo che questa fu un’arma a doppio taglio - prosegue l’ex presidente bianconero -. Zeman amò davvero tanto tutte queste sfaccettature del nostro calcio. Le trovò surreali e appaganti al tempo stesso. Una boccata d’aria fresca, insomma. Ma si rese altresì conto dell’enorme divario (citato nel libro, ndr) che separava le varie società svizzere. E noi, tra i club più piccoli, senza stadio nuovo e dai mezzi estremamente limitati, non eravamo in grado di fornirgli - almeno in parte - le stesse emozioni che invece aveva fin lì vissuto in Italia. Fu anche per questo motivo che alla fine non rinnovò».

Folclore ed entrate gratuite

A proposito di piccole realtà, Zeman tra i suoi ricordi cita comunque con piacere alcuni impianti «bucolici in zone verdi, dove non era raro vedere le mucche accanto ai campi di gioco». «Sì, era rimasto colpito da alcune cose viste nell’ambito della Coppa Svizzera - spiega l’ex numero uno bianconero -. Specialmente nei primi turni capita infatti molto spesso di ritrovarsi in località sperdute ed estremamente folcloristiche. Zdenek ne rimase affascinato». L’ultimo pensiero del boemo riguardo all’avventura in Ticino, citato nell’autobiografia, è invece dedicato alle sue scampagnate sui campi da golf: «approfittai della stagione a Lugano per migliorare il mio punteggio, praticandolo spesso nel tempo libero». Renzetti, anche in questo caso con il sorriso, ricorda vividamente anche questa sfaccettatura dell’«operazione Zeman»: «Lui e il suo assistente erano alla costante ricerca di campi sul nostro territorio, dove si potesse giocare gratuitamente. In Italia infatti, per lui era sufficiente presentarsi e segnalare chi era per evitare di dover pagare. Qui in Ticino funzionò due o tre volte, poi improvvisamente iniziarono sulla nostra scrivania iniziarono a fioccare le fatture. Diciamo che sì, parzialmente abbiamo foraggiato noi i suoi progressi golfistici» chiosa ridendo l’ex presidente del Lugano.