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L’ultima magia di John McEnroe in un 1984 da intoccabile

Agli US Open di quarant’anni fa il mitico mancino statunitense conquistò il suo settimo Slam – Inaspettatamente non ne arrivarono altri – In quella stagione vinse il 96,47% dei match (82 su 85): un record tuttora imbattuto
© Reuters
Fernando Lavezzo
28.08.2024 06:00

Che anno meraviglioso, il 2006 di Roger Federer: 3 titoli del Grande Slam, la prima finale al Roland Garros (persa contro Rafael Nadal), 4 Masters 1000, le ATP Finals, un totale di 12 titoli e un bilancio complessivo di 92 vittorie e 5 sconfitte, per una percentuale di successi del 94,84%. «Ho vissuto anch’io una stagione simile, nel 1984, un anno in cui mi sentivo invincibile», commentò all’epoca John McEnroe. «Quando ti senti così, sembra che tutte le cose rallentino, che la pallina diventi molto più grande e che ci sia più tempo per agire».

Già, il magico 1984 di McEnroe. Quarant’anni fa, il mancino di New York chiuse la stagione con 82 vittorie e 3 sconfitte, per una percentuale di successi del 96,47%. Nell’era Open, tra gli uomini, è un record tuttora imbattuto. Nel suo superbo 1974, Jimmy Connors collezionò 93 vittorie e 4 sconfitte, pari al 95,88%. Roger Federer arrivò al 95,29% nel 2005, con 81 vittorie e 4 sconfitte, mancando il primato di McEnroe a causa della finale delle ATP Finals persa contro David Nalbandian. Il record assoluto appartiene però a una donna, Martina Navratilova, che chiuse il 1983 con 87 vittorie e una sola sconfitta (98,9%).

Ivan il terribile

Il 1984 di John McEnroe si aprì con il trionfo ai Masters, l’equivalente delle attuali ATP Finals. All’epoca si giocavano in gennaio, al Madison Square Garden di New York: in una finale a senso unico, l’americano sconfisse Ivan Lendl, numero uno al mondo. Nei mesi successivi, dopo aver battuto il rivale cecoslovacco anche nelle finali di Filadelfia e Bruxelles, McEnroe gli strappò pure il primo posto in classifica.

Lendl si prese la rivincita il 10 giugno al Roland Garros, infliggendo a McEnroe un dolorosissimo K.O. dopo 42 vittorie consecutive da inizio anno (un record solo avvicinato da Djokovic nel 2011, quando si fermò a 41). In vantaggio per due set a zero (6-3 6-2), lo statunitense crollò e si fece ribaltare da Lendl, che vinse così il suo primo Slam dopo quattro finali perse. Il major parigino, per McEnroe, resterà per sempre un tabù. «Una sconfitta devastante, la peggiore della mia vita», scrisse John nella sua autobiografia Serious. «A volte mi tiene ancora sveglio la notte. Mi viene male allo stomaco quando ripenso a quella partita, a quello che ho buttato via e a quanto sarebbe stata diversa la mia vita se avessi vinto».

Ebbene sì, anche ripensando a una stagione straordinaria, magica, capita che i grandi campioni si ricordino soprattutto delle rare sconfitte.

Re d’Inghilterra

Una settimana dopo l’amara finale del Roland Garros, John McEnroe iniziò la stagione sull’erba vincendo al Queen’s. A Wimbledon, dove era campione in carica, si presentò da favorito e non tradì le attese. Nell’ultimo atto del torneo distrusse Connors per 6-1, 6-1, 6-2, in quella che è ricordata come la miglior partita mai giocata da McEnroe. «Ma detto tra noi, quel giorno Jimmy era un po’ sottotono», scrisse John nella già citata autobiografia.

Dopo aver conquistato il suo terzo Wimbledon, McEnroe fece il suo dovere in Coppa Davis contro l’Argentina, poi, a metà agosto, conquistò l’Open di Toronto. La settimana successiva, a Cincinnati, perse al primo turno contro l’indiano Vijay Amritraj. Pare che lo avesse fatto intenzionalmente per potersi prendere una pausa prima degli US Open.

Al settimo cielo

A Flushig Meadows, «The Genius» firmò l’ennesimo capolavoro della sua stagione. Non perse neppure un set fino al penultimo atto, dove ritrovò Jimmy Connors in un epico «Super Saturday». La giornata si aprì con la prima semifinale maschile tra Ivan Lendl e Pat Cash: il cecoslovacco si impose al tie-break del quinto set. Seguì la finale femminile, vinta in tre set da Martina Navratilova su Chris Evert. Anche la successiva sfida tra McEnroe e Connors fu una battaglia. John ebbe la meglio al quinto set, alle 23.15, dopo 3 ore e 45 minuti di gioco. Poco più di sedici ore più tardi tornò in campo per strapazzare Lendl in finale (6-3, 6-4, 6-1), conquistando così il suo quarto US Open e il suo settimo Slam. Impossibile, in quel momento, immaginare che sarebbe stato l’ultimo.

Innamorato pazzo

A quel punto, il bilancio stagionale di McEnroe era di 66 vittorie e 2 sconfitte. Insaziabile, il 25.enne vinse anche l’Open di San Francisco e , in ottobre, quello di Stoccolma, dove si recò controvoglia avendo da poco conosciuto l’attrice Tatum O’Neal, che sposerà nel 1986. In Svezia, una delle sue sfuriate contro l’arbitro gli costò tre settimane di sospensione. Finita la squalifica, saltò gli Australian Open (all’epoca programmati a fine novembre) motivando la decisione con un infortunio e tornò in campo il 16 dicembre per la finale di Coppa Davis contro la Svezia. A Götheborg incassò la terza sconfitta dell’anno per mano di Henrik Sundstrom. La sua stagione finì lì. La magia pure.

Nel 1985, John conquistò altri 8 titoli, ma negli Slam raggiunse una sola finale, proprio agli US Open, perdendo con Lendl. Nel 1986 si prese quasi un anno sabbatico, diventò padre e rientrò a settembre per gli US Open, uscendo al primo turno. Tornò numero 4 al mondo nel 1989, ma non raggiunse più le vette del 1984. Quando la pallina sembrava più grande.

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