La visione

Milioni di stelle a Riad, «caput mundi» dello sport

In questi giorni l'Arabia Saudita ospita la Supercoppa spagnola, quella italiana e la super amichevole tra il PSG di Messi e l'Al-Nassr di Ronaldo – La strategia di Mohammed bin Salman per modernizzare l'immagine del Paese prosegue
© KEYSTONE (Photo by Alfredo Falcone/LaPresse/Sipa USA)
Massimo Solari
18.01.2023 06:00

Prima si alleneranno al Khalifa International Stadium di Doha, intitolato a Khalifa bin Hamad Al Thani, ex emiro del Qatar. Poi, domani, saranno di scena a Riad, al King Fadh International Stadium, dedicato al quinto re dell’Arabia Saudita. Come gli impianti che li ospiteranno in tournée, i giocatori del Paris Saint-Germain incarneranno così uno degli strumenti di politica estera privilegiati nel Golfo persico: lo sport. Inteso come leva. Ma anche come arma. Diplomatica, politica e – va da sé – economica. Già, nemmeno il tempo di far calare il sipario sui primi, controversi Mondiali della storia in un Paese arabo e, via, ecco un altro giro di giostra. A prendersi la scena, in questi giorni, è appunto l’Arabia Saudita, sede di tre grandi eventi calcistici: la Supercoppa spagnola con il Clásico disputato domenica e vinto dal Barcellona, quella italiana  (questa sera, con Inter-Milan) e l’amichevole fra il PSG e una selezione dei migliori interpreti dei due principali club locali: Al-Hilal e Al-Nassr. Messi e Mbappé contro Cristiano Ronaldo, per intenderci, con tutti i risvolti del caso in termini di visibilità globale. Costo dell’operazione? 10 milioni di euro ai parigini. E la precedente presenza dei vari Benzema, Modric, Lewandowski, Pedri, Giroud, Lautaro Martinez a mo’ di prezioso corollario.

La neve nel deserto

A suon di centinaia di milioni di dollari, la Saudi Vision 2030 promossa dal principe ereditario Mohammad bin Salman procede dunque spedita. Accelerando, addirittura. Un appuntamento sportivo dopo l’altro. Dal rally Dakar, al ciclismo, passando per la boxe, il golf, la F1 e, appunto, il pallone. Lo sguardo, tuttavia, mira al medio-termine e a una serie di colpi grossi. Già piazzati o da piazzare. Per dire: l’organizzazione dei Giochi asiatici del 2034 e, soprattutto, dei Giochi invernali asiatici del 2029 - grazie alla città futuristica denominata Neom - è stata ufficializzata negli scorsi mesi. Gli annunci più attesi, tuttavia, riguardano l’edizione 2030 del Mondiale e - si sussurra - le Olimpiadi estive del 2036. Il ministro dello Sport, il principe Abdulaziz bin Turki Al-Faisal, lo aveva d’altronde ammesso in un’intervista all’AFP: «Ospitare un’Olimpiade sarebbe l’obiettivo finale del regno». A tutti i costi. E, rimpinguato quanto si vuole, con il beneplacito di terzi. Ad assegnare i Giochi invernali del 2029 a uno stato desertico, ad esempio, è stato il Consiglio olimpico dell’Asia, così come Serie A e Liga hanno firmato volentieri - e potrebbero presto rinnovare - accordi pluriennali con Riad.

«Occhio alle divisioni»

Ma come è possibile? Perché, dopo gli scandali e le violazioni appurate nell’ambito di Qatar 2022, si persevera con partner di questa natura? Lo abbiamo chiesto a Kévin Veyssière, analista, scrittore e fondatore di Football Club Geopolitics, canale mediatico - tra i più seguiti in Europa - che analizza le sfide politiche, economiche e sociali del pianeta attraverso le lenti dello sport. «Al netto dei benefici economici, le assegnazioni di questi eventi non vengono messe in discussione perché nelle differenti governance e istanze sportive vi sono figure che a loro volta regnano incontrastate. Penso ad esempio a Gianni Infantino, una sorta di capo di Stato. Dopotutto parliamo del candidato unico per il rinnovo della presidenza FIFA, contestato più attraverso campagne di comunicazione che con atti concreti».

La riflessione – osserva Veyssière – è duplice. «Fintanto che non vi saranno riforme radicali alla testa delle organizzazioni in questione, determinate dinamiche rischiano di perdurare. Allo stesso tempo, però, bisogna evitare di dividere il mondo sulla base dei suoi principali eventi sportivi. Meglio entrare in una logica di discussione, non di appelli al boicottaggio. Quest’ultimo atteggiamento – e Qatar 2022 lo dimostra – può anche produrre effetti collaterali. Le recenti critiche al Mondiale sono giunte perlopiù dall’Occidente, e le culture non occidentali le hanno ritenute finanche arroganti e – uso un termine forte – figlie di un punto di vista neocolonialista. Perciò intensificare i rapporti di forza difficilmente porterà a qualcosa di positivo. L’apertura ai grandi appuntamenti sportivi, al contrario, alimenta il dibattito, la pressione internazionale anche, favorendo l’evoluzione, il progresso e la conoscenza dei Paesi ospitanti. Certo, serve tempo. Parliamo di realtà conservatrici». Il concetto di condivisione, ad ogni modo, non è sfuggito all’Arabia Saudita. «Lavorando a una candidatura congiunta per ospitare i Mondiali del 2030, Riad ha scongiurato qualsivoglia spaccatura. L’abbraccio a Egitto e Grecia – e dunque a Europa e Africa – è il suo biglietto da visita».

La filosofia della FIFA

Mancano sette anni. Sul biglietto da visita del presente, intanto, figura un altro volto. «Naturalmente – afferma Veyssière – la firma di Cristiano Ronaldo con l’Al-Nassr ha rafforzato la visibilità del regno. E ciò nonostante il club abbia tenuto a precisare come nel contratto non siano presenti vincoli che obbligano il portoghese a sponsorizzare l’Arabia Saudita in più ambiti, Mondiali del 2030 compresi. Detto ciò, lo sforzo finanziario intrapreso per portare CR7 nel campionato saudita – 200 milioni di euro di salario complessivo – risponde a evidenti esigenze politiche. Nell’ultimo decennio il Paese ha investito in modo massiccio nello sport, e in particolare nel calcio, per modernizzare la propria immagine. Nel dettaglio, e sfruttando il ricchissimo fondo d’investimento sovrano, si punta a trasformare il campionato nazionale nella realtà calcistica più prestigiosa dopo quella europea. E l’avvento di Ronaldo – un ambasciatore – dovrebbe favorire altre, simili operazioni».

Già, una narrazione che si affida alle emozioni positive generate da partite e grandi campioni, attraverso la quale guadagnare legittimità sullo scacchiere mondiale. Perché no, distogliendo l’attenzione da violazioni (il trattamento delle donne), crimini (l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi o l’intervento militare in Yemen) e, più in generale, un’impostazione interna ultraconservatrice. «Una narrazione – rammenta Veyssière – che sposa alla perfezione la nuova filosofia della FIFA, intenzionata a sviluppare il calcio laddove il potenziale è ancora importante. E penso in particolare all’area indo-cinese».

Se i risultati peseranno di più

A lungo dipendente dalle energie fossili indigene, l’Arabia Saudita punta a una diversificazione della propria economia. Una strategia, questa, resa per altro possibile dall’apertura al turismo, avvenuta solo nel 2019 e del quale Lionel Messi si è fatto portavoce. Così come dalla ripresa del dialogo e la fine dell’embargo con il rivale: il Qatar. Proprio la storia di successo di Doha, primo a sfruttare il soft power sportivo negli anni Ottanta, ha pungolato il re Al Saud e, soprattutto, il figlio Mohammed Bin Salman. «Da un atteggiamento timido, oscurato pure da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Oman, si è passati all’offensiva attuale. Che poggia su vettori positivi come lo sport, declinato in molte sue discipline. E che tramite l’accoglienza di grandi eventi è in grado di esporre in vetrina un territorio più importante e ricco culturalmente dei vicini. In questo modo Riad tenta di recuperare terreno nei confronti di chi, nel frattempo, ha messo le mani su Coppe del Mondo o club di primo piano come PSG e Manchester City». Il fondo sovrano saudita, dopo diversi tentativi andati a vuoto, si è dovuto «accontentare» del Newcastle. Ma a riprova del dualismo con il Qatar, non sorprende che la Premier – e si parla del Tottenham – sia finito nel radar di Nasser Al-Khelaifi, uomo forte di Doha e del PSG. «D’altronde - evidenzia Veyssière - la sfida fra questi attori passerà sempre di più dal risultato sportivo. Dal successo di grido, sì, che ancora manca se prendiamo la Champions League e vi aggiungiamo il flop del Qatar ai Mondiali di casa. L’Arabia Saudita, forte della vittoria sull’Argentina al debutto del torneo e – ora – dell’arrivo di profili come Ronaldo, cercherà da parte sua di dimostrare al pianeta di rispecchiare meglio dei rivali il concetto di “nazione sportiva”». Non solo.

«Quale unica candidata a ospitare i Giochi asiatici invernali del 2029, l’Arabia Saudita ha altresì voluto irrompere nel dibattito sui cambiamenti climatici e la durabilità dei grandi eventi» spiega il nostro interlocutore. Per poi precisare: «La megalopoli futuristica Neom, infatti, dovrebbe provare che l’alta tecnologia è in grado di battere la natura». Il futuro dello sport, rivoluzionario, opinabile. Destabilizzante. «Ma le ambizioni di Riad seguono una logica chiara, inevitabile, a maggior ragione dopo il Mondiale appena passato alla storia» indica Veyssière. «Malgrado le polemiche e la pressione, tanto forti e presenti in avvio, quanto flebili una volta entrati nel vivo, l’evento è riuscito al Qatar. Un Paese in origine desertico, senza una particolare tradizione sportiva e la cui estensione non è certo paragonabile all’Arabia Saudita, che rimane pur sempre il territorio di riferimento della regione». E, non a caso, si candida a diventare caput mundi dello sport. 

Da sapere

È la dodicesima volta che la Supercoppa italiana si gioca all’estero. Tutto ebbe inizio nel 1993, con Milan-Torino disputata a Washington. Poi la Libia nel 2002 (sotto il Governo Berlusconi), diverse edizioni tra Cina e Qatar, sino all’attuale accordo con l’Arabia Saudita, siglato nel 2018: tre finali in 5 anni, in cambio di circa 25 milioni di dollari. E dal 2024? Le negoziazioni fra le parti sono in fase avanzata. Per battere la concorrenza di Emirati Arabi Uniti e – seppur scartata subito – Ungheria, il ministero dello Sport saudita avrebbe messo sul tavolo 150 milioni di euro per le prossime quattro edizioni della manifestazione. Una decisione è attesa a breve. Ed è possibile un cambio della formula, in stile Supercoppa spagnola, con una final four che coinvolga le prime due classificate in Serie A e le due finaliste di Coppa Italia.