Mondiali femminili: si aprono le danze

«Il futuro è donna», esclamava il presidente della FIFA Gianni Infantino, quando il numero di biglietti venduti per le partite della Coppa del Mondo in Australia e Nuova Zelanda aveva oltrepassato il milione di unità, superando il risultato della precedente edizione di Francia 2019. «Sarà il più grande Mondiale della storia». Un entusiasmo spropositato, quello di Infantino, che ci siamo abituati a vedere prima di una qualsiasi competizione intercontinentale, ma che questa volta pare essere giustificato. Perché, se il calcio maschile continua ad esercitare un predominio incontrastabile, quantomeno sul piano economico, è innegabile che il movimento femminile abbia compiuto passi da gigante, e il Mondiale al via quest’oggi giunge come un festival a celebrare questa crescita.
Difficoltà in tv
Malgrado la grande fibrillazione in vista dello svolgimento del torneo, la FIFA è rimasta amareggiata per via dei guadagni derivanti dalla copertura televisiva. L’edizione del 2019 aveva attirato più di un miliardo di spettatori globali, il che l’aveva convinto a cambiare modus operandi e vendere separatamente i diritti della Coppa del Mondo femminile, mentre in passato venivano concessi – di fatto gratuitamente – alle emittenti che trasmettevano la competizione maschile. L’aspettativa era quella di generare un profitto di 300 milioni di dollari dalla vendita, ma stando a quanto riporta il Wall Street Journal, la cifra totale ha raggiunto «solamente» i 200 milioni. Le complicazioni maggiori sono state riscontrate nei grandi paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e Inghilterra), a causa delle basse offerte iniziali che avevano fatto infuriare Infantino. Il presidente della FIFA aveva minacciato di «oscurare» la competizione nelle nazioni interessate, manifestando il suo disappunto contro chi aveva offerto l’1% di quanto spende solitamente per garantire la copertura del Mondiale maschile. Oltre al minor appeal in termini assoluti, la questione più delicata per la trasmissione in Europa riguarda gli orari delle partite, che visto il fuso orario si giocheranno di notte o in prima mattinata. Forse la voce grossa di Infantino è comunque servita, perché a ridosso dell’inaugurazione del torneo è stato trovato un accordo con l’Unione Europea, anche se non alle cifre sperate.
Competizione in crescita
I compensi in ballo sono nettamente più alti rispetto al passato. Il montepremi destinato alla Nazionale trionfante è di 150 milioni di dollari, pari a dieci volte quello messo in palio nel 2015, e tre volte quello del 2019. Ogni calciatrice guadagnerà almeno 30 mila dollari, fino ad un massimo di 270 mila per le vincitrici. La strada intrapresa è quella della piena equità salariale fra uomini e donne, che la FIFA aspira a raggiungere per i Mondiali del 2026 e 2027. Un traguardo che sembra possibile grazie, almeno in parte, al continuo aumento della competizione anche fra le squadre nazionali, che contribuisce ad accrescere l’interesse verso il torneo. Se nelle ultime edizioni gli Stati Uniti si presentavano all’evento da favoriti indiscussi – e con mezza coppa già in tasca – quest’anno la loro egemonia pare non essere così incontrastata. Più di una nazionale sembra essere attrezzata per arrivare fino in fondo, su tutte l’Inghilterra, laureatasi campione d’Europa la scorsa estate, seguita dalla Spagna, che ha in rosa la vincitrice dell’ultimo Pallone d’Oro Alexia Putellas. Il complesso iberico si colloca fra le prime caselle nella griglia di partenza malgrado non possa contare su quindici delle sue calciatrici, protagoniste di un ammutinamento di massa a causa di forti frizioni con il CT Jorge Vilda. Partendo indietro, la Germania punta alla sua terza consacrazione, che la porterebbe ad un solo titolo dalle statunitensi, mentre l’Australia, da padrona di casa, si affida sulla sua leader Samantha Kerr, vera giocatrice immagine di questo torneo.
Il girone delle rossocrociate
La Svizzera esordirà domani contro le Filippine, quando in Nuova Zelanda saranno le 17, mentre alle nostre latitudini le 7 del mattino. Per le ragazze di Inka Grings l’obiettivo è quello di strappare un pass per la fase finale del torneo, navigando quantomeno fino alla boa raggiunta nel 2015 – nella prima ed unica partecipazione ad un Mondiale – quando la Nazionale si era spinta fino agli ottavi di finale. Uno scenario che sarebbe tutt’altro che utopico, visto che il girone, almeno sulla carta, pare essere alla portata. Parte avanti la Norvegia – campione del mondo nel ’95 – che vanta nel suo organico calciatrici di qualità assoluta, come l’ex Pallone d’Oro Ada Hegerberg, attaccante del Lione. In panchina siede Heege Riise, l’unica che può puntare ad essere la prima vincitrice del Mondiale da giocatrice e allenatrice. Le nordiche sembrano un ostacolo difficile da aggirare per la Svizzera, che però ha tutte le carte in regola per giocarsela con le altre due avversarie. La Nuova Zelanda aspira a fare bella figura in quanto paese ospitante, ma la sua rosa è poco attrezzata per competere ad alti livelli. Più che per il risultato, le neozelandesi tengono a questo Mondiale perché rappresenta una preziosa occasione per sviluppare un movimento calcistico nazionale che è ancora in nuce. Lo testimonia lo scarso interesse iniziale riscosso dal torneo, che ha condotto la FIFA ad offrire gratuitamente 20 mila biglietti per assistere alle partite in Nuova Zelanda, nella speranza che gli stadi non si riempissero unicamente in Australia. Ultima nella gerarchia del girone è la nazionale delle Filippine, che ha conquistato la sua prima partecipazione al torneo grazie anche all’allargamento delle squadre presenti, aumentate da 24 a 32 rispetto alle precedenti edizioni. Nessuna delle calciatrici asiatiche proviene dalle migliori leghe europee o da quella statunitense, il che è un indicatore del valore modesto della rappresentativa. Tuttavia, reduci dal più importante risultato della loro storia – la semifinale raggiunta lo scorso anno in Coppa d’Asia – le Filippine proveranno da «underdog» a sconvolgere le previsioni.