«L’elisir d’amore americano? Netflix e i giovani piloti»

Cappello da cowboy, stivali e giacche con le frange. Esatto, siamo a Austin. Per la gioia di milioni di americani. La Formula 1 si addentra nel weekend texano con una McLaren fresca di back-to-back nel Mondiale costruttori e due (o forse tre?) pretendenti al trono ancora in apertissima lotta. Mancano appena sei gare, poi saluteremo il campionato aspettando con ansia quello completamente rinnovato del 2026. Musica del futuro. Prima c’è una battaglia tutta da gustare tra Oscar Piastri e Lando Norris. Compagni di scuderia su cui la squadra di Woking ha deciso di puntare equamente. «Una decisione che, francamente, ritengo sensata - ci spiega il commentatore tecnico di Sky Matteo Bobbi -. È vero che scegliere un primo pilota può aiutare, ma nel caso della McLaren non ce n’è stato bisogno. La loro monoposto è estremamente dominante. Nel corso dell’anno non hanno avuto veri rivali. Questo ha permesso al team di dare fiducia sia a Piastri sia a Norris. E perché no? Hanno grandissimo talento. Hanno commesso degli errori, certo, ma si sono comportati molto bene. Ora che il Mondiale costruttori - l’unico risultato che davvero conta per un team - è già in tasca, avrebbe ancora meno senso scegliere di puntare su uno solo dei due. Che a vincere sia Oscar o Lando, alla McLaren cambia nulla. Solo se Verstappen dovesse ridurre il distacco a meno di 40 punti si potrebbe ipotizzare una strategia diversa. Ma finché resta a 63 lunghezze ogni discussione è priva di logica. Anzi, cambiare tattica ora sarebbe controproducente. Si rischierebbe di creare frustrazione in uno dei due piloti, che continueranno entrambi a correre in McLaren anche in futuro».
Il solito cruccio Red Bull
Ecco, appunto, Max Verstappen. C’è chi si è già lanciato in incredibili scommesse su una sua clamorosa vittoria anche quest’anno. Matteo Bobbi ci crede? «No, io di soldi non ne punterei (sorride, ndr). Secondo me, in uno scenario normale, non ce la può fare. Poi, certo, lo sappiamo, in Formula 1 può sempre succedere di tutto. Magari a Austin le due McLaren si toccano, si distruggono e Max torna improvvisamente in corsa. Ma se restiamo in un contesto normale, è davvero difficilissimo che riesca nel colpaccio».
L’olandese potrà riprovarci tra qualche mese, nell’anno dei grandi cambiamenti, al fianco di… e chi lo sa? Al momento, infatti, gli unici sedili ancora sconosciuti nella griglia di partenza del 2026 - oltre al compagno di Gasly in Alpine - sono proprio il duo della Racing Bulls e il collega di Verstappen. In passato sono stati molti i talenti affiancati a Max. E tutti hanno fatto una brutta fine, sfigurando al cospetto del quattro volte campione del mondo. «E anche stavolta la scelta non sarà affatto facile - osserva Bobbi -. Il nome più quotato nel vivaio Red Bull è sicuramente quello di Isack Hadjar. Ma individuare il profilo giusto non sarà evidente, proprio perché Max ha bruciato tutti i suoi colleghi. Questo è diventato un serio problema per il team. Se guardiamo ai punti raccolti dalla Red Bull in questa stagione, ci accorgiamo che - tolta una ventina - sono stati tutti firmati da Verstappen. Una cosa assurda. È una tendenza che ormai diamo quasi per scontata, perché si è trasformata in una sorta di normalità. Ma se ci si ferma a riflettere, è davvero incredibile».
18 anni di fatiche
La Ferrari, una scelta di peso, l’ha invece fatta l’anno scorso, quando ha spiazzato tutti con l’annuncio di Sir Lewis Hamilton in rosso. Una decisione che poi, marketing a parte, non ha pagato. Sempre l’ex campione del mondo GT: «Fino a metà stagione, direi di no. Poi qualcosa è cambiato e l’inglese ha cominciato a performare al livello di Leclerc. Ci si aspettava di più da lui? Sicuramente. Ma, al momento, a Maranello ci sono problemi ben più gravi rispetto a quello dei piloti. Serve un team e, soprattutto, una macchina che mettano davvero gli atleti in condizione di lottare tra loro. Non mi sento di puntare il dito nemmeno contro Vasseur, che sta fallendo esattamente come hanno fatto i suoi predecessori. Perché la verità è che la Ferrari non vince da 18 anni. In tutto questo tempo sono passati team principal come Arrivabene, Binotto, Vasseur e piloti dal calibro di Alonso, Vettel e Hamilton, ma nessuno è riuscito a riportare il Cavallino al successo. I problemi, dunque, sono molto più profondi e vanno ricercati nel sistema e nella metodologia di lavoro».
E allora ben venga un 2026 in cui tutto riparte da zero. «Sì, diciamo che sarà un’opportunità. Ma anche nel 2022 c’era la possibilità di cavalcare l’onda dei cambiamenti e nulla è successo. Se sul foglio bianco si riscriverà come si è fatto negli anni passati allora anche stavolta non accadrà nulla».
Un grafico in costante crescita
Torniamo a Austin e a quell’America che da qualche anno ha perso la testa per la F1. Netflix, con il suo Drive to survive ci ha visto lungo. «Il documentario ha sicuramente avuto un impatto importante, perché ha suscitato l’interesse per questo sport in una fascia d’età che era distante dal motorsport. A questo, però, va aggiunto anche il ringiovanimento della griglia. Oggi i piloti comunicano e si relazionano con i più giovani in un modo a loro molto familiare. Mi riferisco al loro uso dei social e alla maniera in cui si raccontano. Riescono così a catturare l’attenzione di milioni e milioni di persone. In aggiunta Netflix ha aperto le porte a un continente che, storicamente, aveva meno cultura motoristica. E poi non dimentichiamoci che l’America è una potenza economica enorme. È anche per questo che la F1 e Liberty Media - in quanto azienda e per giunta statunitense - hanno voluto entrare in un mercato così florido. Vedremo cosa succederà in futuro, ma non penso che i tre Gran Premi attualmente in calendario su suolo a stelle e strisce aumenteranno ulteriormente. Di certo l’innamoramento che vedo è reale e sentito. L’hype è altissimo. Lo notiamo anche noi dai numeri di Sky che da undici anni sono in costante crescita. Non ci resta che sperare che in pista si vedano duelli all’altezza di tutto questo entusiasmo. Perché alla fine lo sport è bello quando c’è vera lotta», chiosa Matteo Bobbi.