Automobilismo

«Nel DNA avevo palloni e dischi ma io ho optato per i motori»

Da poco terminata la stagione 2022, conclusasi con la vittoria alle 12 Ore del Golfo, abbiamo fatto quattro chiacchiere con il pilota ticinese Alex Fontana
Il team Centri Porsche Ticino vincente alla 12 Ore del Golfo: da sinistra Alex Fontana, lo statunitense Hash e Ivan Jacoma.
Maddalena Buila
21.12.2022 06:00

Pochi giorni fa si è aggiudicato la 12 Ore del Golfo, ultimo trofeo aggiunto al suo palmarès. Oltre a gareggiare, Alex Fontana si diletta anche nel mondo della telecronaca e in quello del coaching. A fine stagione 2022 abbiamo fatto quattro chiacchiere con il pilota ticinese.

Alex Fontana, la disturbiamo durante le sue vacanze?

«Diciamo che dopo la 12 Ore del Golfo, andata in scena qualche giorno fa, è ufficialmente iniziato il periodo invernale senza corse».

Un bilancio di questa stagione?

«La definirei una annata positiva e di scoperta. Prima dell’arrivo della COVID-19 guidavo tanto in Asia. Poi mi sono dovuto reinventare, tornando a gareggiare in Europa. Quest’anno tutto è nuovamente cambiato. Per la prima volta mi sono affiancato a Centri Porsche Ticino. È stato molto bello vivere l’automobilismo vicino a casa».

Quali sono stati i successi più belli di questo 2022?

«La vittoria di Imola e i podi di Barcellona in GT4 europeo. E poi sicuramente il recente successo di Abu Dhabi. Non tanto per una questione personale, piuttosto per la composizione del mio equipaggio. Con me ha infatti vinto, oltre a Ivan Jacoma che conosco ovviamente molto bene, l’americano Hash. Un pilota che abita a Lugano, che ho seguito sin dagli inizi della sua carriera non professionistica».

Ha dunque fatto da coach a questo ragazzo? Un’attività che svolge regolarmente?

«In passato mi ero già cimentato con il coaching, ma in forma privata. Nel caso di Hash, ero invece un istruttore fuori e dentro la vettura, facente parte del suo stesso equipaggio. Ho avuto modo di lavorare con lui anche durante le Alex Fontana Race Performance Academy. Un’attività che permette di provare le nostre vetture Cayman una o due volte al mese. Un progetto che abbiamo lanciato con successo proprio quest’anno. Non solo per i piloti, ma per chiunque voglia avvicinarsi al nostro mondo».

E lei invece come è entrato a contatto con i motori?

«Grazie a mio papà Raoul. Anche se la faccenda è curiosa. Sempre lui era infatti anche un grande appassionato di hockey. Mio zio Ruben giocò anche nel Lugano e nello Zugo. Mio nonno, invece, fondò addirittura il FC Rapid Lugano, club calcistico. Potevo benissimo optare per uno dei due sport più seguiti in Ticino. Ma non andò così. Tutto è nato sull’isola di Rodi, dove passavamo le vacanze quando ero piccolo, dato che mia mamma è greca. Mio papà, probabilmente stanco di passare il tempo in spiaggia (ride, ndr), un giorno scoprì una pista sabbiosa di kart a noleggio. Ci passò moltissimo tempo, portandoci gli amici. È lì che ho fatto i miei primi giri in kart. È lì che è scoccata la scintilla».

Qual è il ricordo più prezioso e intenso che serba della sua carriera automobilistica? Forse il test drive con la Lotus in F1 sul circuito Paul Richard?

«Innanzitutto devo fare una premessa. Se sono riuscito a raggiungere determinati traguardi è solo grazie a mio papà, la mia famiglia e i miei amici. E con loro siamo sempre riusciti a restare con i piedi per terra. Senza mai porci obiettivi troppo alti, ma apprezzando i frutti del nostro duro lavoro. Detto questo, certo, l’esperienza in F1 è stata qualcosa di incredibile. Non tanto per la velocità, come si potrebbe pensare, piuttosto per la sensazione di essere al volante dell’auto più potente al mondo. Quando curvi, e ti senti schiacciare contro il sedile, capisci quanto queste vetture siano eccezionali. Niente ti può preparare a un’esperienza simile, nemmeno anni in F2 o F3. Anche il mondo del Gran Turismo - dove gareggio ora - è però altresì bello, per altri aspetti. Per esempio la vita nel paddock: è tranquilla e aperta nei confronti dei tifosi, come accadeva negli anni ’70 o ’80».

Oltre a pilota e coach, lei è anche collaboratore della RSI in qualità di commentatore televisivo durante le gare di Formula Uno. Com’è stare dall’altra parte?

«Particolare. Quando si parla, normalmente si fanno diverse pause e si riflette su ciò che si vuole dire. In diretta televisiva non è così. In tempo reale bisogna riuscire a esprimersi rapidamente e correttamente. Ma è qualcosa che mi piace molto. Se non commentassi le gare le guarderei comunque, dunque se posso fondere le due cose, portando le mie conoscenze a chi ci segue da casa, non posso che esserne felice».

Ha delle passioni al di fuori dell’automobilismo?

«Mi piace provare un po’ di tutto. Regolarmente, però, mi dedico alla fotografia. Amo anche la musica e viaggiare, dato che spesso quando giriamo il mondo per gareggiare non abbiamo il tempo per visitare granché».

Ha ancora qualche sogno nel cassetto?

«Mi piacerebbe migliorarmi ancora e magari poter partecipare alla 24 Ore di Le Mans o a quella di Daytona, in un mondo, quello americano, che non ho purtroppo finora avuto il tempo di scoprire».