Noè Ponti: «A 12 anni dissi a mamma e papà che mi avrebbero visto a Tokyo»

Noè Ponti è in Giappone già da qualche giorno insieme alla squadra svizzera di nuoto. Si trova a Fuji, vicino al celebre monte. «Che però non si vede mai», racconta il ventenne del Gambarogno. Lunedì raggiungerà il villaggio olimpico di Tokyo, dove il sogno dei Giochi diventerà realtà.
Noè, come sta andando la fase di ambientamento in Giappone?
«Bene, negli ultimi giorni è finalmente uscito un po’ di sole. Stiamo ultimando la preparazione e sistemando i dettagli, con un’intensità di allenamento non troppo elevata. Il grosso del lavoro è stato fatto, ora si tratta di arrivare alle gare nella miglior forma possibile. Il mio esordio è in programma il 25 luglio con la staffetta 4x100 stile libero, poi affronterò le mie due prove individuali, 200 e 100 delfino, per chiudere con la 4x200».
Hai cominciato con il nuoto competitivo all’età di 6 anni, a Locarno. Ma quando hai iniziato ad immaginarti in gara alle Olimpiadi?
«Il sogno l’ho avuto sin da piccolino. Crescendo, ho continuato ad alimentarlo. Ricordo un giorno in particolare, il 2 agosto 2012, quando i miei genitori mi portarono a Londra per assistere alle gare di nuoto delle Olimpiadi. Il 13 settembre 2013, quando i Giochi del 2020 vennero assegnati a Tokyo, dissi a mamma e papà che mi avrebbero visto gareggiare in Giappone. Dal 2019, il sogno è diventato un obiettivo, concretizzatosi nel dicembre del 2020 a Rotterdam, dove ho ottenuto la qualificazione».
Raccontaci l’esperienza di Londra 2012 da giovane spettatore.
«Avevo 11 anni, le immagini non sono limpidissime, ma ricordo dei momenti emozionanti e anche qualche aneddoto curioso. La finale dei 200 misti fu stupenda, con Phelps vincitore davanti a Lochte. Nei 200 rana Rebecca Soni stabilì un nuovo record del mondo. Il London Aquatics Center era gigantesco. Noi avevamo i biglietti per i posti in cima, tipo terzo anello a San Siro. Costavano meno. Da lassù gli atleti sembravano formichine, ma il problema era un altro: io e mia mamma, infatti, soffriamo di vertigini. Soprattutto lei non se la sentiva di salire sulle altissime scale esterne. Ci rivolgemmo all’Infopoint e per un colpo di fortuna saltarono fuori dei posti a metà tribuna, lasciati liberi da uno sponsor».

Hai nominato Michael Phelps. Cosa ha rappresentato per te?
«Un idolo e un’ispirazione, anche se non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo. È il simbolo del nuoto, il più forte di tutti i tempi. Saranno i primi Giochi del dopo-Phelps, ma i campioni non mancheranno. Lui si è ritirato al momento giusto, lasciando spazio a una nuova generazione di fenomeni».
Sei 11. nella classifica stagionale sui 100 delfino (51’’15) e 9. nella classifica mondiale dell’anno sui 200 (1’55’’18). Le tue ambizioni si basano su questi dati?
«I ranking mi fanno capire che a Tokyo ci sono le possibilità per fare bene. Ma i tempi sono vicini, siamo tutti in un fazzoletto. Sono convinto di poter migliorare ancora, ma sarà pur sempre la mia prima Olimpiade e dovrò gestire la tensione. Devo salire sul blocchetto e fare ciò di cui sono capace. Tornando agli obiettivi, beh, mi piacerebbe entrare in una semifinale. Solo a quel punto inizierei a fantasticare la finale. È quasi tutto fattibile, ma resto con i piedi per terra. La concorrenza è tantissima, lo spostamento dei Giochi al 2021 ha allargato ulteriormente il bacino dei pretendenti. Insomma, per due decimi potrei arrivare in finale o rimanere fuori dalla semi. Voglio crederci, ma senza sottovalutare nessuno».
Il fatto di rompere il ghiaccio con la 4x100 potrebbe aiutarti a sciogliere l’inevitabile tensione?
«È un aspetto positivo, sì. Mi era già successo agli Europei. Con la staffetta non avverto pressioni, in teoria siamo meno competitivi e abbiamo poco da perdere. Sarà un’occasione interessante per testare la mia forma, anche se i 100 metri stile libero non sono la mia vera specialità».

La piscina è tradizionalmente il cuore pulsante della prima settimana al Parco Olimpico. L’assenza di spettatori avrà un impatto sulle prestazioni?
«No, non credo. Agli Europei il pubblico non c’era, ma si sono viste ottime performance. Una volta che sei in acqua, concentrato sulla tua gara, non ti accorgi di cosa succede intorno. Ti isoli. Sarà un peccato non avere spettatori, ma solo per una questione di atmosfera».
Tra marzo e aprile 2020, in pieno lockdown, sei stato addirittura due mesi senza mai entrare in acqua. Che periodo è stato?
«Per certi versi me lo sono goduto. Non ho mai avuto così tanto tempo libero. Seguivo le lezioni del liceo a distanza, sì, ma non erano impegnative. Praticamente sono stati due mesi di vacanza, una cosa che non avevo più sperimentato dai 6-7 anni di età. È stato tempo prezioso per riflettere, ricaricare le batterie e stare con la mia famiglia. Ricominciare con il nuoto in maggio è stato complicato, ma dopo la ripresa delle gare in settembre è andata sempre meglio».
Dopo le Olimpiadi ti aspetta un’altra nuova avventura...
«Sì, nella seconda metà di agosto mi trasferirò negli USA, alla North Carolina State University, per nuotare e studiare economia. In America è più facile conciliare l’università e lo sport d’alto livello. Il bachelor durerà 4 anni invece di 3 ed è tutto programmato per potersi gestire al meglio tra allenamenti, lezioni, studio a casa e tempo libero. In Svizzera sarebbe stato molto più complicato. Per dire: un mio compagno di nazionale, un vero genio nello studio, ha suddiviso il suo bachelor su 6 anni. Io ho discusso anche con l’USI: erano disposti a venirmi incontro, ma avrei dovuto sdoppiare almeno il primo anno per le mie esigenze sportive, per poi rischiare di finire il bachelor in 5 o 6 anni. Negli USA avrò una borsa di studio, sarò spesato. L’unico rammarico è dover lasciare i miei attuali allenatori, con i quali stavo svolgendo un ottimo lavoro. Ma sono convinto che mi saprò adattare alla nuova realtà. E poi chissà, magari negli USA incontrerò Michael Phelps».