Automobilismo

«Nonostante sia ostico, è il mondo fatto per me»

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marco Mapelli, pilota italiano, residente a Lugano, della Lamborghini
Marco Mapelli fa parte della squadra Lamborghini dal 2017.
Maddalena Buila
31.12.2022 06:00

È nato il 1. agosto del 1987, a Seregno. Dal 2016 vive però in Ticino. Un luogo che gli permette di staccare la spina quando gli impegni dietro al volante diventano stancanti. Marco Mapelli ci racconta la sua storia, fatta di tanti cambiamenti e sacrifici, per poter diventare un pilota professionista.

Marco Mapelli, rompiamo il ghiaccio dando un’occhiata alla sua data di nascita, che corrisponde alla festa nazionale svizzera. Pare fosse destino che si legasse al territorio elvetico...

«Sembra proprio di sì (ride, ndr). Mi sono trasferito in Ticino nel 2016. E devo dire che mi trovo benissimo. Vivere lontano da casa non è sempre facile. Quando arrivo a Lugano e vedo il lago mi rilasso. Qui riesco a staccare la spina, riposarmi e stare bene. Non avrei mai pensavo si potesse vivere così bene a Lugano».

Il prologo del libro sulla sua carriera narra di un primo contatto con i motori piuttosto fuori dal comune. Il suo albero genealogico non presenta infatti piloti...

«Diciamo che nella mia famiglia non c’è mai stata particolare passione per le corse. Tutto è nato da me. Senza alcun tipo di spinta mi sono innamorato del mondo dei motori. A 6 anni mi ci sono immerso come per gioco. E così è rimasto fino a quando non ho preso la decisione di correre più seriamente. Ho sempre avuto la fortuna di avere al mio fianco qualcuno che mi desse una mano. L’automobilismo è infatti una realtà estremamente costosa, uno degli sport più cari».

Quando ha deciso di approcciarsi a questa disciplina in modo «serio»?

«Intorno ai 12 anni, girando per l’Europa. Ho avuto la fortuna di entrare presto in una squadra, ovvero la Birel di Lissone, costruttrice di go-kart. Sono rimasto in questo ambito fino al 2004, poi ho provato a cercare di lanciarmi nel mondo delle corse in macchina, ben sapendo fosse una scelta che avrebbe comportato una ricerca ancor più importante di risorse economiche. Da questo punto di vista ho sempre fatto fatica. È stata la problematica più grande che ho riscontrato dopo il mio periodo in go-kart. Ecco perché ho cambiato team spesso, non avendo grandi disponibilità finanziarie ho dovuto adattarmi, correndo là dove mi veniva offerta una chance».

Una carriera, come ha appena ricordato, costellata di cambiamenti. Da quali squadre è passato e quali risultati ha raggiunto con loro?

«Nel 2005 sono arrivato quarto nel campionato italiano, con la Renault. Nel 2006 non ho trovato sponsor, quindi ho corso poco. Nello stesso anno, però, ho avuto la fortuna di fare un test in F3 inglese, all’epoca una categoria piuttosto rilevante. In quell’occasione, oltre ad essere riuscito a mettermi in mostra positivamente, feci anche amicizia con un ingegnere australiano. Dato che non avevo sponsor per la F3 - ci voleva circa un milione di Euro per correre - decisi di accettare la sua offerta: gareggiare nella F3 australiana. Nel 2007 era dunque impegnato in questo campionato, che andò discretamente. Feci tantissimi errori (ride, ndr), ma vinsi anche due gare. Sarei rimasto un ulteriore anno, ma il progetto non andò in porto, dunque tornai a casa. Fino a marzo 2008 rimasi a piedi, finché uno dei miei sponsor, legato alla scuderia di Maranello, mi trovò un posto nel campionato Ferrari Challenge. Dalle monoposto sono dunque passato a correre a ruote coperte».

Hülkenberg e Vettel mi hanno soffiato il campionato italiano e europeo, ma, con il senno di poi, va bene così
Marco Mapelli, pilota Lamborghini

E come ha vissuto questo cambio di categoria?

«Era sicuramente uno step indietro, ma era l’unica alternativa se non volevo smettere di gareggiare. Chiusi la stagione al terzo posto, secondo l’anno dopo. Scoprì che entrando nel mondo del GT c’era più possibilità di correre senza dover spendere troppi soldi. Così, nel 2010, optai per il campionato italiano GT, vincendolo in coppia con il mio compagno di squadra. Nel 2011 cambiai ancora, perché trovai la possibilità di correre in Porsche Super Cup con un team di Como. Chiusi secondo, riuscendo a mettermi in luce. Dal 2013 iniziai a mettere via qualche soldo, potendo prefissarmi un obiettivo tutto mio da perseguire. A fine anno ricevetti una proposta da Audi Italia per correre con loro nel campionato italiano GT e facendo al contempo altre gare in giro per il mondo. Ricevetti il primo contratto come pilota professionista. Corsi per loro fino al 2016, poi Lamborghini si interessò a me. Dal 2017 diventai loro pilota ufficiale. Ruolo che ricopro ancora tutt’ora. Mi concentro soprattutto sulle gare, ma Lamborghini ha anche tutto un settore dedicato alle vetture stradali, dove collaboro per lo sviluppo degli pneumatici».

Guardandosi indietro, riuscirebbe a scegliere il periodo più bello della sua carriera?

«Non mi guarderei alle spalle, perché sceglierei quello in cui mi trovo. Da quando sono entrato nel mondo Lamborghini sento di far parte di un progetto e di poter dire la mia a più livelli. Sia per le gare, sia per le macchine stradali. Questa è una grande soddisfazione. Mi sento realizzato. Dal 2017 in poi, insieme al compagno Andrea Caldarelli, abbiamo vinto tanto. Nel 2021 abbiamo persino centrato il record di pole position nel GT europeo».

Al netto delle difficoltà, non ha mai pensato di fare altro?

«Io, ridendo, dico sempre che sono capace di fare solo questo (sorride, ndr). Faccio fatica a pensare a un’attività che non sia guidare le macchine. Chiaramente crescendo ho qualche volta riflettuto se non fosse il caso di direzionarmi verso altri settori, ma, in generale, non ho mai avuto dubbi che questo fosse il lavoro per me».

Un momento della sua carriera che ricorda con piacere?

«Nel 2001 ho perso il campionato italiano di go-kart, lo vinse un certo Nico Hülkenberg. Nello stesso anno centrai un altro secondo posto nel campionato europeo, che si aggiudicò Sebastian Vettel. Diciamo che, è vero, mi sfuggirono per poco questi due successi, ma cedetti solo davanti a due mostri di questo sport (sorride, ndr)».