Calcio e politica

Prima il Mondiale a sei, ora l'Euro fra Italia e Turchia: «Chiamiamole spartizioni»

Dopo la FIFA, con l'edizione del 2030 in tre continenti e quella del 2034 sospinta verso l’Arabia Saudita, ecco il compromesso della UEFA per la competizione del 2032 - Lorenzo Longhi: «C’è un problema di serietà, dove sono finiti iter e requisiti?»
© KEYSTONE / JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Massimo Solari
10.10.2023 23:45

Nessun sussulto. Men che meno brividi lungo la schiena. Solo sguardi complici e pacche sulle spalle. No, l’assegnazione degli Europei del 2028 e del 2032 non verrà ricordata per il suo esito incerto o la vittoria a sorpresa del candidato meno accreditato. Tutto come da copione: il Comitato esecutivo della UEFA, oggi, ha designato Regno Unito e Irlanda per il primo appuntamento, consegnando l’edizione successiva al tandem inedito formato da Italia e Turchia. In corsa, per l’appunto, c’erano solo questi dossier. «E la modalità di queste scelte deve fare riflettere, anche in prospettiva».

La competizione cambia scala

La premessa è del giornalista Lorenzo Longhi, attento osservatore degli aspetti politici dello sport e collaboratore dell’Enciclopedia Treccani. Se dal punto di vista logistico, infrastrutturale e reputazionale, l’attribuzione per il 2028 non sorprende minimamente, a suo avviso il matrimonio fra Roma e Ankara merita qualche riflettore in più.

«La Turchia - ricorda Longhi - ci provava dal 2008. E pure a questo giro si era presentata in solitaria per le due edizioni in lizza. Scontrarsi con l’Italia, tuttavia, avrebbe fatto sorgere un problema non indifferente. Le federazioni calcistiche di entrambi i Paesi hanno buoni rapporti con il presidente dell’UEFA Aleksander Ceferin. Gabriele Gravina, innanzitutto, è suo vice. Ma non solo: come dimostrato nel quadro della controversia sulla Superlega, l’Italia è una fedele alleata di Nyon. Sull’altro fronte, val la pena ricordare la collaborazione con Istanbul per l’organizzazione dell’ultima finale di Champions, dopo quelle annullate nel 2020 e 2021. Uno degli sponsor più pesanti in casa UEFA, poi, è la Turkish Airlines, subentrata alla russa Gazprom a seguito del conflitto in Ucraina». Di qui la delicatezza di un’eventuale preferenza. «Che avrebbe costituito una sorta di tradimento ai danni di un alleato elettoralmente rilevante» sottolinea Longhi, che è pure co-fondatore del portale di approfondimento «The SpoRt Light». Tutto molto congeniale, insomma.

«Peccato che vi sia un chiaro problema di serietà» osserva il nostro interlocutore. Per poi spiegarsi: «Se per le recenti assegnazioni, 2028 compresa, è stato seguito un preciso iter, con tanto di requisiti da ossequiare nei dossier di candidatura, qui ogni formalità è venuta meno. Tant’è vero che la selezione definitiva delle città e degli stadi ospitanti l’Europeo del 2032 sarà finalizzata in un secondo momento». Già, i cinque impianti italiani (come i cinque turchi) verranno decisi fra dieci opzioni: San Siro (Milano), Olimpico (Roma), San Nicola (Bari, da rinnovare), Diego Armando Maradona (Napoli, da rinnovare), Artemio Franchi (Firenze, nuovo), Juventus Stadium (Torino), Luigi Ferraris (Genoa, da rinnovare), Bentegodi (Verona, da rinnovare), Dall’Ara (Bologna, nuovo) e Sant’Elia (Cagliari, nuovo). Per certi versi, dunque, il concetto di concorrenza ha cambiato scala: non più fra Paesi pronti a ospitare l’evento, ma all’interno degli stessi Paesi. «Qualcuno rimarrà deluso. E questa sarà una grana sia per la FIGC, sia per il Governo, chiamato ad allestire un circuito per il finanziamento delle opere di rifacimento» rileva Longhi in merito.

Itatürk: «E allora vale tutto»

«Alla base del groviglio, ripeto, c’è un cambiamento in corsa delle regole» prosegue Longhi, che per la candidatura congiunta del 2032 ha coniato il termine Itatürk: «Va bene a Nyon? D’accordo. Ma allora per le edizioni dal 2036 in avanti varrà tutto. Agendo in questo modo, infatti, si è creato un precedente. Evidentemente, in un momento non facile per la UEFA e il suo condottiero, il compromesso trovato ha permesso di blindare il sostegno di due partner».

Il che non sembra scostarsi molto da quanto appena architettato dalla FIFA. Da un lato un Mondiale - quello del 2030 - spalmato su tre continenti (Europa, Africa, Sudamerica) e accordato a ben sei federazioni (Spagna, Portogallo, Marocco, Argentina, Uruguay, Paraguay). Dall’altro - rispolverando ad arte il sistema di rotazione fra confederazioni - il torneo del 2034 è stato sospinto in Asia; più precisamente verso l’Arabia Saudita. «Come per l’Europeo del 2032, oramai, è più giusto parlare di spartizione che di assegnazione» afferma al proposito Longhi. Oltre che un ecomostro sportivo, il gigantismo infantiniano ha prodotto «un mucchio selvaggio all’apparenza senza senso» indica l’esperto: «Ma ha senso proprio per Gianni Infantino e la necessità di garantirsi un futuro. Come? Cercando di non scontentare nessuno e sfruttando l’argine rotto da Qatar 2022». Pur guardandosi in cagnesco, Infantino e Ceferin sembrano dunque figure sovrapponibili. «Si trovano nel cuore dei rispettivi regni. E con mosse paragonabili vogliono consolidare il proprio dominio».

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