Pallacanestro e infrastrutture

Quando a Lugano il mondo era un pallone a spicchi

Alla ricerca della palestra mai avuta - Dalla terra battuta al parquet, dai campi all’aperto ai palazzetti polifunzionali: con Alessandro Cedraschi ripercorriamo la storia del basket luganese
Il primo campionato ticinese si è svolto nel 1942. A Cassarate si gioca ancora. ©CDT/Gabriele Putzu
Marco Ortelli
23.02.2021 06:00

Un tempo, a Lugano, c’erano entusiasmo, passione e poche strutture. Domani, l’eventuale realizzazione del Polo Sportivo a Cornaredo potrebbe far nascere un nuovo entusiasmo in città? Giriamo la domanda ad Alessandro Cedraschi, ex giocatore di pallacanestro negli anni del ‘boom’ e oggi dirigente sportivo. «Questo non lo so dire. Sono però convinto che si debba guardare avanti, non si fanno le cose solo per il presente. Forse è proprio questo il momento di cambiare davvero qualcosa per gli sport di sala in generale. Non è ammissibile che Friborgo, Ginevra, Bienne o Losanna ci bagnino il naso. In Ticino, hockey a parte, a livello di infrastrutture sembra di essere ancora ai livelli delle galline che si aggirano per l’aia. Bisognerebbe davvero far sì che Cantone, Comuni e privati si uniscano per realizzare un’opera che disegnerebbe il futuro sportivo dei nostri ragazzi».

Dai campi all’aperto alle palestre. Dallo sterrato al parquet. Da palloni di cuoio pesanti come medicinali e giocatori che erano più dei ginnasti, a sportivi dal fisico possente e su scarpe leggere come piume. Dalle palestre stipate di gente degli anni Settanta al presente: «In cinquant’anni è cambiato il mondo e siamo cambiati noi» osserva Cedraschi, che nell’arco della sua esistenza, a Lugano e in Ticino, ha vissuto le trasformazioni sportive, strutturali ed emozionali della pallacanestro.

Dalla terra al parquet?

L’ex numero 8 della Federale ripercorre i campi da gioco luganesi da lui calcati. «Nel dopoguerra si giocava prevalentemente all’aperto, su un terreno sterrato con le righe tracciate con la calce». Prima trasformazione. «Negli anni Cinquanta si è quindi passati al cemento, con la comparsa dei tabelloni a sostituire il semplice canestro, ma tranne qualche apparizione all’interno, grazie alla realizzazione del Padiglione Conza che vide disputare la partita Svizzera-Cina, la maggior parte delle gare si giocava sui 6-7 campi all’aperto presenti a Lugano». Dall’esterno all’interno.

«La realizzazione di palestre scolastiche negli anni Sessanta ha quindi portato progressivamente la pallacanestro all’interno. Ricordo quella di Molino Nuovo, dove per entrare bisognava indossare le pantofole. La superficie era il linoleum, che verrà poi sostituito dal tartan». Negli anni Settanta le palestre delle scuole, «con mille righe che non si capiva quali si riferissero al tuo sport», diventano quindi il terreno più fecondo per il gioco del basket, con la Gerra in via Trevano a fungere da perno intorno al quale si svilupperà il cosiddetto ‘boom del basket’.

E i palazzetti?

«Finora in Ticino - osserva Cedraschi - solo i privati hanno realizzato impianti funzionali alla pallacanestro. Dalla Terzerina a Pregassona voluta da Adriano Bernasconi negli anni Settanta, al Palaponzio a Bellinzona creato da Sergio Ponzio negli anni Novanta. Fino ai giorni nostri, con la palestra dell’Istituto Elvetico finanziata da Sergio Mantegazza. Altrimenti, la pallacanestro è sempre stata ospite di palestre di scuole comunali e cantonali, con scuola-sport-salute a formare i tre principi portanti a scapito di una visione più ampia che comprendesse lo sport come spettacolo e motore finanziario».

Cedraschi illustra l’esempio della Valtellina, «che ha fatto della pallacanestro una risorsa economica, con paesini che hanno il loro centro sportivo realizzato utilizzando materiali della regione. Vengono anche organizzati campi estivi e tornei per squadre provenienti da altre regioni d’Italia o da altri Paesi. Gli alberghi si riempiono, con tutto quello che ne consegue. Perché non farlo anche nelle regioni periferiche del Cantone?».

Di boom e strutture

I meno giovani ricorderanno gli sportivi anni Settanta, caratterizzati dal fenomeno cestistico che aveva portato tre quartieri cittadini (Molino Nuovo, Viganello e Pregassona) ad avere quattro squadre nella massima lega (Federale, Pregassona, Viganello e Molino Nuovo) trasformando il campionato svizzero in una sorta di derby infinito. Chico Frigerio, Adriano Bernasconi, Luigi Roda ed Eros Maggi i nomi di alcuni dei presidenti entusiasti che contagiarono tutto l’ambiente. Passione e soldi. Ma anche giocatori di caratura internazionale: si pensi a Manuel Raga e a Charlie Yelverton, solo per citare due stelle giunte a Lugano dal massimo campionato italiano. Da non credere. Come si spiega Cedraschi quell’entusiasmo collettivo?

«Un fattore determinante è stato il contatto quotidiano con le persone. Ogni squadra aveva un bar o un locale come punto di riferimento in cui i ‘tifosi’ potevano dialogare con i giocatori». Si pensi al Morandi o al Gestibar per i sostenitori della Federale, o al Bar Elly per i ‘viganellesi’. Locali pubblici, forieri di incontri, di amicizie, che muovevano le persone a seguire anche gli incontri di pallacanestro. «Impensabile al giorno d’oggi - commenta l’ex giocatore -. La tecnologia ha cambiato il modo di vivere e una persona ora ha molte più opportunità o cose da fare rispetto ad allora, c’è meno tempo per sostare, forse».

Determinanti per l’esplosione del fenomeno, secondo Alessandro Cedraschi, sono state anche le vittorie («siamo fatti così: la gente va dove una squadra vince») e il fatto che l’hockey su ghiaccio, in ascesa, non avesse però ancora catalizzato su di sé l’interesse delle persone.

E domani, chi o cosa saprà catalizzare l’attenzione degli sportivi?